Dalla Società dei Consumi alla Società dei Consani

In questi anni il consumismo ha generato storture di pensiero che evitano di vedere una spontaneità in qualsiasi atto di ribellione nei confronti del consumo stesso perché, banalmente, oggi la Protesta è un altra forma di consumo.

Ma questo non vi deve, non ci deve scoraggiare dall’intento di agire, proporre e pensare sempre in maniera personale e individuale.

Ogni buon proposito personale di crescita interiore è già rivoluzione avviata.

Cosa significare ritornare a esseri sani? Ritrovare quella parte di noi che è stata duramente messa alla prova in questi tempi e continua a essere messa alla prova oggi e domani.

Queste vi sembreranno parole generali e magari anche un po’ retoriche, posso darvene atto.

Ma sia io che tutti noi siamo immersi in un tempo che deve prendersi il piacere di ricominciare e ricercare sotto ogni fronte e fonte.

Vi auguro un anno nuovo che sia davvero nuovo per tutti noi.

Viva l’Umanesimo Viva l’Anarchia!

Francesco

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La terra è ancora viva – 4. Reazioni a catena

Antony Queen, Rodi, inverno 2016, solchi di battente, foto Fedra Mincio

di Dafne Rossi – Cusa

Le cause dei cambiamenti climatici sono tante e complesse. Alcune hanno un impatto locale, altre possono avere conseguenze più globali e durature nel tempo. A volte le dinamiche non sono molto chiare, si possono infatti innescare una serie di eventi in cui la relazione causa-effetto non è immediatamente individuabile.

Tra queste cause si può annoverare l’aumento di CO2 nell’atmosfera dovuto all’impatto antropico e il conseguente aumento di calore. Bisogna però innanzitutto distinguere tra il dire che l’inquinamento è una delle cause del repentino aumento di CO2 nell’atmosfera e dire che questo è la causa del cambiamento climatico attuale. Innanzitutto perché la CO2 è solo una delle possibili cause del cambiamento climatico, non è l’unico gas serra, il metano fa altrettanti danni, non è nemmeno l’unico effetto dell’inquinamento e inoltre le sue emissioni non dipendono esclusivamente dall’uomo.

Bisogna inoltre capire il livello di impatto delle attività antropiche, quanto esso sia duraturo nel tempo e quanto abbia a che fare effettivamente col clima e quanto piuttosto con la cura/incuria del territorio.

Inoltre bisogna distinguere tra fenomeni che sono di natura antropica e altri che sono completamente naturali anche se possono piacerci meno.

Per esempio associamo spesso la perdita di spiagge all’innalzamento del livello del mare che a sua volta sarebbe dovuto allo scioglimento dei ghiacciai ai poli.

Ciò denota spesso una scarsa conoscenza del territorio.

Il mare compie ogni giorno movimenti come le onde o le maree che fanno sentire il loro effetto su quel pezzo di terra chiamato spiaggia o litorale, che altri non è che la continuazione della piattaforma oceanica che viene ricoperta o privata di volta in volta di sedimento dall’azione dei fiumi, del vento o del mare stesso. Sulla spiaggia perciò vivono anche organismi che dipendono in tutto e per tutto dall’azione del mare, possono infatti vivere per lunghi periodi in condizioni di siccità alternati a periodi umidi, in base alle onde, le correnti e le maree. Il limite naturale della spiaggia è la duna, che rappresenta il punto dove la vegetazione è sufficientemente al riparo dagli schizzi di acqua salata e può svilupparsi abbondantemente. Le dune infatti sono il risultato di un lungo processo di collaborazione tra il vento e la vegetazione e non delle collinette di sabbia come spesso siamo abituati a pensare.

Alberghi e costruzioni sulla spiaggia Trianta-Kremastì, Rodi, inverno 2016 foto Fedra Mincio

Nel tempo, non solo spesso e volentieri abbiamo spianato le dune, ma abbiamo costruito sulla spiaggia, distruggendo non solo interi ecosistemi ma facendo sparire la spiaggia stessa. Inoltre nel corso delle epoche storiche, i corsi d’acqua sono stati intercettati per l’approvvigionamento idrico dei centri abitati, deviati e confluiti in dighe per raccogliere l’acqua. Il che ha comportato il fatto che i corsi d’acqua non arrivando più al mare o arrivando con una portata più modesta, specialmente in luoghi come la Sicilia dove i corsi d’acqua sono effimeri e dipendenti dalle piogge, non apportano più sedimento alla spiaggia, mentre il mare e il vento aumentano l’azione erosiva a discapito di quella deposizionale. Questo per dire che la sparizione delle spiagge non dipende dal fatto che abbiamo emanato CO2, i ghiacci si sono sciolti e il mare si è alzato di livello, ma che una scarsa considerazione del territorio ci ha portato a ritrovarci letteralmente coi piedi a mollo. Al contrario, possono essere proprio questi interventi sul territorio a causare un cambiamento nel clima locale che può avere effetti sul clima globale. Per esempio l’assenza delle dune e del bosco retrostante, può costituire l’assenza di una barriera dal vento che soffia dal mare, che si abbatterebbe violentemente sull’entroterra, e così la deviazione dei corsi d’acqua impoverisce le campagne circostanti inaridendole. Sembra la stessa cosa, in entrambi i casi abbiamo fatto un danno e provocato un cambiamento, ma non è proprio così. È fondamentale capire i rapporti causa effetto tra fenomeni, e le conseguenze non solo dirette ma anche indirette di un certo fattore, anche per capire di volta in volta le soluzioni da adottare e soprattutto se in tutti i casi bisogna effettivamente intervenire o magari invece è meglio non interferire con la natura in nessun modo.

Uno dei quattro torrenti che alimentano la spiaggia di Afantou, inverno 2016, Rodi Foto Fedra Mincio

L’innalzamento del livello del mare è un processo spesso lento, che avviene di pochi centimetri nell’arco di diversi millenni ed è testimoniato dal solco di battente, una linea sulle rocce che ci dice dove arrivava l’acqua millenni fa. Inoltre non è detto che sia causato da un’effettiva risalita del livello del mare, può dipendere da fenomeni di subsidenza, ovvero sprofondamento della crosta terrestre, causato ad esempio da un sovraccarico di sedimento che a sua volta può essere causato da fenomeni tettonici e dagli scambi di calore tra il mantello e la crosta terrestre. La crosta terrestre è infatti costituita da placche solide che si muovono sopra il mantello, fatto a sua volta da magma liquido incandescente. Questi moti sono alla base della formazione dei continenti, delle catene montuose e della crosta oceanica.

Bisogna anche capire quanto le attività dell’uomo abbiano impatto a livello locale.

emissioni che può produrre una città
(fonte: https://ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/aria/temi/emissioni)

Ad esempio è indubbio che stando in una città del Mediterraneo d’estate, con i condizionatori accesi che scaricano all’esterno degli edifici grandi quantità di calore, il cemento, l’asfalto e lo smog, le temperature misurate si possano alzare a dismisura. Basta però allontanarsi di poco, andare in mezzo alla vegetazione, o su una superficie d’acqua, per rinfrescarsi. Questo perché, se è vero che una città produce una cappa di CO2 che crea effetto serra fa aumentare la temperatura, non è detto che questo effetto serra si propaghi per tutta la campagna circostante. Da questo punto di vista è fondamentale ridurre le emissioni, costruire di meno, avere nelle città più spazi verdi. E tuttavia, questo è ancora una parte del problema. Per quanto calore possa generare una città, infatti, è chiaro che la temperatura estiva di una città del Mediterraneo non sarà mai come quella di una città del nord Europa. Questo dipende dalla latitudine, dalle correnti aeree e quelle oceaniche.

formazione di cicloni e anticicloni
(fonte: https://www.artofkitesurf.com/venti-e-meteo-come-leggerli-per-prevederli/)

Nell’atmosfera si creano zone di bassa pressione in cui i venti convergono, chiamate cicloni e zone di alta pressione in cui i venti si allontanano, gli anticicloni. Queste correnti spostandosi lungo i paralleli influiscono sul clima sul pianeta. L’anticiclone delle Azzorre è una zona di alta pressione che in estate si sposta verso il Mediterraneo. Questo determina le estati calde e secche, mentre di norma alle altre latitudini col caldo si abbassa la pressione e piove. Inoltre il Mediterraneo è influenzato dalla vicinanza del deserto, zona di bassa pressione subtropicale, che quindi si mantiene quasi sempre arida seppur calda. Questo a causa della cella convettiva di Hadley che si genera tra l’Equatore e i tropici. All’Equatore l’aria calda sale verso la parte alta della troposfera, dove condensa e ritorna raffreddata ai tropici, creando aree di alta pressione, gli anticicloni. Le zone di alta pressione subtropicale corrispondono appunto ai deserti, con climi caldi e secchi e un’alta escursione termica dal giorno alla notte. Infine l’aria riconverge verso l’Equatore attraverso gli alisei, venti che spirano da nordest verso sudovest nell’emisfero boreale e al contrario in quello australe. All’Equatore c’è una zona di convergenza intertropicale e il clima è caratterizzato da un’alta umidità che dura tutto l’anno.

Un’altra zona di alta pressione a causa dell’aria fredda che si solleva è il polo, dove per l’appunto il clima è altrettanto arido come nel deserto.

Anche negli oceani si creano correnti. Più precisamente si tratta di acqua che scorre sull’acqua, seguendo sempre la stessa direzione. Acque con caratteristiche diverse, come pressione, temperatura o salinità continuano a scorrere l’una sull’altra.

Correnti oceaniche –
(fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Corrente_oceanica#/media/File:Corrientes-oceanicas.png)

Correnti calde scorrono in superficie, come la corrente del Golfo, che si genera nel Golfo del Messico e attraversa l’Atlantico fino al mar del Nord, dove si immerge per confluire nella corrente gelida polare, e correnti gelide che scorrono sul fondo marino come la corrente antartica che gira intorno al globo senza incontrare terra davanti a sé, isolando completamente il continente antartico e rendendolo gelido e arido. Al polo nord, la presenza della corrente del Golfo e la continuità dei continenti grazie alla presenza di isole e penisole, rende le acque leggermente meno fredde rispetto a quelle del polo sud.

Il motivo per cui al posto delle isole britanniche non ci sono dei blocchi di ghiaccio è proprio la corrente del Golfo, mentre il fatto che in quella terra piova così tanto dipende dal ciclone nord atlantico, che si crea nella zona di convergenza temperata. Se la corrente del Golfo venisse deviata è probabile che le acque dell’Artico non essendo più riscaldate rimarrebbero più gelide e si potrebbe creare un continente gelido al Polo nord come l’Antartide.

Capire il fatto che acque con diverse caratteristiche possono scorrere l’una sull’altra, ci aiuta a capire cosa succede nel mar Mediterraneo. Il nostro mare infatti, è un mare chiuso dove l’evaporazione è molto forte, e in origine aveva solo un’apertura, lo stretto di Gibilterra, che gli permetteva di comunicare con l’Atlantico. Così avveniva e avviene tuttora uno scambio di acqua calda in uscita e acqua fredda in entrata. Questo “equilibrio” è stato sconvolto dall’apertura nel 1869 del Canale di Suez che ha messo il Mediterraneo in comunicazione con il Mar Rosso, un mare molto più caldo. Di conseguenza l’acqua del Mediterraneo ha cominciato a riscaldarsi e da lì inoltre sono venuti organismi cosiddetti “alieni” dagli oceani Indiano e Pacifico, che hanno sconvolto gli equilibri biologici, e alcuni dei quali particolarmente invasivi, perché entrati in competizione con organismi locali, e che si sono diffusi dapprima nel mar Egeo orientale, e in seguito sono arrivati fino al Tirreno.

Canale di Suez – (fonte: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-canale-di-suez-compie-150-anni-ed-e-ancora-fondamentale-anche-litalia-24414)

Vale la pena di soffermarsi ancora un po’ su questo punto. La tropicalizzazione del Mediterraneo viene additata come una delle cause dell’imminente “fine del mondo”, e la cui causa risale all’inquinamento e alla CO2, e al conseguente riscaldamento. Innanzitutto, come già detto, si tratta di un intervento umano sul territorio, che sicuramente contribuisce a cambiare il clima di una determinata area del pianeta, ma non è conseguenza diretta della CO2 né dello scioglimento dei ghiacciai. Inoltre va considerato cosa succederebbe se il Mediterraneo nel giro di qualche secolo diventasse un mare tropicale. Sarebbe la fine del mondo? Probabilmente no. Forse non ci sarebbero più le praterie di Posidonia (la cui sparizione tra l’altro non è dovuta nemmeno al Canale di Suez, ma al danneggiamento da reti da pesca a strascico, navi a motore ed effetto diretto dell’inquinamento da scarichi in mare), sparirebbero organismi non abituati ad acque calde e basse, come probabilmente quelle acque potrebbero diventare, ma potrebbe formarsi una nuova barriera corallina, oppure potremmo avere un nuovo ecosistema più complesso dove diverse specie conviverebbero tra loro. Se infatti il granchio blu o il pesce palla si sono adattati subito al Mediterraneo, non è detto che gli organismi che lo popolano attualmente non si adattino a vivere con questi nuovi inquilini e in nuove condizioni. Gli organismi hanno una capacità di adattamento superiore alla nostra comprensione. Soprattutto in acqua sviluppano tecniche per sopravvivere anche nelle condizioni più difficili, ad esempio con spore o uova “dormienti” che si sviluppano quando le condizioni ambientali sono favorevoli, con forme di riproduzione asessuate alternate a riproduzione sessuata per mescolare i geni e ottenere popolazioni più resistenti ai cambiamenti (la partenogenesi), inoltre esistono molti organismi che già per natura sono capaci di adattarsi a diverse condizioni di temperatura o salinità dell’acqua, per esempio pesci migranti come le anguille che passano dai mari caldi e tropicali dei Caraibi ai fiumi gelidi del Nord Europa, dopo viaggi infiniti di migliaia di chilometri, oppure gli organismi planctonici che possono migrare in verticale nella colonna d’acqua anche per 900 metri di profondità, cambiando nell’arco di una giornata temperatura e pressione dell’acqua.

