In un periodo di crisi economica e sociale globale come quello che stiamo vivendo, sorgono spontanee alcune domande: come si è venuta a creare questa situazione? Si tratta di una crisi passeggera o strutturale di un certo modello di sviluppo? E nel secondo caso, quale è questo modello di sviluppo che ha portato a queste conseguenze? E chi lo vuole? Quali possibili soluzioni ci sono per il futuro? La cooperazione è una di queste?
Partendo da queste domande, CUSA e ISF- Firenze hanno proposto una discussione sui temi della decrescita e della cooperazione non etnocentrica. Edoardo di CUSA ha introdotto l’argomento decrescita evidenziandone la prospettiva opposta a quella capitalistica. In un mondo con risorse limitate e in parte non rinnovabili, sono impensabili i modelli capitalisti che propongono una crescita-consumo-produzione e induzione del bisogno continui. In contrapposizione ad essi ed alle loro nefaste conseguenze, che vanno dalle disparità economiche, all’aumento della competizione e della aggressività collettiva e individuale, fino alle malattie psico-somatiche, Edoardo ha ribadito la necessità di un’inversione di rotta. Sia riguardo i nostri modelli di sviluppo, sia i nostri stili di vita in generale.
L’aspetto della cooperazione non etnocentrica è stato invece introdotto da Riccardo, presidente di ISF- Firenze, che ha espresso i suoi dubbi, le preoccupazioni e gli interrogativi sorti in seguito ad esperienze concrete di cooperazione in Burkina Faso. Da quest’esperienza, lui e gli altri attivisti si sono resi conto, da un lato delle difficoltà di incontro tra comunità con culture profondamente diverse, e dall’altro dei lati “oscuri” della cooperazione. Ne sono sorte domande come: non è che la cooperazione è un modo che il sistema politico-economico ha per perpetrare se stesso e “riprodursi”? La cooperazione dovrebbe far confrontare paradigmi culturali diversi, ma è in grado di accettare queste diversità? Siamo sicuri che la cooperazione non generi delle esigenze che non appartengono a un certo paradigma culturale? Essa rispetta dunque la così detta autodeterminazione dei popoli oppure, più o meno volontariamente, la rende impossibile?
I relatori che hanno tentato di fare chiarezza relativamente alle due questioni, ed agli eventuali rapporti intercorrenti tra di esse, sono stati il prof. Renato Libanora, docente di antropologia dello sviluppo presso l’università di Firenze e Matteo Podrecca del Libero Ateneo della Decrescita di Roma. Aiutati dalle considerazioni, domande e critiche costruttive del pubblico (40 persone circa).
Il prof. Libanora ha incentrato il suo intervento sulla cooperazione, sui suoi pro e contro, sulle difficoltà dell’incontro-scontro tra le identità del cooperante e delle comunità in cui esso opera e sulle conseguenti domande che sorgono in merito all’etnocentrismo. “La forza della cooperazione non è il raggiungimento materiale concreto di un obiettivo, che spesso è infinitesimale rispetto al problema generale che si cerca di risolvere. Bensì riaprire lo sguardo sull’altro e sul sé, mettendo in crisi stereotipi e pregiudizi creando un terreno fertile per lo sviluppo di nuove relazioni umane, fondamentali per soluzioni creative ai problemi”. Questo concetto è stato un po’ la spina dorsale teorica della riflessione di Libanora, il quale ha sostenuto la tesi che bisognerebbe inanzi tutto cambiare il modo di intendere la cooperazione: dall’ assistenzialismo/logica della “mano che da, mano che riceve” ad una nuova prospettiva di condivisione di idee, conoscenze e teorie. A suo avviso infatti, l’aspetto materiale è spesso solo una parte parziale della questione entro la quale i cooperanti si trovano ad intervenire. Non si può prescindere dalle questioni identitarie, etniche e dai paradigmi culturali, così come non si possono escludere i processi politici, sociali ed economici nazionali e mondiali, dai ragionamenti atti a produrre progetti di cooperazione tra paesi. E’ assurdo credere cioè che la cooperazione si limiti al solo lato tecnico-scientifico. Inoltre, come ricordato dal professore, anche essa rappresenta un sistema di potere che risponde a determinati meccanismi gerarchici e relazionali. Il legame con gli Stati e il bisogno di avere delle entrate per pagare i dipendenti, ad esempio, porta le Ong e le altre organizzazioni della cooperazione a doversi confrontare anche con il mondo politico-economico e i suoi mezzi-obiettivi, non sempre nobili. C’è dunque la possibilità che la cooperazione, piena di buoni intenti e ideali, venga manipolata e strumentalizzata per fini politici. E su questo punto si sono accesi poi gli animi durante il dibattito. Come fa una Ong ad essere indipendente e imparziale se riceve fondi dagli Stati? Sono forse le Ong uno strumento attraverso cui le politiche nazionali vengono esportate, dietro il paravento dell’aiuto umanitario, in paesi che non possono rifiutare preziosi aiuti, seppur talvolta non li abbiano richiesti? Sono dunque le Ong mezzi di neocolonialismo? Il professor Libanora, seppur esprimendo la sua contrarietà a taluni modi di operare di alcune Ong, non ritiene che ciò sia vero per tutte. In altri termini, non pensa che si debba fare di tutta l’erba un fascio.