Un’ultima considerazione riguarda i rapporti causa- effetto. Come già detto, la tropicalizzazione del Mediterraneo dipende principalmente dall’apertura del Canale di Suez. Dunque per riportare ogni cosa al suo posto, assumendo per assurdo che nel frattempo l’Atlantico sia rimasto tale e quale, bisognerebbe chiudere il canale di Suez. Questo però non tiene conto della storia del Mediterraneo. Infatti lo stretto di Gibilterra non è stato sempre aperto, ma nel corso dei millenni si è chiuso più di una volta, l’ultima nel Messiniano, circa 6 milioni di anni fa, quando il Mediterraneo si è prosciugato diventando un enorme deposito di sale. Riportando il Mediterraneo alla sua condizione originaria, perciò, non possiamo sapere se arrecheremo un ulteriore danno futuro data la nostra incapacità di pensare a lungo termine. I nostri tempi infatti sono limitatissimi rispetto a quelli della terra e ogni nostro intervento sulla natura, che cerchi di dare soluzioni nell’immediato presente, rischia di fare ulteriori danni di cui potremmo pentircene in seguito. Perciò ripeto che è fondamentale conoscere le cause e le conseguenze di ogni fattore, non solo quelle dirette, ma anche quelle indirette e meno visibili.

Crisi di salinità del Messiniano (fonte: https://www.lidentitadiclio.com/mar-mediterraneo-crisi-salinita-del-messiniano/)

A questo proposito, non bisogna dimenticare che la terra è un sistema aperto all’universo. La stessa acqua, il principio vitale di tutti gli organismi, è arrivata probabilmente sulla terra grazie al ghiaccio che costituisce la coda delle comete. Eventi come la caduta di meteoriti potrebbero aver destabilizzato più volte gli equilibri del pianeta e provocato estinzioni di massa, come quella dei dinosauri. La stessa azione gravitazionale della luna causa l’alternarsi della marea.

Impatto della luna sulle maree – (fonte: https://www.facebook.com/stellecostellazioni/posts/maree-linfluenza-di-luna-e-solele-maree-sono-dovute-alla-forza-di-attrazione-che/4209999829036463/?locale=hi_IN)

Il sole è causa di molti dei principali processi vitali prima di tutti la fotosintesi, dell’alternarsi del giorno e della notte che generano i ritmi circadiani, cioè l’orologio biologico degli esseri viventi, e dell’alternarsi delle stagioni. Alle diverse latitudini il sole arriva con un’inclinazione diversa e questo favorisce i diversi climi. All’Equatore la luce arriva perfettamente perpendicolare, questo determina una maggiore insolazione, mentre ai poli arriva con un minore angolo causando a fasi alterne un periodo di buio totale e uno di sole e temperature molto basse. L’inclinazione della radiazione solare dipende però anche dall’inclinazione dell’asse terrestre che cambia in modo impercettibile per noi nell’arco di migliaia di anni.

Oltre ai moti che la terra compie giornalmente e nell’arco di un anno ci sono infatti anche moti che la terra compie insieme agli altri corpi celesti:

Precessione degli equinozi (fonte: https://eratostene.vialattea.net/wpe/argomenti/terra-e-sole/le-oscillazioni-dellasse-terrestre/precessione/)

– l’eccentricità dell’orbita (100000 anni), ovvero la variazione della forma dell’orbita terrestre intorno al sole che assume forme da quasi circolare a ellittica

– variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre (41000 anni)

– la precessione degli equinozi (19-23000 anni), ovvero il cambiamento dell’orientazione dell’asse di rotazione terrestre che si comporta come una trottola quando inizia a rallentare.

Fu il matematico Milankovich a formulare la teoria che l’alternanza di periodi caldi e freddi sul pianeta, osservati da altri scienziati in precedenza corrispondesse ai moti millenari, e che all’interno di variazioni molto lunghe se ne potessero trovare altre più corte. Queste tesi furono in seguito approfondite dagli studi sui foraminiferi del biologo Emiliani e di Schakleton.

Con i sempre maggiori dati a disposizione si è visto poi che nell’ultimo periodo della terra gli intervalli si sono fatti più rapidi e tra 110000 e 23000 anni fa sono stati identificati nell’emisfero nord 23 eventi caratterizzati da riscaldamento rapido e graduale raffreddamento che sono stati attribuiti al rilascio di materiale da parte di iceberg che dalla calotta glaciale sono scesi alle medie latitudini e sono stati chiamati Eventi di Heinrich, dal nome del geologo marino che aveva osservato come il clima abbia subito delle oscillazioni e che tali oscillazioni secondo lui sarebbero stati la chiave per capire i cambiamenti climatici. Si pensa che questi eventi siano dovuti alle variazioni d’intensità della luce solare su gran parte del globo.

Iceberg alla deriva (fonte: https://www.latitudeslife.com/2021/06/ambiente-2021-banchise-galleggianti-e-terre-subacquee/iceberg-alla-deriva/)

Effetto albedo (fonte: https://www.centrometeoligure.com/albedo/)

È molto difficile capire le relazioni causa effetto. Ad esempio la maggiore radiazione solare fa sciogliere i ghiacci e riscaldare l’atmosfera, ma è anche vero che le superfici bianche assorbono la radiazione solare, di conseguenza i ghiacci possono rafforzarsi con la presenza della luce grazie all’effetto albedo. Inoltre come già detto un tempo stabile e quindi la presenza del sole genera alta pressione, il che significa che le temperature si mantengono basse e aumenta l’aridità proprio come succede nei deserti caldi. L’aridità può essere una caratteristica di climi caldi e climi freddi, esattamente come l’umidità. All’Equatore, che è il posto più caldo del mondo la pioggia è abbondante e costante tutto l’anno e cresce una rigogliosa vegetazione. Lì troviamo le foreste pluviali, che abbiamo ribattezzato i polmoni della terra, i maggiori emissari di ossigeno ma anche di CO2. Mi preme sottolineare questo aspetto perché quando parliamo di riscaldamento globale lo ricolleghiamo automaticamente all’aridità e all’assenza di piogge, e viceversa siamo convinti che una diminuzione delle piogge porti necessariamente al caldo. Infatti se è vero che alle latitudini del Mediterraneo le temperature nell’ultima estate sono state sopra la media e le piogge poco abbondanti, è anche vero che al nord Europa invece le piogge e i nubifragi imperversano.

Antartide, deserto polare, (fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Deserto#/media/File:NOAA_Royal_Society_Range.jpg)

Un capitolo a parte meriterebbero i cosiddetti eventi disastrosi, come le esondazioni, i terremoti, le eruzioni vulcaniche, gli tsunami.

Nel suo libro “Il mondo d’acqua” Schatzing parla dello Tsunami che si abbatté nel 2004 sulle coste della Thailandia e nell’oceano indiano, che sconvolse il mondo. Era la prima volta che l’occidente sentiva parlare di un evento simile. Tuttavia, dice Schatzing, la verità è che eventi come questi sono all’ordine del giorno sul pianeta più di quanto noi possiamo immaginare. Il fatto che qualcosa sia nuovo per noi, non significa che lo sia per la terra. Così come anche il fatto che apparentemente sia un fenomeno distruttivo. Uno tsunami è il risultato di un movimento tettonico e guarda caso si è abbattuto in un’area costituita principalmente da isole e dove i terremoti sono all’ordine del giorno, ed è distruttivo per l’essere umano, per gli edifici, le strade, ma non è qualcosa di anomalo per la terra e perciò non è qualcosa che ne sconvolge l’equilibrio.

In qualsiasi anime giapponese i protagonisti hanno almeno una volta a che fare con un terremoto. È qualcosa che fa parte dell’ordine naturale delle cose, tanto che in Giappone hanno trovato il modo di costruire tutto in maniera antisismica. Il Giappone infatti si trova tra la placca pacifica, eurasiatica, quella delle Filippine e quella nord-americana, che sprofonda sotto le altre per un fenomeno detto subduzione. I giapponesi sanno com’è il loro territorio e ci fanno i conti. Un fenomeno analogo avviene dalle nostre parti dove la placca africana sprofonda sotto la Sicilia spingendo contro di essa. L’Italia è un puzzle di microplacche facenti parte di due placche più grande, quella euroasiatica e quella africana, che si muovono continuamente per assestarsi e da questi movimenti dipendono i terremoti, ma anche i fenomeni vulcanici. Accettare la natura per com’è una condizione fondamentale per capire come intervenire eventualmente su di essa.

tettonica del Mediterraneo, confini tra placche (fonte: https://www.researchgate.net/figure/Figura-1-tettonica-del-Mediterraneo-La-linea-rossa-indica-il-margine-di-subduzione_fig1_272345299)

In Italia in particolare abbiamo la tendenza a sfidarla continuamente, costruendo opere che sono al di sopra delle nostre capacità e possibilità, in posti dove le condizioni ambientali non lo consentirebbero, sottovalutando le conseguenze e finiamo spesso per soccombere. Di conseguenza bisogna anche essere capaci di capire se quando diciamo che dobbiamo trovare soluzioni ai disastri naturali, cerchiamo soluzioni per la terra o per noi stessi. Che sono due cose molto diverse. Perché se è pur vero che dobbiamo rispettare il nostro istinto alla sopravvivenza come tutti gli altri esseri viventi, dobbiamo anche accettare che siamo di passaggio su questa terra, non solo come individui, ma come specie.

La terra non ha un equilibrio. È cambiato tutto così tante volte nella sua storia ed è tuttora costituita da così tanti ambienti diversi che non si può dire quale sia la condizione climatica o ambientale “giusta”. Anche se la temperatura globale è aumentata di due gradi rispetto agli ultimi centocinquant’anni, (cosa che per altro è ancora una previsione statistica che un dato di fatto) che dire degli ultimi mille? E degli ultimi diecimila? E rispetto a un milione di anni fa?

Là dove c’era il ghiaccio oggi ci sono distese di laghi, dove c’era il mare oggi c’è il deserto, sulle montagne ci sono fossili di conchiglie e sedimenti sabbiosi. Intere montagne sono state erose dai venti nel tempo e si sono trasformate in pianure, e montagne nuove sono sorte dalla collisione dei continenti, i continenti stessi si sono formati e disgregati. L’Atlantico è un oceano giovane di “recente” formazione che continua ad allargarsi grazie alla Dorsale Atlantica, mentre l’Oceano Pacifico è molto più antico e tende a sprofondare nella fossa delle Marianne, la zona più profonda attualmente presente sulla terra. Organismi marini riescono a vivere persino laggiù senza luce né ossigeno ma grazie a processi chemiosintetici di batteri che sintetizzano sostanze vitali a partire da composti che si trovano nelle sorgenti idrotermali, sorgenti di acqua calda che si creano negli abissi dove si depositano minerali.

Lago Tegel, Berlino, inverno 2023, lago di origine glaciale, foto di Fedra Mincio

 

Fonti:

– Slide professoressa Maria Rita Palombo, per Eventi ed ecosistemi del Quaternario, cause del cambiamento climatico

– Slide professoressa Lina Davoli, per Geografia e Geomorfologia Costiera, fasce climatiche, linea di costa, movimenti del mare, dune

– Leonardo Sagnotti https://ingvambiente.com/2020/02/11/la-scoperta-delle-variazioni-climatiche-a-scala-geologica-seconda-parte-da-emiliani-alle-perforazioni-dei-fondali-oceanici/,

– Leonardo Sagnotti https://ingvambiente.com/2019/12/10/breve-storia-sulla-scoperta-delle-variazioni-climatiche-a-scala-geologica-prima-parte-da-aristotele-a-milankovic/

Geomar.de https://www.geomar.de/forschen/fb1/fb1-p-oz/schwerpunkte/kopplung-niederer-und-hoher-breiten/heinrich-ereignisse

– INGVingvvulcani.com/2021/04/02/etna-31-marzo-1-aprile-2021-un-parossismo-insolito/, Ecco come l’Etna condiziona il clima Posted on 24. Aprile 2022 by Grazia Musumeci

Posted in Blog Tagged Eruzione Etna, Escursione Etna, Escursioni, Sicilia, Tour, vulcano,

Qual è l’influenza della polvere sahariana sul clima in Svizzera? https://allarmemeteo.ch/blog/linfluenza-polvere-sahariana-svizzera.html

– Schatzing, Il mondo d’acqua

https://www.geopop.it/giappone-antisismico-i-segreti-dietro-lefficienza/

https://www.geopop.it/

https://www.corriere.it/scienze/12_maggio_11/placca-sicilia-foresta-martin_ecf3b14a-9b72-11e1-81bc-34fceaba092f.shtml

  • https://www.lidentitadiclio.com/mar-mediterraneo-crisi-salinita-del-messiniano/
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La Terra è ancora viva: 3. Metodi di studio e unità di misura

di Fedra Mincio e CUSA

Poniamo il caso di voler conoscere la temperatura del 1 agosto 1990 a mezzogiorno a Monte Mario, a Roma: dobbiamo rifarci a una temperatura registrata in tale data e in tale luogo, andare perciò a sfogliare una raccolta di bollettini meteorologici o qualcosa del genere. Probabilmente avremo un dato numerico preciso, misurato in gradi Celsius, magari con un primo prototipo di termometro digitale. Se invece vogliamo misurare la temperatura a Monte Mario il 1 agosto del 1960 siamo già di fronte a un dato misurato sicuramente con uno strumento diverso, con buona probabilità un termometro a mercurio. Se poi volessimo avere la stessa misura a New York che si trova all’incirca alla stessa latitudine di Roma, non solo probabilmente il numero sarebbe diverso, ma magari è stato misurato in gradi Farenheit. In altre parole, per comparare le temperature misurate in tempi recenti in diversi luoghi del mondo, dovremo stare attenti ai diversi metodi utilizzati per misurarle e alle diverse unità di misura, pur vivendo ormai in un mondo globalizzato che ha definito degli standard internazionali su come effettuare le misurazioni di temperatura. Esiste infatti una scala, definita la scala assoluta, che dovrebbe mettere d’accordo le altre unità di misura tuttora in uso: la scala Kelvin. Inoltre naturalmente dovremmo tenere conto dell’ora esatta a cui la temperatura è stata registrata perché la temperatura rilevata nell’arco della giornata non è detto che fosse la stessa: mezzogiorno è il momento più caldo e non ci fornisce informazioni sulla temperatura media della stagione estiva di quell’anno. Avremo quindi bisogno di comparare il dato con altri presi alla stessa ora in giorni diversi e negli stessi giorni a orari diversi, per poter capire com’era l’estate del 1990 o del 1960 a Roma. Se poi aggiungiamo che Monte Mario è il punto più alto della città, è chiaro che per farci un’idea più precisa bisognerebbe prendere in considerazione altre zone dove potremmo registrare variazioni indicative, anche se minime. Inoltre, i nostri dati cambieranno dal centro alla periferia e man mano che ci si allontanerà dalla città. Dopo aver preso tutte queste accortezze, notiamo che ancora ci troviamo ad avere informazioni molto limitate nel tempo e nello spazio. Non sappiamo ad esempio se le stesse temperature c’erano a Firenze o a Napoli, figuriamoci se scendiamo o saliamo ancora lungo la penisola italiana, se ci spostiamo verso la montagna o verso il mare, sulla costa adriatica o su quella tirrenica o sulle isole. Solo in Italia si registra una grande varietà di microclimi.

Foto 1: Termometro di Galileo

Le stime di temperatura dell’IPCC risalgono agli ultimi 150 anni. Il grado Celsius è stato proposto per la prima volta nel 1742 e il Fahrenheit nel 1724. Il primo prototipo di termometro è stato attribuito a Galileo Galilei, e risale al 1607, ma nel tempo lo strumento ha subito varie modifiche e acquisito diverse caratteristiche, si è passati da termometri che sfruttano la dilatazione termica di liquidi e/o gas, tra cui il mercurio, ai termometri digitali comparsi negli anni ‘80.

Negli anni ‘70 sono comparse le boe meteorologiche allo scopo di misurare le temperature dell’acqua di mare, dotate di sistemi che consentono di misurare parametri meteorologici e oceanografici e inviare i dati a terra via radio o via satellite. Anch’esse si sono modificate nel corso del tempo.

Per avere invece dati di temperatura dell’atmosfera terrestre su tutto il pianeta si mettono a confronto temperature prese da stazioni meteorologiche al suolo e ultimamente vengono sempre più usati dati presi dai satelliti. In Italia l’organo ufficiale competente che fornisce i dati meteorologici è il servizio meteorologico dell’aeronautica militare. Inizialmente fu istituito nel 1865 un ufficio meteorologico della Marina, poi con l’avvento dell’aeroplano nel 1913 è stato istituito il Regio Servizio aerologico, in seguito i due servizi sono diventati uno. Dagli anni ‘90 il servizio è completa responsabilità dell’Aeronautica.

Il World Meteorological Organization (WMO) è invece un’agenzia delle nazioni unite nata nel 1951, sulla base dell’International Meteorological Organization fondata nel 1873 atto a favorire lo scambio di informazioni sul tempo su scala globale.

Perciò l’interesse a fare previsioni meteorologiche su scala internazionale è relativamente recente, e non è stato mosso fin da subito da un interesse per l’ambiente ma dallo scopo di favorire l’agricoltura e la navigazione, oltre che da bisogni militari. Nel frattempo è cambiata la geografia del mondo, sono state fatte nuove scoperte, si pensi alle innumerevoli spedizioni per raggiungere il polo Sud, mentre solo a partire dagli anni ‘60 abbiamo una visione “spaziale” della terra. Di conseguenza ancora più recente è l’uso dei satelliti.

Man mano che si va indietro nel tempo, l’essere umano ha anche cambiato metodi di datazione: se volessimo avere un dato di temperatura il primo agosto del 1400 dobbiamo essere sicuri che il calendario corrisponda al nostro. Infatti prima del 1582 era in voga un calendario solare chiamato “Calendario Giuliano” un calendario solare che prende il nome da Giulio Cesare è che è stato poi sostituito dal calendario gregoriano che usiamo ancor oggi. Come già accennato, molte altre civiltà utilizzano ancora oggi calendari lunari: molti paesi infatti si sono dovuti adeguare al nostro calendario per ragioni commerciali ed economiche, ma le feste e le ricorrenze seguono ancora le fasi della luna. Persino la nostra Pasqua ricade in un periodo calcolato secondo le fasi della luna primaverili che varia tra gli Ortodossi e i Cattolici e il Natale ortodosso in Russia, pur seguendo un calendario solare, cade circa quindici giorni dopo quello cattolico.

Foto 2: Orologi antichi: clessidra

Scavando nel passato, troviamo metodi sempre più “primitivi”per calcolare il tempo (così diremmo noi) e le misurazioni sono meno precise. Perciò eventuali dati a disposizione diventano sempre più approssimativi, o sono da ricostruire in base alle testimonianze che abbiamo. Perfino l’arte allora ci può suggerire un eventuale clima caldo o freddo, anche se è inaffidabile perché non si può essere sicuri che la rappresentazione di persone vestite in abiti leggeri e seminude sia uno spaccato della realtà o più un canone artistico. Si può fare riferimento al tipo di abbigliamento in voga in un determinato periodo, a farci un’idea ci possono aiutare la letteratura, i giornali, le riviste, i diari, i racconti: anch’essi tuttavia possono dipendere più dagli stati d’animo o dalle impressioni di chi li ha scritti che dalla realtà.

Anche studiare gli spostamenti dell’essere umano può aiutare a capire com’è cambiato il clima. Anche se il motivo per cui l’uomo “primitivo” è emigrato dall’Africa negli altri continenti non è chiaro, si è però notato che ci sono state alcune grandi migrazioni in cui l’uomo probabilmente ha seguito le ondate migratorie di altri animali. Forse per cercare cibo, o forse perché l’ambiente in cui si trovava è mutato.

Perché bisogna considerare dati così vecchi e non ci possiamo accontentare degli ultimi 150 anni? Il fatto è che i cambiamenti climatici sono molto lunghi, e bisogna capire se siamo all’interno di un cambiamento climatico globale o se più semplicemente c’è un periodo “anomalo”, ammesso che si possa parlare di condizioni climatiche “standard” e di conseguenza trovarne delle altre “anomale”. Nell’800, ad esempio, come già detto, c’è stato un brevissimo periodo particolarmente freddo che è stato chiamato “Little Ice Age” e che ha interessato soprattutto l’emisfero nord. Così nel Medioevo, tramite i dati sugli isotopi, si è rilevato che c’è stato un periodo molto caldo, chiamato “Medieval Warm Period”.

Tuttavia queste testimonianze non bastano e bisogna allora andare ad interrogare la crosta terrestre.

Possiamo vedere come molti ritrovamenti archeologici risalenti ad esempio ai tempi dei romani e dei greci, siano oggi sotto il livello del mare. Molte ville storiche romane si trovano oggi sottoterra e gran parte della città di Roma è stata costruita letteralmente sopra i vecchi edifici. Ciò fa pensare che 2000 anni fa il livello del mare fosse più basso rispetto all’attuale.

A livello geologico possiamo osservare che la superficie terrestre è fatta di diversi strati di roccia che si sovrappongono. Gran parte delle rocce sul pianeta infatti è costituita da sedimenti, che si creano dalla rottura, trasporto, trasformazione di rocce precedenti, come ad esempio i ciottoli dei fiumi, o le conchiglie lasciate dal mare. Nel letto dei fiumi in particolare possiamo distinguere diverse fasi sedimentarie, testimoniate dai terrazzi fluviali.

Tra sedimenti di origine biologica abbiamo gusci o strutture calcarei e i fossili di organismi vegetali e animali. Organismi adattati a climi caldi o freddi, o che sopravvivono a ristretti intervalli di temperatura, possono indicarci le temperature o le condizioni climatiche del periodo a cui risalgono e della zona in cui sono stati trovati. Anche il polline viene molto studiato, perché consente di ricostruire un tipo di vegetazione e il suo areale, quindi anche il cambiamento di esso in seguito ad eventuale estinzione di una specie. Allo stesso modo vari tipi di sedimenti rocciosi possono darci informazioni diverse. Come abbiamo già accennato i sedimenti possono essere per esempio dovuti al passaggio dei ghiacciai, a quello dei fiumi, a innalzamento del livello del mare e così via.

Foto 3: Datazioni biologiche, i foraminiferi

Bisogna però anche riuscire a datare i sedimenti per sapere a che epoca risalgono e la stratificazione geologica non basta: non è detto cioè che le rocce più superficiali corrispondano alle rocce più recenti. Questo perché la crosta terrestre subisce continue trasformazioni, causate da pressioni interne e da fenomeni esterni. L’erosione da parte del mare o dei venti può ad esempio lasciare allo scoperto rocce più antiche di quelle depositatevi sopra. Movimenti della crosta terrestre, frane e terremoti possono far scivolare in profondità rocce più recenti e creare sovrapposizioni bizzarre.

In sostanza la stratificazione geologica non corrisponde a quella temporale. Ci vogliono allora metodi di datazione.

Ci sono diversi metodi per datare in maniera corretta le rocce e i fossili, tra questi gli isotopi. Gli isotopi sono atomi di uno stesso elemento che hanno un numero atomico uguale (numero di elettroni), ma variano per il loro numero di massa (somma di protoni e neutroni), in sostanza varia il numero di neutroni, cioè le particelle senza carica. Alcuni di essi sono stabili in natura, altri invece sono instabili e tendono a perdere particelle atomiche per stabilizzarsi il che si traduce per noi in forma di radiazioni, e questo fenomeno può durare anche milioni di anni. Perciò elementi oggi presenti in natura possono dirci molte cose su quello che è accaduto sulla terra nel corso delle ere geologiche. Gli isotopi radioattivi sono anche quelli che derivano in gran quantità dalle reazioni nucleari, e questo ci può far capire perché utilizzare questo tipo di energia può essere pericoloso per gli esseri viventi, perlomeno per quelli a noi più affini.

Gli isotopi li troviamo tanto nelle rocce quanto negli esseri viventi. Unendo perciò lo studio dei fossili a quello degli isotopi, si possono ricavare informazioni sui cambiamenti climatici e sulle temperature. Tra gli organismi più studiati per capire la storia della terra, i cambiamenti climatici e datare gli strati geologici, ci sono i foraminiferi, organismi unicellulari costituiti da un guscio calcareo creato utilizzando gli isotopi d’ossigeno dell’acqua marina. In base all’isotopo dell’ossigeno presente nel guscio si può ricostruire com’era il mare in una determinata epoca. Ci sono infatti due isotopi stabili dell’ossigeno, O16 e O18. Durante un periodo caldo, l’evaporazione favorisce l’evaporazione di isotopi O16 più leggeri, quando piove gli isotopi ritornano in mare e si stabilisce un equilibrio tra gli isotopi. Durante i periodi freddi invece i ghiacciai bloccano l’acqua ricca in O16 e il mare si arricchisce di O18. Le differenti composizioni di isotopi di ossigeno si possono studiare anche nelle grotte. Le variazioni temporali nei valori dell’O18 delle precipitazioni nevose accumulatesi sulle calotte polari riflettono sia le variazioni della temperatura che si registrano nell’arco dell’anno (variazioni stagionali) sia quelle dovute alle fluttuazioni climatiche a breve (ultimi 100-1000 anni) e lungo periodo (100.000 anni e più)

Un altro isotopo importante è il C14, un isotopo radioattivo che si trova negli organismi viventi.

Sulla base di tutte le osservazioni citate, si possono poi calcolare degli indici sui quali si basa la misurazione delle temperature più antiche. Quindi in ogni caso avremo delle stime che poi dovremo comparare con i dati attuali. Si può perciò dire che da un certo punto temporale in poi la nostra conoscenza delle temperature si basa esclusivamente su stime e calcoli, il che è ben diverso dall’avere dati misurati direttamente.

Tra i vari metodi usati per vedere come cambia il clima c’è anche la misurazione della concentrazione dei gas serra e tra questi la CO2.

Sembra che in effetti attualmente siamo ai massimi livelli di concentrazione della CO2 da 16000 anni a questa parte e questo aumento è in parte dovuto alle attività umane.

La Terra ha circa quattro miliardi e mezzo d’anni.

Per il primo mezzo miliardo ha vissuto un’esistenza senza quella che noi chiamiamo vita, ma non per questo tranquilla perché aveva ancora bisogno di assestarsi. Terremoti, piogge, eruzioni, inondazioni. Poi, sono comparsi quelle celluline primitive che per tre miliardi di anni hanno regnato sulla terra incontrastate, chiamate batteri. Il loro intervento è stato fondamentale per lo sviluppo della vita. Come diceva Schatzing nel suo libro “Il mondo d’acqua” la cellula non era altro che la borsetta di Miss Evoluzione che aspettava di trovare il modo giusto per dare il via alle infinite forme di vita che si sono susseguite e dopo qualche miliardo di anni finalmente ha sfoderato il suo asso nella manica: il nucleo, l’astuccio nel quale ha impacchettato il DNA, dando vita così alla cellula eucariotica.

Foto 4: Cianobatteri

Sempre i batteri sarebbero stati quelli che, secondo la teoria di Lynn Margoulis, avrebbero riempito l’atmosfera di ossigeno. Per la precisione sarebbero stati i cianobatteri, quelli che potremmo forse chiamare gli antenati degli esseri vegetali. Ora possiamo ammettere che gli organismi viventi, se questo è vero, hanno parecchia influenza sugli equilibri della terra, perciò perché non noi. Non si può negare che i mondi inorganico e organico interagiscano tra loro, rendendosi dipendenti l’uno dall’altro. Gli stessi fossili contribuiscono al formarsi della roccia e sono resti di organismi viventi. Il mondo organico si forma a partire da quello inorganico e viceversa. Ma nonostante i batteri siano tanti, si riproducano facilmente, e abbiano colonizzato tutta la terra, hanno comunque impiegato tanto tempo a riempire l’atmosfera di ossigeno e far arrivare i primi organismi capaci di respirarlo. E ancora oggi i batteri sono quelli che stabiliscono gli equilibri dei gas nell’atmosfera, nel suolo e nell’acqua.

Bisogna considerare che la vita c’era già quando l’atmosfera era irrespirabile e proprio perché c’era la CO2 sono nati organismi in grado di utilizzarla che a lungo andare hanno portato a cambiare l’atmosfera. All’inizio era l’ossigeno ad essere tossico per la vita eppure a lungo andare esso è diventato fondamentale. Forse è persino inutile chiedersi come sarebbe potuta andare se le cose avessero preso una piega diversa, ma nulla ci impedisce di immaginare scenari alternativi. La vita probabilmente si sarebbe sviluppata comunque.