La vera rivoluzione concettuale, a suo avviso, è cambiare la logica stessa di operare della cooperazione. Dall’aspetto solamente materiale a quello anche ideale o di riflessione. Essa dovrebbe diventare un momento di consapevolizzazione dei soggetti che si incontrano-scontrano. Una logica di mutuo scambio dei punti di vista, delle idee e conoscenze che dovrebbe rendere in ultima analisi inutile la cooperazione. O comunque ridurne drasticamente il peso/necessità. In queste dinamiche, centrale è la questione dell’etnocentrismo come corollario fondamentale della cooperazione. Chi coopera, sa che è pressoché impossibile non cadere, magari involontariamente, in pregiudizi e stereotipi dovuti alle differenze culturali (tesi confermate anche da Riccardo di ISF a nome del suo gruppo e da altri cooperanti presenti in sala durante il dibattito). L’etnocentrismo non può non esserci. E’ parte dell’uomo e quindi dei progetti di cooperazione tra uomini. In merito al peso e all’influenza dell’etnocentrismo, lo stesso professor Libanora ha ribadito che esso non può essere eliminato completamente, ma che si deve cercare un nuovo modo di intendere i rapporti tra persone, comunità e modelli culturali. Per evitare di creare quelle barriere che rischiano di rendere granitiche e immodificabili le percezioni del “noi” rispetto all’ “altro”.
Nella conclusione del suo intervento, lungi dal ritenere la cooperazione uno strumento che guida i popoli verso una società perfetta, Libanora ha espresso il suo ottimismo verso di essa, ritenendo che con determinati cambiamenti sarebbe possibile renderne ben più trasparente l’operato, l’efficacia, ed in definitiva il valore.
Successivamente è intervenuto Matteo del Libero Ateneo della Decrescita per offrire una prospettiva più ampia su questo argomento. Egli ha sottolineato fin da subito come il modello fallimentare basato sulla crescita all’infinito dei parametri politico-economici del sistema, sia storicamente connaturato alla nascita e allo sviluppo degli Stati nazionali moderni. Lo stesso vale per quanto riguarda il problema dell’etnocentrismo, dal lui definito come forma di provincialismo. Sul quale si è appunto basato culturalmente, tanto il colonialismo quanto il neo-colonialismo occidentale. I mezzi di propaganda ci fanno tutt’oggi vedere l’Africa solo come un continente in stato di perenne carestia e di bisogno. Quello che i centri del potere non ci fanno vedere, è invece un grande movimento creativo ed intellettuale che scaturisce da questo continente, del quale sono esempi lampanti la musica e la mostra della cultura africana contemporanea. Pur dovendo riconoscere che non è tutto oro quel che luccica. E’ il caso della Nigeria che sta sviluppando una produzione cinematografica che ha dimensioni di mercato seconde solo a quella statunitense e a quella indiana.
In merito a queste prospettive, diverse sono state le critiche espresse dai partecipanti, come da alcuni compagni del Collettivo Libertario Fiorentino, sulle capacità della cooperazione di saper migliorare sé stessa e il suo modo di agire. Inoltre sono state mosse delle critiche anche al concetto stesso di cooperazione, intesa come una ingerenza non richiesta negli affari dei popoli. Dopo ore di discussione quindi, alla quale hanno contribuito anche colleghi e alunni del prof. Libanora, si sono evidenziate diverse posizioni e punti di vista, sospesi tra chi la ritiene uno strumento di emancipazione e chi di imposizione.
Al termine dell’incontro, CUSA, ISF-Firenze e Matteo del LAD, sono rimasti insieme all’apericena di ISF al Bar Argentina per intavolare delle proposte di iniziative concrete in termini di ecologia e decrescita. Una cena a Km 0 con performance teatrale, un evento specifico sulla Decrescita, un Agorà di realtà interessate a progetti di ecologia domestica e bio-regionale per il territorio fiorentino e non solo. Delle quali ci auguriamo di far girare gli inviti il prima possibile.
scritta da Tommy con revisione di Edo e Fra