Adesso, veniamo a noi. Secondo i ritrovamenti più antichi l’essere umano avrebbe due milioni e mezzo circa di anni alle spalle (il genere Homo, i suoi antenati probabilmente parecchio di più). Di cui una buona parte tuttora sconosciuti e riassunti fino a pochi decenni fa in un’unica immagine che nulla dice di tutto ciò che ha fatto l’uomo prima di diventare “civilizzato” e che probabilmente non corrisponde nemmeno a verità, ovvero “l’uomo delle caverne”.

Non siamo proprio gli ultimi arrivati sulla terra, qualcuno si è estinto dopo di noi (qualcuno anche o in parte per colpa nostra certo) e nuovi organismi sono venuti, però siamo abbastanza giovani. E da soltanto circa cinquecento anni ci siamo guadagnati il merito di “esseri particolarmente impattanti”. Perciò siamo impattanti sì, ma tutto sommato insignificanti nella lunga e travagliata storia del nostro pianeta e rispetto a organismi come i batteri che tuttora fanno il bello e il cattivo tempo. E la terra ha già subito dei cambiamenti mentre c’eravamo noi, cambiamenti di cui per ovvie ragioni non possiamo essere responsabili, e di cui probabilmente abbiamo pagato le conseguenze alla pari di tutti gli altri esseri viventi.

Continua

Bibliografia:

– Slide della professoressa Maria Rita Palombo per Eventi ed Ecosistemi del Quaternario sui metodi di studio e di datazione, i proxies, i feedback

– Frank Schatzing, Il mondo d’acqua, alla scoperta della vita attraverso il mare, Tea

https://www.focus.it

– Wikipedia

– Le quote delle costruzioni romane e paleocristiane del Castrum di Grado in relazione al livello del mare, Ruggero Marocco, AQUILEIA NOSTRA-ANNO LXXV-2004, https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/16162/1/75_10.pdf

http://www.meteoam.it/cenni-storici

https://public.wmo.int/en/about-us

Foto:

1. https://it.wikipedia.org/wiki/Termometro_galileiano

2. https://it.wikipedia.org/wiki/Clessidra

3. https://de.wikipedia.org/wiki/Foraminiferen

4. https://www.lescienze.it/news/2017/03/31/news/origine_cianobatteri_fotosintesi_ossigenica-3477243/

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La Terra è ancora viva – 2. Il diluvio universale

di Fedra Mincio e CUSA

Il diluvio universale di Michelangelo

Charles Lyell, geologo del XIX secolo, fu il primo a dire che la terra non è sempre stata così come è oggi ma è stata soggetta a cambiamenti e che studiare il presente serve a comprendere il passato (The present is the key to the past, frase coniata da Archibald Geikie sintetizzando i principi di Lyell).

E in effetti oggi si può affermare che nel tempo è cambiata la posizione dei continenti, il livello del mare si è alzato e abbassato, le forme di vita sono mutate, si sono estinte, evolute. Una testimonianza di quello che potrebbe essere stato causato da un grosso cambiamento climatico, si trova… si, nella Bibbia. Ovviamente, senza prendere il racconto biblico alla lettera, si può pensare che esso si rifaccia a qualcosa di realmente accaduto. Il mito del diluvio universale, infatti, fa un po’ il giro di tutto il mondo in forme diverse e narra più o meno invariabilmente che la Terra è stata improvvisamente sommersa dalle acque, e grazie alla fede e alla tenacia di uno o più eroi (Noè nella bibbia, ma non è il solo), una parte di popolazione umana e animale si è salvata e questo ha permesso che la vita sulla terra continuasse.

Questo modo catastrofico di vedere le cose, sembra corrispondere più o meno al punto di vista attuale della scienza, o perlomeno di quella che costituisce la comunità scientifica che ha lanciato l’allarme dell’emergenza climatica.

Paradossalmente infatti i continui moniti a “far qualcosa”, a “far presto”, il continuo stato di emergenza, è in linea con una visione del mondo che si sta per distruggere se non facciamo qualcosa in tempo, come se, ammesso che in una volta ripristinassimo lo “stato naturale” delle cose, ammesso anche che ce ne sia uno, la Terra ritroverebbe i suoi equilibri immediatamente e il clima tornerebbe quello di prima. Come se la Terra non si evolvesse e fosse sempre statica. E come se questi eventi avvenissero in tempi brevissimi.

Ritornando al diluvio universale, potremmo chiederci se si tratta di uno o più eventi. Se tutto è avvenuto così velocemente o se si tratta di eventi successivi. Se è stato solo il mare ad alzarsi o se invece anche la crosta continentale si muove. Se il livello del mare è salito ovunque contemporaneamente.

Pensiamo alle isole, ad esempio, è facile immaginare che un tempo queste isole erano sotto il mare e che da lì siano emerse.

Una prova visibile del cambiamento del livello del mare è il solco di battente, un solco solitamente visibile sulle rocce prodotto dalle onde, a diversi centimetri sopra il livello attuale del mare.

Sull’isola di Rodi, nell’Egeo, ad esempio, si trovano parecchi solchi di battente sulla costa orientale da cui sono state ricostruite ben sette linee di riva fossili, ma non altrettanti sulla costa occidentale. Le due coste potrebbero aver quindi avuto storie differenti, si pensa infatti che quella orientale abbia subito diversi fenomeni di sollevamento, mentre sul versante occidentale il livello del mare potrebbe essere stato stabile per parecchio tempo. Questo ci dice che non solo il cambiamento di livello del mare non dipende esclusivamente da un innalzamento abbassamento delle acque, ma anche che il cambiamento di livello avviene in maniera molto lenta e che può essere un fenomeno molto locale. Nel caso di Rodi parliamo infatti di un cambiamento di livello di pochi centimetri in migliaia di anni.

Eventi più “veloci” si verificano continuamente negli atolli del Pacifico: si tratta infatti di cime di monti sottomarini che scompaiono e ricompaiono continuamente. È probabile perciò, che i diluvi dei miti dei polinesiani, non combacino con la storia del diluvio raccontato nella Bibbia.

La canzone “L’isola non trovata” di Guccini, parla di un evento singolare molto recente accaduto nel Mediterraneo: l’isola Ferdinandea emersa dal mare nel 1831 al largo del Canale di Sicilia in seguito a un’eruzione vulcanica e scomparsa nuovamente nel 1832, prima che i governi delle principali potenze europee riuscissero ad accaparrarsela.

Riguardo a quello che è raccontato nella Bibbia, diverse sono le ipotesi. Un’ipotesi è che ci sia stata un’eccezionale alluvione nell’area mesopotamica causata da un clima molto più umido e da maggiori flussi fluviali. Nel 1998 due geologi della Columbia University, William Ryan e Walter Pitman, pubblicarono le prove che intorno circa al 5600 a. C. ci fosse stata una forte inondazione attraverso il Bosforo. L’idea era che lo scioglimento dei ghiacciai aveva trasformato il mar Nero e il mar Caspio in vasti laghi d’acqua dolce che riversavano le acque nel mar Egeo che aumentò di livello e straripò oltre il Bosforo. L’evento avrebbe allagato 155000 km² di territorio e ingrandito le dimensioni del mar Nero. Sembra che anche altri eventi simili ci siano stati un po’ in tutto il mondo, ed è effettivamente probabile che siano dovuti a una fase “calda” della terra.

Cuvier, naturalista francese, nel 1800 analizzò i fossili marini di monte Bolca a Verona e pensò che fossero resti al diluvio universale. Pensava che questi animali fossero arrivati fin lassù in seguito al diluvio. I fossili di Bolca però, erano fossili di animali estinti, quindi probabilmente molto antecedenti ai tempi del diluvio e non compatibili coi tempi rapidi descritti nella Bibbia. È possibile che siano finiti lì in un tempo ancora precedente e che dunque ci siano stati altri eventi simili.

Buckland, geologo inglese, nei primi decenni dell’800 riconobbe in Inghilterra depositi del tutto particolari e depositi di grotta con resti di animali appartenenti anche a specie tutt’ora viventi e li attribuì al Diluvium. Riconobbe anche depositi più recenti che attribuì invece ad una fase successiva “Alluvium” .

Acquerello del ghiacciaio di Gietro, 1818

Più in là si pensò che in realtà i depositi attribuiti al Diluvio potessero essere attribuiti non a un’inondazione, bensì ai ghiacciai.

Il primo a cui venne l’idea che la terra potesse essere in precedenza occupata maggiormente dai ghiacciai fu un falegname svizzero di nome Jean Pierre Perroudin, vissuto tra il 1767 e il 1858 nel villaggio svizzero di Lourtier. Perraudin ne avrebbe discusso con l’ingegnere minerario Jean de Charpentier e, nuovamente, nel 1818, con l’ingegnere cantonale Ignaz Venetz, in occasione del disastro causato dall’improvviso svuotamento di un lago di sbarramento glaciale, formatosi per l’avanzata del Ghiacciaio di Giétro, nel Canton Vallese. In quel periodo, infatti, sembra ci sia stata una breve fase particolarmente fredda, chiamata “Little Ice Age”che contribuì all’avanzata del ghiacciaio.

Perraudin sosteneva che i massi erratici e i solchi osservabili sulle superfici rocciose della val di Bagnes, erano in tutto simili a quelli che i ghiacciai abbandonano e lasciano scoperti e che pertanto l’intera valle nel passato doveva essere stata colmata da “una grande massa di ghiacci”.

Nel 1840 Agassiz, naturalista svizzero-americano, dimostrò che i depositi dell’Inghilterra attribuiti in precedenza al Diluvium erano risultato dell’attività di antichi ghiacciai. Formulò la Teoria Glaciale, con la quale ipotizzò perciò che in passato buona parte della superficie terrestre fosse ricoperta dai ghiacciai. Questa teoria si basava sull’osservazione di quelli che ipotizzò fossero depositi lasciati appunto dai ghiacci, osservati anche da Perraudin, ovvero:

– i massi erratici sopracitati, grossi massi che rimangono a valle dopo il passaggio dei ghiacciai

– le morene, accumuli di sedimenti non classati, cioè eterogenei per forme e dimensioni, trasportati a valle per scivolamento, causato da moto di gravità dei ghiacciai

– i solchi, linee superficiali sul substrato roccioso create dal passaggio di ghiaccio e detriti

Molti fossili di animali di cui però Agassiz diceva che si erano estinti con l’arrivo dell’era glaciale, in realtà si sono estinti alla fine di essa ed erano adattati a climi freddi. Nel 1846 Forbes, geologo scozzese, riconosce che le faune del pleistocene di Lyell corrispondono al glaciale.

Secondo Agassiz c’era stato un unico evento di glaciazione, man mano però si accumularono evidenze che probabilmente ci sono stati diversi periodi glaciali intervallati da periodi non glaciali.

Si cominciò così ad affermare il concetto di Quaternario, che diviene sinonimo di Pleistocene e in cui vengono inquadrati i depositi in precedenza attribuiti al diluvio.

James Jeikie, geologo scozzese, riconobbe quattro differenti glaciazioni in Inghilterra orientale, mentre Chamberlin, professore di geologia all’università di Chicago e Leverett, geologo e naturalista statunitense, ne riconobbero altrettanti in Nord America. Un altro modello è quello di Penck, geologo e geografo tedesco, che distinse quattro periodi glaciali nel plateau bavarese messi in evidenza da quattro ordini di terrazzi fluvioglaciali, ovvero depositi formati dalle acque di fusione del ghiacciaio.

Il riconoscimento delle glaciazioni nell’emisfero nord è dovuto perciò principalmente allo studio dei sedimenti. Negli ultimi decenni, i metodi di studio sono cambiati, dai sedimenti si è passati a studiare gli isotopi.

Continua…

Bibliografia:

– Coastal uplift, earthquakes and active faulting of Rhodes Island (Aegean Arc): modeling based on geodetic inversion – Villy A. Kontogianni, Nikos Tsoulos, Stathis C. Stiros-Geodesy Laboratory, Department of Civil Engineering, Patras University, Patras 26500, Greece, Received 27 June 2001; accepted 17 April 2002

– Crustal block movements from Holocene shorelines: Rhodes Island (Greece), P.A. PIRAZZOLI‘, L.F. MONTAGGIONI, Y. THOMMERET ’ CNRS-URAI41, *, J.F. SAL&GE G. SEGONZAC 5 and C. VERGNAUD-GRAZZINI Laboratoire de Geographic Physique, I Place Aristide Brian4 Universite de la Reunion, B.P. 5, 97490 Sainte-Clotilde, SOHO (URA 388 du CNRS), Departement 4 Place Jussiey 92190 Meudon-Belleuue Reunion Island (France D.O.M.) de Geologic Dynamique, 4, 3 (France) + * Universite Pierre et Marie Curie, 75252 Paris Cedex 05 (France) October 28,1988; revised version accepted (Monaco) March 23, 1989)

– Studi e ricerche sui giacimenti terziari di Bolca – Redazione: Museo Civico di Storia Naturale di Verona

– Slide della professoressa Maria Rita Palombo, Università La Sapienza, per Eventi ed Ecosistemi del Quaternario, Generalità e Storia

– The Lyell Collection at the Earth Sciences Department, Natural History Museum, London (UK) Consuelo Sendino

– Wikipedia

– Treccani

Foto:

– 1. wikipedia

– 2. wikipedia

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La Terra è ancora viva – 1. Cartoline dal mare

di Fedra Mincio e CUSA

Foto 1. Lampedusa a ottobre 2022

Sono gli ultimi giorni di ottobre e girano sul web e tra i giornali fotografie di spiagge stracolme di turisti e locali che fanno il bagno, con titoli come “È l’85 di agosto” o “L’autunno più caldo di tutti i tempi” e via dicendo. Si fanno anche previsioni che i primi di novembre saranno altrettanto caldi, si parla di una “novembrata”, visto che l’autunno non si fa vedere.

Le temperature alte a fine ottobre e l’affollamento delle spiagge sono interpretate come prova del cambiamento climatico in corso e del fatto che siamo all’ennesima emergenza.

Bisogna tuttavia distinguere le cose.

Da almeno trent’anni si parla ormai di cambiamento climatico e soprattutto da quando io ricordo (sempre circa trent’anni) ottobre è stato sempre un mese mite in cui, alle latitudini del Mediterraneo ci si può tranquillamente fare il bagno. Perciò, può darsi che negli ultimi trent’anni ci sia stato un cambiamento, ma ben diverso è lanciare l’allarme ogni anno e dire ogni estate che “si tratta dell’estate più calda di tutti i tempi” come se fosse tutto accaduto all’improvviso e la fine del mondo sia imminente.

L’aumento repentino delle temperature a cui assistiamo si presume sia avvenuto negli ultimi centocinquant’anni, periodo in cui la temperatura media della terra sarebbe aumentata di due gradi secondo le stime dell’IPCC, o più precisamente, di 1,1° C con la previsione che si arrivi a 1,5° C, persino a 2°C se non cambiamo tendenza, in pochi anni secondo un calcolo statistico e questo sarebbe dovuto al contemporaneo aumento di CO2 nell’atmosfera causato dalle attività umane. Si tratta quindi più di una previsione e non di una certezza, basata comunque sul fatto che a quanto pare c’è un effettivo aumento in corso.

Ci sono tuttavia diverse ragioni per cui credo che la relazione clima inquinamento andrebbe affrontata su scala più ampia e che ci sono diversi concetti che bisognerebbe considerare.

Il clima della terra è sempre cambiato, perciò questa non è la prima né l’ultima volta nella lunga e travagliata storia del nostro pianeta che questo avviene. Ammesso che sia colpa nostra, e non è improbabile che abbiamo una parte di responsabilità, saremmo davvero in emergenza?

Innanzitutto bisognerebbe stabilire delle temperature standard misurate in certe condizioni e in certi luoghi e prendere un periodo di tempo sufficientemente lungo per capire se questi centocinquant’anni sono anomali o se fanno parte di qualcosa di più ampio.

Centocinquant’anni sono pochi nella storia della terra e le temperature sono misurate con determinati metodi, con una certa cadenza e in determinate condizioni, cosa che non può valere per dati presi in precedenza, perché più si va indietro nella storia e più cambiano i metodi e le unità di misura, le datazioni, e non è detto che ci sia stato sempre l’interesse a misurare costantemente la temperatura dappertutto. Bisogna considerare che metodi e unità di misura variano non solo nel tempo, ma anche nello spazio: ciò avviene nel 2022, persino tra paesi con una storia comune, per fare un esempio, nonostante tutti si siano uniformati al grado centigrado nei paesi anglosassoni si usano ancora i Fahrenheit, figuriamoci se parliamo di un mondo precedente non ancora globalizzato. Stessa cosa vale per i calendari: sebbene ormai gran parte dei paesi del mondo si siano uniformati a un solo calendario, esiste evidentemente più di un calendario solare che fa si che i cattolici festeggino il Natale il 25 dicembre e gli ortodossi in Russia, il primo di gennaio, mentre tutt’ora noi festeggiamo la Pasqua seguendo un calendario lunare e le ricorrenze di parecchie popolazioni, come quelle arabe continuano a seguire i moti della luna.

Centocinquant’anni fa l’idea di Europa era ancora lontana, l’Italia forse era appena nata, c’erano un insieme di paesi monarchici che pensavano più a farsi la guerra tra loro e affermarsi come potenze coloniali, da est c’era ancora la “minaccia” dell’impero ottomano che si avviava al declino, mentre la Russia era ancora sotto lo zar e gli Stati Uniti si rafforzavano al loro interno. È vero che è il periodo in cui la scienza moderna si afferma, alcuni scienziati come Darwin si interrogano sull’origine e sull’evoluzione della vita, e forse Milankovich iniziava già i suoi studi sul clima e sulle sue correlazioni con i moti millenari della Terra, e avvengono già le prime esplorazioni dell’Antartide, ma non c’è ancora una comunità scientifica mondiale unita con interessi comuni, non c’era la possibilità di comunicare ogni risultato in tempo reale, forse non si comprende ancora l’importanza dei ghiacciai né c’è un’attenzione generale a ciò che avviene al pianeta. Nemmeno la conoscenza geografica è quella di oggi, le esplorazioni spaziali sono di là da venire. Se poi aggiungiamo che da allora fino ad oggi ci sono state due delle più sanguinose guerre che la storia abbia mai conosciuto che hanno coinvolto un po’ tutto il mondo, difficile pensare che la priorità fossero le temperature del pianeta. Difficile anche fare un confronto tra temperature misurate con una certa precisione e quelle ricostruite, per capire se c’è stato un cambiamento repentino o se viviamo una fase anomala all’interno di un cambiamento più ampio.

Noi causiamo danni al pianeta, e questo è un fatto credo difficile da discutere. Tuttavia, siamo davvero in grado di cambiare il clima del pianeta? Ripeto, è possibile che abbiamo una responsabilità, ma quanto inquinamento e clima sono realmente legati e quanto piuttosto si tratta di due fenomeni diversi? Tante e complesse sono infatti le cause del cambiamento climatico e la CO2 è una delle ultime.

Anche ammesso che la responsabilità sia completamente nostra, esattamente che significa che siamo in emergenza? Possiamo noi intervenire sulla natura senza considerare che essa segue il suo andamento, cambia, muta, si evolve? Premesso che se domani smettessimo tutto d’un colpo di inquinare ne gioveremmo noi e ciò che ci circonda, siamo sicuri che la natura non aspetti altro che un nostro intervento che riporti tutto com’era? Che nel frattempo non segua una sua direzione a prescindere da quello che facciamo noi? E anche se fossimo in grado di intervenire tornerebbe tutto come prima? Stiamo andando verso una catastrofe o verso un cambiamento che forse comporterà si, la sparizione di alcune specie e alcuni ambienti, forse la nostra stessa specie, ma anche la comparsa di qualcos’altro?

Siamo inoltre sicuri che le nostre soluzioni salvifiche siano effettivamente salvifiche per la terra? Ad esempio, usare una fonte di energia potente come il nucleare per continuare a produrre alla stessa velocità di adesso senza produrre ulteriore CO2 ci porterebbe a salvare il pianeta? Il clima, come già detto, non dipende solo dalla CO2, e l’inquinamento non è solo ciò che sporca visibilmente, ma ciò che impatta, anche se invisibile. Non meno importante considerazione, non sarà proprio questa mania di produrre all’attuale velocità il problema vero?

Non sarò sicuramente io a rispondere a tutte queste domande, ma credo valga la pena di porsele e rifletterci sopra, non per sminuire quello che continuiamo a combinare, ma proprio per capire che non siamo i padroni assoluti della terra e che rispettarla vuol dire anche sapere quando fermarsi. Per capire se, nella fretta di fare qualcosa di definitivo e salvifico, non rischiamo piuttosto di fare altri danni. E perché, se la scienza non è una religione, allora deve soffermarsi a riflettere piuttosto che fornire soluzioni facili e veloci per politici che hanno bisogno di dire qualcosa ai propri elettori e aziende che devono sviluppare e lanciare sul mercato il prima possibile i propri prodotti.

1.1 La percezione delle stagioni

Ho iniziato parlando delle spiagge affollate sulle isole del Mediterraneo, in particolar modo la Sicilia.

Foto 2. Torre Cabrera, Pozzallo, 1700

Innanzitutto bisogna dire che i siciliani non sono molto amanti del mare. La Sicilia è un’isola prevalentemente montagnosa e piena di cave, che nel corso della storia, dai greci ai fenici, fino agli arabi è stata più volte assalita da marinai e pirati e tuttora la gente che vive nei luoghi più interni, anche quando si trova a pochi chilometri dalla costa, ha una certa diffidenza nei confronti del mare. Molti lo vedono come un nemico, o meglio il luogo da cui provengono i nemici, e perciò la villeggiatura e i bagni sono una cosa relativamente recente e che comunque per molto tempo è stata riservata a chi poteva permettersela. Il libro di Raffaele Poidomani, Carrube e Cavalieri, parla di una famiglia storica e benestante del modicano nel 1700 e racconta in particolare del periodo in cui, tutti i membri si mettevano in viaggio per attraversare la campagna modicana e avviarsi verso il mare di Pozzallo. Allora sembrava un viaggio lunghissimo, i più piccoli e le donne carichi dei bagagli si mettevano in carrozza mentre gli uomini seguivano a piedi perché non c’era spazio per tutti a bordo e dopo aver viaggiato una giornata intera, verso sera si arrivava a destinazione. Una distanza che oggi viene regolarmente coperta in mezz’ora eppure tutt’oggi anche chi vive a soli dieci minuti dal mare preferisce trasferirsi in case costruite appositamente vicino alla costa dove passare tre mesi di vacanza piuttosto che fare avanti e indietro dal proprio paese ogni giorno. La conseguenza è che si sono formati veri e propri paesi di mare, che tuttavia non hanno nessuna forma o struttura di paese sono più degli ammassi di costruzioni, che rimangono abbandonati e deserti buona parte dell’anno perché già dopo ferragosto, alcuni a settembre, ognuno riparte al suo paesello. L’idea poi di affittare queste case ai turisti o eventuali viaggiatori di passaggio è molto recente, poiché molti luoghi della Sicilia sono rimasti sconosciuti fino a un decennio fa. È probabile che a questo abbia contribuito il fatto di aver inserito alcuni luoghi di importanza storica o naturalistica nel patrimonio dell’Unesco o di aver istituito la Bandiera Blu, una sorta di premio che viene dato ogni anno alle spiagge più pulite d’Italia.

Anche il rapporto con l’acqua dei siciliani non è dei migliori, tanta gente non nuota nemmeno, si limitano a mettere i piedi a mollo o stare vicino la riva, e se poi il vento si fa leggermente più intenso della normale brezza marina, in molti evitano proprio di andare in spiaggia. Tutti hanno sempre conosciuto Siracusa e la Valle dei Templi di Agrigento, nemmeno Agrigento città probabilmente che fino a poco tempo fa era un paesino con un unico bar al centro e la gente che ti guardava diffidente, dove dopo le 8 di sera non c’era più nessuno in giro. Spiagge che oggi sono invase a settembre e ottobre qualche anno fa ad agosto erano frequentate esclusivamente da chi aveva costruito casa nelle vicinanze, tanto che potevi indovinare con certezza chi vi avresti trovato. Nemmeno i lidi o i chioschi che vi si trovano oggi c’erano. Pachino e Marzamemi, oggi affollatissime mete turistiche diventate famose un po’ per la coltivazione del pomodorino, un po’ per la tonnara, non erano così rinomate fino a dieci anni fa. Le spiagge di Marina di Ragusa sono diventate famose grazie alla serie del Commissario Montalbano, e all’attrazione che esercita la famosa terrazza affacciata sul mare che nella realtà non è in un punto poi particolarmente bello. Non si può nemmeno dire che in Sicilia la gente fosse molto interessata ai turisti, semplicemente nel momento in cui i loro luoghi sono diventati conosciuti, in molti hanno cominciato a cogliere al volo l’opportunità di fare soldi.

C’è anche da dire che i social network hanno contribuito sia a fare conoscere molti luoghi sia a far si che la gente condivida la sua quotidianità.

Parlerò più avanti del clima della Sicilia, ma vorrei anticipare il concetto che abbiamo delle stagioni.

Foto 3. Bianco Natale

Primavera foglie e fiori,

bei colori e molti odori

in estate c’è vacanza

e c’è grano in abbondanza

In autunno è uva d’oro

pere, mele, un gran tesoro,

in inverno c’è il ceppo accesso

c’è la neve ma il fuoco acceso

Questa filastrocca che ho imparato forse in prima elementare e non mi ricordo più nemmeno se l’ha scritta qualcuno o se l’ha inventata la maestra, rappresenta il modo in cui a scuola più o meno invariabilmente si studiano le stagioni e l’idea che abbiamo nella testa riguardo ad esse. Questa distinzione così marcata tuttavia tra una stagione e l’altra è vera a determinate latitudini, in paesi del centro Europa, come la Germania ad esempio. In Sicilia la temperatura è mite per gran parte dell’anno, il freddo vero è limitato ai mesi di gennaio e febbraio e buona parte della vegetazione è sempreverde, la neve è qualcosa di raro (con l’eccezione dell’Etna e alcune zone più interne) e spettacolare. A scuola fino alle medie avevo compagni che non avevano mai visto la neve, e tuttora è per me un evento.

Nella nostra immaginazione contaminata (in senso positivo) da tradizioni non nostre, ci siamo abituati a pensare al “Bianco Natale” e inoltre, per motivi principalmente commerciali vediamo i panettoni nei supermercati già da ottobre. Perciò diventa normale aspettarsi che già con l’inizio dell’autunno arrivi il freddo necessario a creare l’atmosfera natalizia, quando mancano tre mesi, un’intera stagione, in cui pure in centro e nord Europa il clima rimane ancora relativamente mite, quella famosa stagione di passaggio, di mezzo, la mezza stagione.

Dico tutto questo, non per negare i dati sulle temperature ma per dire che quello che a livello personale pensiamo riguardo al clima sia molto influenzato dalle emozioni, dalle immagini da cui siamo bombardati, dalle sensazioni del momento, da quanto ci dicono i giornali e dai nostri ricordi, in parte veri in parte falsati. Per dire insomma, che non bisogna mischiare i ricordi e le sensazioni con i dati sulle temperature e con l’inquinamento.

Personalmente, ricordo estati molto più calde e molto più lunghe, pomeriggi estivi in cui l’aria era soffocante e irrespirabile in città, ma in cui se si andava al mare soffiava il vento, autunni secchi alternati ad altri piovosissimi, un freddo improvviso a settembre seguito da una nuova ondata di caldo a ottobre. Qualcun altro potrebbe tranquillamente contraddirmi e sostenere che non ha mai vissuto un’estate così afosa come quella appena passata, perché magari gli è rimasto vivido il ricordo di un’unica giornata mite in un’estate particolarmente calda o perché più si va indietro nella memoria, più si perde il conto degli anni e le sue “estati fresche” non corrispondono alle mie. O magari conta il fatto che alcuni di noi sono più inclini a sopportare il freddo e altri il caldo. O ancora c’è chi passa l’estate al mare o in campagna e chi suda in città costretto in casa con l’aria condizionata.

Per finire, non c’è dubbio che anche il fatto che le nostre case siano climatizzate d’estate e d’inverno influisca sulla nostra percezione della temperatura. A parte il fatto che è vero che l’aria condizionata contribuisce a far aumentare la temperatura esterna, è altrettanto vero che se ci abituiamo a chiuderci in casa con 13 gradi, ogni qual volta usciamo percepiamo una temperatura due volte superiore a quella reale. La stessa cosa, ma inversa, avviene quando ci seppelliamo d’inverno nelle nostre camere coi termosifoni a 35°C tutto il giorno.

Continua…

Bibliografia:

– Raffaele Poidomani, Carrube e Cavalieri, Tomaselli editore

Climate change widespread, rapid, and intensifying – IPCC https://www.ipcc.ch/2021/08/09/ar6-wg1-20210809-pr/

– Wikipedia

Foto:

– 1. https://www.agrigentonotizie.it

– 2. https://www.oltreimuri.blog

– 3. https://www.youtube.com

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Davvero abbiamo bisogno del Green Pass?

https://www.open.online/temi/green-pass/

Il 6 agosto 2021 il governo e lo Stato italiano fanno un ulteriore passo verso la negazione della libertà di coscienza e verso l’esclusione di parte dei cittadini dalla vita pubblica, nonché dai diritti fondamentali di opinione e autodeterminazione della propria (e altrui) salute e dei propri (e altrui) corpi.

Con l’introduzione del così detto Green Pass, ovvero il certificato che permette di accedere a cinema, teatri, bar, ristoranti, ma anche congressi, convegni e centri culturali dove occorra sedersi al chiuso, soltanto alle persone che abbiano ricevuto almeno un dose di vaccino contro il Covid-19. Oppure che siano guarite dal Covid-19 stesso, o ancora che abbiano effettuato un tampone risultato negativo nelle 48 ore precedenti.

Ci siamo chiesti, da Anarchici, se potevamo accettare questa situazione e la risposta è stata unanime, no che non possiamo. Ma cerchiamo di analizzare per quanto possibile la situazione dall’inizio e partendo dal passato.

1. Il potere dei numeri

Tra il 2009 e il 2010 c’è stata un’epidemia di un virus influenzale chiamato H1N1, ci furono diverse migliaia di morti e si approntò persino un vaccino tentando di obbligare la popolazione a vaccinarsi con la stessa strategia del terrore messa in atto adesso. Poi per circostanze misteriose il vaccino sparì, così anche la malattia e i morti svanirono nel nulla e a distanza di più di dieci anni quando si fa riferimento al virus H1N1, se ne parla come un banale virus influenzale. Eppure i morti ci sono stati.

Naturalmente il calcolo di questi morti si basa su una stima perché allora non c’era ancora l’idea del tampone e il conteggio è stato fatto in modo radicalmente diverso da ora, perciò un confronto tra i numeri dei morti risultanti non è assolutamente fattibile. Ma il punto è:

Se di una cosa non se ne parla abbastanza, essa diventa insignificante?

Ogni giorno nel mondo accadono cose atroci. Eppure ci passano sotto gli occhi come “semplici notizie”. Poi accade un fatto sul quale l’opinione pubblica per qualche motivo pone l’attenzione. E di colpo scopriamo che migliaia di persone muoiono in mare per cercare una vita migliore, che altrettante ne muoiono sotto le bombe, che centinaia di migliaia di persone ogni giorno lottano contro le discriminazioni e la fame, e che milioni di persone muoiono per malattie. Morivano anche prima ma la sensazione è che noi l’abbiamo scoperto soltanto in quel momento.

E forse il motivo per cui ci siamo di colpo accorti delle migliaia di vittime di Covid è che ce le siamo trovate in casa nostra prima che nelle case altrui. Prima siamo stati bombardati giorno e notte dai mass media con la notizia di un nuovo pericolosissimo virus cinese, poi abbiamo avuto notizia dei primi morti in patria nostra e in seguito abbiamo iniziato a tentennare tra l’incertezza e l’incredulità fino al giorno in cui l’allora presidente del Consiglio disse:

«È pericoloso, chiudiamo tutto».

È curioso il fenomeno per cui da quello stesso giorno anche le persone che fino al giorno prima erano addirittura scettiche sull’esistenza del virus si siano improvvisamente rintanate in casa in preda al terrore convinte di essere in serio pericolo di vita solo perché l’aveva detto il presidente del consiglio, quando ancora fino ad allora la vita di molte di loro non era ancora cambiata di una virgola.

https://www.aerzteblatt.de/nachrichten/113600/Studien-Lockdown-hat-viele-Millionen-Menschenleben-gerettet

Abbiamo cominciato a vedere morire gente vicino a noi, persino qualcuno (pochi fortunatamente) che non aveva altri problemi di salute, poi abbiamo visto le insostenibili situazioni degli ospedali, in seguito uno ad uno gli altri paesi sulla scia dell’Italia si sono chiusi dentro i loro confini e le persone si sono confinate in casa, e ci siamo sentiti indifesi e deboli di fronte a un esserino così piccolo, fino ad arrivare a credere che sette miliardi di persone nel mondo fossero attanagliate dal nostro stesso terrore. La verità è che almeno nella prima fase anche nella stessa Italia la malattia non si è diffusa uniformemente dappertutto, ma ha fatto maggiori danni al Nord, mentre il Sud per diverso tempo è stato zona franca salvo dei focolai di Covid all’interno di case di riposo o ospedali, luoghi di per sé in condizioni sanitarie pessime. Il modo in cui il virus è arrivato in questi luoghi non è sempre stato chiaro e i racconti che ne sono stati fatti assumono i contorni del mito. Comunque le misure sono state adottate nello stesso modo in tutta Italia e subito dopo negli altri paesi europei, anche se non tutti sono stati così severi da impedire qualsiasi spostamento fuori di casa e pian piano nel resto del mondo.

Ma quanti sono centinaia di migliaia di morti nel mondo? E perché ci siamo concentrati così tanto su questo numero e non su quello dei guariti o su quello di quelli che non si sono mai ammalati?

Gran parte della ricerca, della prevenzione e del contrasto al virus, si sono infatti incentrati – soprattutto per la difesa delle persone più fragili e anziane – su riconoscimento e cura dei sintomi, dispositivi di protezione individuale, distanziamento sociale e campagna di vaccinazione, ma ancora pochissima attenzione e priorità sono state poste nel mettere in luce le ragioni che fanno di questo virus – fortunatamente e nella grande maggiorana dei casi – qualcosa privo di sintomi, con sintomi lievi o comunque curabili senza particolari danni per l’organismo.

Forse perché la risposta sarebbe qualcosa di particolarmente scomodo per quelle strutture sociali che rendono possibili gli stessi discorsi di potere medico sulla realtà. Ad essere particolarmente dannoso e mortifero non è tanto il Covid-19 in sé (pur serio e da contrastare, con i mezzi adeguati e necessari). Bensì appunto quelle condizioni sociali, economiche, ecologiche, culturali, che quotidianamente a livello globale costringono gli esseri umani a stili di vita nefasti. Col conseguente proliferare di questo ed altri (presenti e futuri?) virus e l’abbassamento di difese e capacità immunitarie.

Quella risposta che probabilmente non consentirebbe mai a nessun vaccino di essere soluzione esaustiva o definitiva alla pandemia. Senza un profondo e radicale cambiamento in direzione di una società pienamente orizzontale, ecologica, solidale.

2. I negazionisti

Sono state dette tante cose su questo virus ed è stato difficile negli ultimi due anni distinguere il vero dal falso tra notizie ufficiali e altre meno, smentite, presunti studi di presunti esperti, tuttavia c’è stato un tentativo di zittire ogni voce fuori dal coro “ufficiale” etichettando la gente come “complottista” o peggio “negazionista”, pericolosissima definizione che in passato aveva ben altra definizione, solo perché si era sparsa la voce di un’improbabile gruppo di persone che negavano per l’appunto l’esistenza del virus e sostenevano che Trump avrebbe salvato il mondo dalla dittatura sanitaria: una storia che non si reggeva in piedi sostenuta da foto e post strampalati sui social, ma questo è bastato per relegare migliaia di persone con le loro ragioni, i loro pensieri, le loro testimonianze nell’angolo dei nemici della comunità e per far categorizzare come ciarlatani diversi medici, scienziati e infermieri non d’accordo con la versione ufficiale dei fatti. Ora, etichettare e bollare chi si oppone a una cosiddetta verità ufficiale e creare presunti gruppi di persone pericolose contrarie al sistema è stata da sempre una strategia del potere per mettere a tacere ogni tipo di opposizione al sistema e in Italia ha sempre funzionato benissimo. Un po’ come quando si accusano gli anarchici di essere bombaroli perché un gruppo non meglio identificato e probabilmente creato su misura e tirato fuori al bisogno si rivendica l’uso di una bomba.

3. La statistica

https://sites.google.com/a/marconirovereto.it/archeologia/home/i-metodi-matematico—statistici

Quando guardando il telegiornale apprendiamo che ogni giorno muoiono mille persone di Covid ci prende un infarto. Mille persone sono mille vite che potrebbero essere benissimo le nostre vite ed è normale che siamo tristi, spaventati, confusi, arrabbiati perché nel mondo ancora si muore di influenza. Ma facciamo l’errore di voler giustificare il nostro senso di umanità con la statistica. La statistica non è umana e perciò si deve purtroppo porre delle domande, e in definitiva i numeri li possiamo leggere in modi diversi a seconda delle risposte. Non esiste cosa più relativa della statistica, e i mille morti che oggi sono così importanti, domani potrebbero diventare insignificanti.

Mille morti in tutto il mondo o in un paese solo? In tutto il paese o in una singola città? E quanti abitanti fa il paese in questione? Sono morti in un giorno all’improvviso o era gente malata da diverso tempo e spacciata da un po’? Mille morti su quanti malati? E su questi malati, quanti altri sono guariti? Sono morti di virus o per effetti collaterali dovuti al virus? O erano semplicemente positivi per puro caso ma sono morti per altri motivi? Inoltre, quanti ne sono morti di più rispetto alle precedenti influenze?

A noi hanno detto soltanto che sono morte tante persone, soffermandosi sul numero di morti e riportando gli altri numeri soltanto per dovere di cronaca che appunto sono passati inosservati.

Certo, è vero che è stato osservato che la percentuale di gente che prende il Covid è più alta di quella che prende le altre influenze e di conseguenza la stessa percentuale dei morti su un numero maggiore di malati ha un significato molto diverso. Ma bisogna vedere anche come sono stati fatti i calcoli. Innanzitutto, come detto sopra, prima non si facevano i tamponi quindi era impossibile avere in tempo reale il numero di positivi o presunti tali. Inoltre cosa sarebbe successo se l’attenzione si fosse spostata sui guariti? O su quelli che non si sono mai ammalati? Se avessero posto l’attenzione un po’ di più che i positivi al Covid non sono necessariamente morti di Covid perché nel conteggio hanno messo insieme un po’ tutti. Chi si è soffermato infatti su un certo discorso della protezione civile in diretta sulla Rai, durante la lettura del bollettino serale che sembrava un bollettino di guerra, avrà sicuramente sentito chiaramente la frase:

«Ricordiamo che non è stata fatta una differenza tra il numero dei positivi al coronavirus e il numero di morti per coronavirus».

Cioè uno potrebbe essere stato positivo al Covid ed essere morto di infarto indipendentemente dal virus, o al limite il virus ha infierito in un problema preesistente ma non è stata la causa principale.

Oltre al significato dei numeri ci si potrebbe anche interrogare se sia stata davvero tutta colpa del Covid.

Cosa sarebbe successo se invece di andare in ospedale i pazienti fossero stati visitati dai medici e cosa è successo effettivamente ai pazienti curati dai medici che non hanno seguito l’ordine di non visitare nessuno per non venire contagiati? Cosa sarebbe successo se gli ospedali non avessero usato una strategia che si è rivelata sbagliata fin dal principio? Cosa sarebbe successo se si fosse puntato di più a curare i pazienti con cure che sono state tentate e hanno avuto anche successo invece di bollare queste cure come inadeguate o inefficaci? E se in Italia negli ultimi anni si fosse investito di più nella sanità pubblica invece di consegnarla in mano ai privati? Potremmo porci ancora altre mille domande, ma dato che non si vive di sé non sapremo mai cosa sarebbe potuto accadere.

Ci sono però testimonianze di medici che sostengono di aver curato i propri pazienti ignorando le disposizioni del ministero e che questi ultimi non sono andati nemmeno in ospedale e anche se sono state salvate tante vite con le suddette cure. E sembra ci siano prove che il piano pandemico italiano non era aggiornato e l’Italia, a differenza di ciò che ha sempre sostenuto il governo, non era affatto pronta ad affrontare l’emergenza come avrebbe dovuto.

4. Salute collettiva

Comunque è andata com’è andata e di colpo la questione salute è diventata una questione collettiva. Si sono ignorati completemente tutti gli interrogativi sopra riportati e la responsabilità è ricaduta su tutti noi. Si è abusato della parola “egoismo” al punto che qualsiasi altro problema di salute è stato messo in secondo piano rispetto al coronavirus e così ciò che per molte persone è salutare e necessario per la sopravvivenza è stato sacrificato con la pretesa di salvare il mondo dall’influenza. E alla fine di restrizione in restrizione, di divieto in divieto e di obbligo in obbligo siamo arrivati al vaccino.

5. Sanità pubblica

https://www.infermiereonline.org/2020/03/19/angeli-eroi-semplicemente-infermieri/

Gli infermieri che sono stati fatti santi ed eroi lavoravano e lavorano in condizioni precarie, fanno turni lunghissimi e sono pagati male. Nemmeno un anno dopo questi “eroi nazionali” dopo aver rischiato la vita nelle corsie d’ospedale sono stati ricattati dallo stesso stato che li ha divinizzati: se non si vaccinano possono andarsene a casa. E chi si è rifiutato è stato messo alla berlina da quello stesso popolo che li ha acclamati sul balcone fino a pochi mesi prima. Tanto non è stato mica quel popolo nella corsia d’ospedale e molti di quelli che hanno così tanta paura di essere infettati dagli infermieri che li dovrebbero curare non hanno avuto nemmeno un sintomo di febbre. Non solo. Quelli che dovrebbero essere esperti in materia di medicina e che hanno quindi parecchie basi scientifiche per sostenere la loro contrarietà all’obbligo vaccinale, o quantomeno di dubitare, vengono additati di ignoranza dai loro colleghi che hanno avuto la laurea dalle stesse istituzioni, o peggio dal popolo che non mastica un’acca di scienza ma si fida di quello che passano le fonti ufficiali. Forse perché la gente ha bisogno di qualcosa in cui credere e in un momento di crisi della religione ripone le sue speranze nella scienza. Confondendo la scienza con la fede. Viene fatta quindi una suddivisione tra gli stessi medici e scienziati, come se la verità della scienza sia una sola e ci sia poi della scienza di serie B che non vale la pena nemmeno di considerare.

6. La scuola

https://www.orizzontescuola.it/banchi-a-rotelle-il-50-non-e-stato-mai-utilizzato-dalle-scuole/

Tra i settori più colpiti dalla pandemia c’è sicuramente la scuola che è stata chiusa per quasi un anno e in certe circostanze anche di più. Bambini di sei anni alle prime armi e adolescenti sono stati costretti a far lezione da casa davanti allo schermo di un computer. Persone di una fascia di età che non si riesce a tenere nemmeno sui banchi di scuola con un’insegnante in carne ed ossa e con facce amiche intorno si sono dovute adeguare a restare cinque, sei ore davanti a un computer, in barba a tutti i discorsi infiniti (spesso esageratamente antitecnologici) degli anni precedenti su quanto questa pratica sia dannosa e diseducativa a quell’età. Naturalmente è un sistema che non ha mai funzionato, se non in rari casi di insegnanti sensibili che hanno capito che non era possibile fare lezione come in classe e che bisognava approfittare di quei momenti per stabilire un contatto quanto più umano possibile con i propri studenti, ragazzini che si sono ritrovati senza preavviso imprigionati tra le mura di casa. Per molti insegnanti invece è stato un grosso trauma dover affrontare tutti i problemi tecnici legati alla tecnologia e alla mancanza di voglia di fare lezione dei propri studenti che trovavano ogni pretesto per distrarsi o per disconnettersi.

Il microfono non si sente”, “La telecamera non funziona”, “C’è un rumore di sottofondo”, sono soltanto alcuni dei problemi che hanno dovuto affrontare insegnanti poco avvezzi alla tecnologia e studenti un po’ inesperti, un po’ svogliati, un po’ indisposti ad accettare la nuova situazione.

La verità è che anche la scuola è stata colpita da anni di malagestione, da scarsi investimenti o investimenti fatti male e il risultato di tutto questo è che quando hanno cercato di far tornare tutti in classe l’unica soluzione trovata è stata quella di far indossare a tutti la mascherina e lasciare le finestre aperte in pieno inverno. Si è vociferato che per mantenere la distanza tra gli alunni le scuole abbiano investito in certi banchi singoli e a rotelle, banchi che le scuole non hanno mai visto o hanno visto e hanno dovuto per motivi non chiari dismettere subito. Anche qui, tante notizie e poca chiarezza.

Bambini si sono ritrovati nel panico ogni volta che si scopriva qualcuno tra loro con sintomi di raffreddore o febbre e allora tutta la classe doveva rimanere a casa in attesa di sapere l’esito del test, salvo poi rientrare tutti per cessato allarme. Liceali si sono ritrovati a fare le scuole tecniche da casa col risultato che non hanno imparato nulla e hanno buttato via un intero anno scolastico. Alla fine hanno cercato di convincere anche gli adolescenti e i bambini a vaccinarsi, allettandoli con la promessa di potersi finalmente fare la vacanza saltata a causa del virus e offrendo loro persino dei soldi a questo scopo (parliamo di uno stato che non ha mai investito una lira per il futuro dei giovani). Gli insegnanti sono stati praticamente costretti a vaccinarsi.

Ora, la domanda sorge spontanea: a quindici anni, ma anche a sei, se non si sviluppano gli anticorpi, quando dovrebbero svilupparsi? Quanto ha influito il coronavirus tra bambini e adolescenti? Quasi per nulla a dire il vero. Inoltre: perché si fa il vaccino? Se si facesse fare a tutti i vaccinati un tema vecchio stile dal titolo “Mi vaccino perché…” cosa verrebbe fuori?

Ma lasciamo per un attimo questi interrogativi in sospeso, ci ritorneremo più avanti.

7. Vita quotidiana

https://global.techradar.com/it-it/news/smart-working-cose-come-funziona-a-cosa-serve

https://www.dexionitalia.it/soluzioni/magazzini-automatici-alimentari/

Con la scusa di arginare i contagi la nostra vita quotidiana è cambiata radicalmente. Molte persone hanno iniziato a lavorare da casa e si è cominciato a parlare di “smart working”. Chi poteva certo, perché molti invece sono dovuti andare a lavorare lo stesso a loro rischio e pericolo: di questi ultimi lavoratori nessuno si è mai occupato seriamente, parliamo ad esempio dei lavoratori del supermercato o di quelli dei magazzini alimentari, i braccianti agricoli, gli autisti degli autobus, tutti quelli che lavorano nel campo delle consegne a domicilio, gli impiegati delle poste, gente che deve continuare a fare la sua parte perché il mondo non si fermi e il paese non muoia di fame. Molte attività commerciali, invece, così come tutti i luoghi di cultura hanno dovuto chiudere i battenti, perché ritenuti “non necessari” e così c’è chi non ha avuto nemmeno la possibilità dello smart working e ha rischiato di morire di fame aspettando ipotetici sussidi dello stato.

Ora, al di là dell’eterno interrogativo di cui l’umanità non potrà mai fare a meno, ma al quale non troverà forse mai una risposta, ovvero cosa è utile e cosa no e cosa significa utilità, questo è stato un grave danno per la cultura e l’economia.

Della cultura ha decretato la definitiva morte, soprattutto se parliamo dell’Italia, un paese che si vanta di essere patria di poeti e artisti ma nel quale la cultura ha sempre occupato l’ultimo gradino nella scala dei settori su cui investire, alla pari del futuro dei giovani a dire il vero e dello sport.

Soltanto una cosa ha ricevuto di colpo fondi da tutte le parti, la ricerca scientifica. Ma quale ricerca? Non quella libera e indipendente che sognavano gli studenti dell’Onda e prima di loro altre generazioni di studenti, ma la ricerca in determinati ambiti per degli scopi specifici e sostenuta non dalla pubblica istituzione ma dalle case farmaceutiche e da diverse multinazionali che per qualche motivo si sono interessate di colpo a tale campo. Amazon per esempio ha speso milioni nella sanità per far diventare la sanità qualcosa di controllabile e monitorabile “da casa” magari attraverso il semplice uso di un’app. Lo scopo? Abbattere i costi della sanità riducendo le visite da un medico in carne ed ossa solo quando strettamente necessarie e avere un maggiore controllo sulle persone, probabilmente a scopi principalmente economici.

Non è esatto dire che l’economia si sia fermata. Sono state fatte piuttosto delle scelte economiche precise, si è deciso di investire in alcuni settori a scapito di altri. Il settore dei generi alimentari più o meno di base, delle consegne a domicilio (sempre Amazon ha fatturato miliardi di dollari solo nel 2020), delle televisioni a pagamento oltre che della telefonia e di internet, ma soprattutto del settore sanitario. Se da un lato infatti i bicchieri usa e getta di plastica sono stati sostituiti da quelli di carta e sono state eliminate le cannucce nell’ottica di un mondo plastic free, dall’altro a dispetto del buco dell’ozono è stata prodotta una quantità incredibile di mascherine monouso, tamponi usa e getta, guanti in lattice, disinfettanti e fazzoletti umidi oltre naturalmente al vaccino. Si potrebbe anche accennare che sempre in barba alle tonnellate di CO2 che rilasciamo nell’atmosfera, in tanti per non prendere i mezzi pubblici hanno ripiegato su mezzi privati, e chi non ha usufruito del bonus bicicletta è

da https://www.natracare.com/blog/plastic-free-homesteading-tips-for-going-plastic-free-at-home/

tornato alla cara, vecchia automobile, facendo tornare in auge un’economia che doveva essere superata, quella del petrolio.

I settori che si potrebbero riassumere nelle parole svago-turismo invece, che rientrano nelle cose da fare “fuori di casa” e che non sono lavoro o spesa, sono stati completamente fatti fuori. Per quasi due anni si è tacciato di egoismo chi voleva farsi l’aperitivo al bar o pensava alle vacanze “in un momento simile”, come se non ci fosse consentito distrarci nemmeno per un attimo dalle morti e dalla malattia e fossimo condannati a soffrire. A parte l’assurdità di questo pensiero, avremmo dovuto smettere di vivere da tempo infatti considerando tutto quello che accade nel mondo, la verità è che centinaia e centinaia di persone hanno dovuto chiudere bottega e sono rimaste senza lavoro. La stessa fine è toccata ai luoghi sportivi, palestre, piscine, e persino chi andava a correre da solo per strada veniva ritenuto un pericolo per gli altri, senza capire che lo stare chiusi in casa, senza prendere aria, muoversi, almeno sfogare lo stress può essere ancora più pericoloso per la salute. Nemmeno i bambini sono stati risparmiati, gli esseri umani che più hanno bisogno di spazi aperti e di movimento, come se fosse scontato chiudere un bambino tra quattro mura.

Naturalmente tutto questo ha avuto le sue contraddizioni. Si poteva andare al supermercato affollatissimo ma non in qualsiasi negozio di vestiti o oggetti. Si poteva prendere qualcosa al bar (in quei pochi bar rimasti aperti che sono riusciti a sopravvivere con il take away) e andare via subito ma guai a sedersi al tavolino. Si poteva salire sulla metro ma se ti sedevi al cinema a debita distanza dagli altri il virus era in agguato dietro lo schermo. E così via.

Se parliamo dei gestori di locali e ristoranti è indubbio che molti di loro siano sfruttatori che guardano soltanto ai propri interessi: è di quest’estate la notizia che non si trova più gente disposta a farsi sfruttare in una cucina per due lire dal momento in cui può starsene a casa e percepire il reddito di cittadinanza. Malgrado il reddito di cittadinanza non sia la soluzione ai problemi economici degli Italiani, è pur vero che ha salvato diverse persone dallo sfruttamento e dalla miseria anche se temporaneamente. Va considerato  che in mezzo a tutti questi sfruttatori ce ne sono tanti altri che hanno dato l’anima per aprire un’attività, che si sono dovuti adeguare per anni a norme sempre più severe riguardo la posizione dei tavoli sul marciapiedi, gli orari di silenzio la notte, la sicurezza del locale, le norme igieniche, hanno pagato tasse e affitti altissimi, si sono ammazzati loro stessi di lavoro e di debiti proprio per evitare di far ricadere le loro scelte su altri, e cos’hanno avuto in cambio? La verità è che da anni si tende a colpire i locali, e più in generale la vita sociale, che ovviamente per fortuna non si riduce al semplice uscire per consumare, ma nella quale i locali fanno comunque la loro parte. Si è posto un orario limite per la chiusura alle 2 di notte, si è vietato l’uso di alcool dopo un certo orario per strada, come se ciò non ti vietasse di riempirti casa di alcool comprato al supermercato e bere da solo e disperato. Strade e piazze un tempo frequentate di notte sono diventate un deserto alla faccia della tanto decantata sicurezza. E ora finalmente con il Covid si è trovata una ragione per imporre il coprifuoco, perché per qualche strana ragione il virus colpisce più di sera quando comunque la frequenza di gente in giro è più bassa rispetto al giorno. La cosa più inquietante è che il coprifuoco ha rappresentato quasi un sollievo per chi non gradiva il casino sotto casa di sabato sera e chi asserisce che finalmente in questo paese si potrà cenare presto, come se una volta che ti chiudi dentro casa qualcuno di impedisca di cenare o dormire all’orario che vuoi tu. Molta gente ha accettato questa situazione perché ha rinunciato già da tempo alla vita sociale presa dal proprio ritmo di vita sempre più stressante, dal lavoro massacrante, dalle frustrazioni della vita e va a finire che se non è necessario non esce più nemmeno di giorno per paura che incontrando gli amici si possa infettare, come se in ufficio, al supermercato o sulla metro ciò non potesse accadere.

Ora finalmente per avere accesso a tutti questi posti che ci sono stati preclusi per un bel po’ di tempo serve il vaccino. O almeno un test negativo. E allora ecco di nuovo che si pone l’interrogativo di prima: perché ci vacciniamo?

Lasciamolo in sospeso ancora una volta.

8. Il vaccino

A pochi mesi dal primo lockdown già si vocifera che arriverà un vaccino a salvarci tutti dall’epidemia e poco meno di un anno fioccano vaccini da tutte le parti. Ce ne sono almeno cinque e questo già dovrebbe far pensare. Della salute collettiva che sembra un argomento così importante non si occupano gli stati, il pubblico non ci mette una lira, non c’è un minimo di cooperazione internazionale, ma sono le case farmaceutiche a fare la corsa al vaccino impegnata ognuna a fare il suo nel modo migliore, come se si trattasse di tirare fuori un nuovo modello di automobile. Naturalmente parte la guerra tra di loro. Di uno di questi vengono comprate migliaia di dosi e spesi soldi e queste dosi non arrivano. Nel frattempo se ne mette in circolazione un altro ma quest’ultimo viene sospeso perché si riscontrano un po’ in tutta Europa problemi di trombosi, poi viene rimesso in circolazione. In questo momento di incertezza, in cui i media ne approfittano per gettare la gente di nuovo nel dubbio e nel panico, molto silenziosamente è stato dato il via libera ad altri due. Intanto succede che nei paesi arabi viene utilizzato un vaccino non approvato in Europa, il vaccino cinese, di conseguenza quei pochi che hanno la possibilità di viaggiare dai paesi africani in Europa con regolare permesso e sono vaccinati non possono farlo devono iniettarsi uno dei vaccini “Europei”. Cosa che naturalmente contribuisce ulteriormente a favorire l’immigrazione clandestina (il mare infatti continua a non controllarlo nessuno e la gente vi continua a tentare la sorte e morire) e a creare una linea di divisione sempre più marcata tra l’Europa e il resto del mondo, soprattutto il mondo arabo.

Alcuni di questi vaccini sono vaccini classici, seppur approvati in tempi assolutamente ristretti, due sono vaccini a mRNA, il Moderna e il Pfizer. Significa, naturalmente esemplificando molto, che interferiscono con il meccanismo di traduzione delle cellule, cioè la parte finale del processo che porta il DNA a produrre le proteine. In pratica il nostro corpo viene indotto a produrre la molecola antigenica che porterà il nostro sistema immunitario a reagire. Detto così sembra una figata. Qualcosa che potrebbe rivoluzionare il mondo della medicina e potrebbe salvare vite da malattie ben più gravi. È però una novità assoluta, un esperimento, considerato il pochissimo tempo in cui è stato approvato e che una cosa del genere non è stata mai provata a livello di massa. E il fatto che questa vaccinazione di massa sia ancora una fase sperimentale non è una cosa che ci tengono tanto nascosta. La sappiamo e in qualche modo l’abbiamo persino accettata. Ma gli esperimenti vanno controllati o per lo meno monitorati. Ci si ferma se avviene un incidente cercando di capire perché esso è avvenuto e se davvero è un incidente casuale o se c’è un motivo. Si valutano gli effetti a lungo termine. Si informa. Invece si è quasi passati ad una fase di esperimento obbligatorio e molti sono consapevoli di essere cavie da laboratorio, come se fossimo tutti in una strada senza uscita sospesi tra la vita e la morte e l’unico modo per salvarci è il vaccino. E questo non vale solo per i vaccini a mRNA, anche gli altri hanno avuto troppa fretta davvero di metterli sul mercato per non perdere la concorrenza. Certo, si dirà qui che i media si sono accaniti ora sugli effetti di un vaccino ora su quelli di un altro spinti dalle stesse case farmaceutiche interessate a mettere in cattiva luce la concorrenza. Il problema è che ci sono state davvero persone che hanno avuto effetti collaterali in tutto il mondo e con diversi vaccini e al di là del bombardamento mediatico è fondamentale capire cosa succede e dove intervenire.

Ora possiamo finalmente riprendere in considerazione l’interrogativo di prima. Perché ci vacciniamo? Per la salute collettiva, dice qualcuno, per tornare alla vita di prima, dice qualcun altro.

La sensazione è che abbiamo tutti accettato la nuova situazione e che ci siamo convinti che ci sia un legame tra la vita di prima e la salute. In pratica se non si debella il virus sarà giusto chiuderci di nuovo in casa come se non avessimo alternative. E se arriva un virus nuovo più potente e più contagioso di questo con il quale abbiamo quasi imparato a convivere? Dobbiamo chiuderci in casa finché non avremo un nuovo vaccino? Abbiamo davvero accettato di vivere così? E davvero stiamo morendo tutti? Davvero siamo tutti in pericolo? Davvero non ci sono alternative? O centinaia di migliaia di morti pur essendo una cifra spaventosa sono tutto sommato non abbastanza per costringere tutti gli altri sette miliardi di sani a vaccinarsi?

Inoltre, il vaccino serve davvero a estinguere il virus? I virus ci sono da sempre e sempre ci saranno e mutano continuamente e velocemente, con o senza vaccino, è una legge universale che vale per tutti gli esseri viventi, è la base dell’adattamento, e per i virus questo vale ancora di più, perciò è impensabile che non moriremo più di influenza. Tanto che è stato detto che vaccinare in tempo di pandemia aiuta soltanto a diffondere le varianti e la vaccinazione va fatta nei periodi in cui il virus è dormiente.

A differenza di altre malattie che non tornano più dopo che le hai avute, l’influenza può tornare e i vaccini pare che abbiano anticorpi a tempo indeterminato. Ora, se è vero che gli anticorpi vanno “rinnovati” allora il vaccino è inutile. Se gli anticorpi invece persistono allora perché vaccinarsi più volte, e perché chi risulta averli ma non si è ammalato da molto tempo è considerato a rischio lo stesso? Inoltre è stato provato che anche chi è vaccinato può prendere il virus e lo può trasmettere. Certo, la probabilità che uno si ammali in forma grave è bassa ma è successo ed è successo anche che qualcuno è morto lo stesso di Covid dopo essersi somministrato il vaccino.

È stato detto che i vaccini stanno già dando i loro benefici. In realtà è stato anche osservato che questo calo dei morti e dei contagi è probabilmente da associarsi alla stagione calda in cui il virus subisce un calo di contagiosità, tanto che i dati non differiscono di molto da quelli dell’estate scorsa, anzi pare addirittura che l’anno scorso la situazione fosse un tantino migliore (sempre se consideriamo i famosi numeri). Ci vuole ancora tempo perché si capisca effettivamente se il vaccino ha fatto la differenza. E ci vuole tempo per capire se non provocherà effetti collaterali a lungo termine nelle persone che attualmente si sentono intoccabili perché vaccinate.

È innegabile comunque un fatto: in questi mesi è morta della gente dopo essersi fatta somministrare il vaccino, o perché ha preso lo stesso il virus in forma grave o perché ha avuto effetti collaterali come episodi di trombosi. Molti inoltre hanno avuto comunque problemi anche se non sono morti, e in tanti hanno sostenuto che soprattutto alla seconda dose di vaccino la reazione del corpo è stata pesantissima.

Ora, questo non è un dato scientifico, perché i casi di morte sono ancora relativamente pochi per farne una statistica (è quello che si diceva più su, la statistica non è umana, i numeri non significano niente se non sono letti) ma è un dato per quanto piccolo o insignificante che sia ed è una realtà. La cosa peggiore è che nessuno sa perché succede e tutto è dato per scontato. È un po’ come dire che siccome succede in pochi casi, tanto vale tentare la sorte.

Tutti i farmaci hanno le loro controindicazioni e ognuno di noi sa che in determinate condizioni non vanno presi. Il rischio? Esiste, nessuno lo nega, ma sai di esporti a un rischio e decidi di conseguenza. Soprattutto nessuno ti obbliga e ci mancherebbe altro perché anche tutti gli altri farmaci sono pur sempre frutto del lavoro delle stesse case farmaceutiche che hanno prodotto il vaccino. Del vaccino firmi solo una liberatoria nella quale dichiari che fai tutto sotto tua totale responsabilità, anche quando sei stato soggetto a pressioni per vaccinarti e non è stata una scelta completamente tua, e se muori pazienza. Il fatto che in molti non si preoccupino di questi “incidenti di percorso” si spiega col fatto che qualche morto di trombosi non vale centinaia di migliaia di morti di Covid. E uno potrebbe anche essere d’accordo se non fosse che il vaccino si fa proprio per prevenire la malattia e invece gente perfettamente sana dopo due anni di pandemia che non aveva altra ragione di ammalarsi ci ha rimesso la vita per proteggersi da qualcosa da cui non era realmente minacciata. E non saprà mai perché questo è capitato a lui o lei e non a qualcun altro.

Non è che non siano state utilizzate delle cure per il Covid 19. C’è stato ad esempio un medico, Giuseppe de Donno, che ha usato la cura del plasma per i pazienti di Covid, che sembra anche aver funzionato bene. Ovvero ha iniettato negli affetti da Covid sangue di pazienti guariti. Questo metodo ha salvato parecchie vite, ma non si sa bene per quale motivo è stato dichiarato inefficace e il medico che l’ha utilizzato, primario di pneumologia all’università di Mantova, cioè mica l’ultimo degli scemi, dopo un po’ di tempo si è dimesso per diventare medico di base in circostanze non chiare e in seguito è notizia di pochi giorni fa che si è suicidato. I dubbi rimangono su quanto accaduto, ma quello che ci preme dire è che non è stato né il primo né l’ultimo scienziato ad essere additato di ciarlataneria e soprattutto le voci fuori dal coro non ci sono soltanto in Italia come siamo portati a pensare.

Sembra che ci sia una tendenza a far andare la scienza verso una sola direzione, a divulgare un’unica verità scientifica, ignorando la natura indipendente e libera del metodo scientifico che si differenzia per questo dalla religione, e ad ignorare chi fa tipi di ricerche diverse da quelle “ufficiali”. O forse sarebbe meglio dire in direzioni diverse da quelle verso cui si muovono i soldi. Dire infatti che la ricerca scientifica è libera come dovrebbe essere è assurdo in un periodo in cui pochi privati nel mondo danno i soldi alla ricerca e il pubblico non se ne occupa quasi o lo fa sempre di meno. Se ne parlava già nel 2008 dell’argomento, almeno in Italia, (e sicuramente anche prima e da altre parti) quando con la riforma Gelmini l’università pubblica è stata data definitivamente in pasto ai privati.

Manifestazione Milano 30 ottobre 2008 (da https://it.wikipedia.org/wiki/Onda_(movimento_studentesco)

E sono infatti le multinazionali del farmaco e non solo interessate all’argomento sanità che decidono la direzione che la sanità deve prendere. E così non stupisce che il patrimonio pubblico venga dato in pasto ai privati.

Ancora Amazon ha fatto parlare di sé pochi giorni fa acquisendo per mochi milioni una delle rimesse dell’Atac a Roma. Amazon è lo stesso che ha investito milioni nella sanità come si diceva più su che potrebbe creare un nuovo modello di sanità e sollevare lo stato dall’obbligo di curare i suoi cittadini. Magari le due cose non sono collegate e noi siamo un gruppo di malpensanti, ma a questo punto sembra purtroppo perfettamente normale che a multinazionali come questa si svenda il patrimonio pubblico.

9. Libertà e collettività

Se davvero fossimo interessati alla salute collettiva sono tante le cose a cui dovremmo rinunciare, dalle automobili alle fabbriche, dai prodotti chimici usati in agricoltura alle migliaia di cosmetici che usiamo quotidianamente. Eppure nessuno sarebbe disposto a rinunciare alla macchina per non inquinare l’aria che respiriamo, e quando una fabbrica chiude il primo pensiero va agli operai che perdono il lavoro, il che è giustissimo per carità, ma nessuno non si accenna mai al fatto che per una comunità intera (compresi gli operai stessi) la chiusura di una fabbrica potrebbe essere un fatto positivo.

Se sei un ciclista incallito che predica l’abolizione dell’automobile sei un egoista che non capisce le esigenze della gente, ma è molto più semplice imporre agli altri di iniettarsi un farmaco nel proprio corpo nel nome della salute collettiva. Nemmeno il principio “sul mio corpo decido io” sembra significare più nulla in questo contesto.

E se da un lato la propaganda pro vaccino ha puntato proprio sulla promessa di tornare alla vita normale, dall’altro si punta il dito contro chi non si vuole vaccinare accusandolo di attaccare la salute collettiva nel nome della libertà di andare al ristorante. È vero che il concetto di libertà è stato traviato da una parte e dall’altra. Libertà non è consumare e troppo spesso ultimamente le parole libertà e liberismo si confondono. Ma è anche vero che la libertà deve essere intesa a 360 gradi e che anche uscire per andare dove si vuole è libertà. Inoltre non è affatto vero che la questione sia semplicemente andare al cinema: come nell’esempio che si faceva riguardo agli operai, anche adesso molta gente rischia davvero di perdere il lavoro, soprattutto il personale medico e sanitario e i dipendenti della scuola pubblica, mentre ragazzini rischiano di non andare più a scuola, e già si parla addirittura tra il serio e lo scherzo che chi non si vaccina non si merita nemmeno le cure mediche perché ha agito irresponsabilmente. E se invece vaccinandosi rischia la vita perché ha altri problemi che non gli permettono di fare il vaccino, non si merita lo stesso le cure mediche? Allora viene in mente che si siano trovate ulteriori scuse per dare un’ulteriore mazzata al sistema sanitario pubblico. Con l’ultimo governo di Berlusconi pensavamo che non ci poteva essere qualcosa di peggio che regalare la sanità e l’istruzione definitivamente al privato. Invece come sempre al peggio non c’è fine. Abbiamo trovato un capro espiatorio nei non vaccinati per giustificare gli eterni problemi del paese come d’altronde è sempre stato fatto nella storia e ora non solo regaliamo tutto ai privati ma smantelliamo quello che di pubblico era rimasto.

10. La dittatura

In una strategia di potere tipica delle democrazie rappresentative, senza che una determinata condizione giuridica venga formalmente resa obbligatoria per tutti, si creano di fatto le condizioni affinché quella condizione sia l’unica possibile per poter sopravvivere e non rimanere esclusi all’interno del sistema stesso.

Così, senza che il vaccino contro il Covid-19 venga formalmente reso obbligatorio, si creano le condizioni affinché diventi di fatto impossibile vivere all’interno dello Stato italiano qualora, per svariati motivi, ci si rifiuti o si preferisca non farlo. Dal momento in cui è ragionevolmente improbabile poter accedere normalmente a tutti i luoghi ed i sevizi per i quali è prevista l’obbligatorietà del certificato verde, pensando di farsi ogni volta un tampone entro le 48 ore precedenti. Né tanto meno contrarre il Covid-19 per poter poi dimostrare di esserne guariti è condizione auspicabile per nessuno.

Attraverso questi provvedimenti, si limita di fatto la possibilità di accesso ad ampi settori della vita pubblica, non solo e non tanto ai “negazionisti” della pandemia (fin dall’inizio funzionali solo a rafforzare la linea ufficiale nella gestione dell’emergenza pandemica), ma anche a tutti quei soggetti che – pur riconoscendo lo stato di emergenza sanitaria globale in cui da quasi un anno e mezzo ci troviamo – non considerano la campagna vaccinale come la sola o come la principale via d’uscita dall’emergenza. Oppure che non considerano i vaccini attualmente in uso in Italia e nell’Occidente, come pienamente sicuri per la salute presente e futura, sia loro che delle nuove generazioni.

E si crea un precedente giuridico molto pericoloso. In base al quale lo Stato potrebbe decidere in futuro di escludere o limitare la possibilità di accesso a spazi e modalità della vita sociale, a soggetti considerati non attinenti a norme e dispositivi sanitari o di sicurezza.

Non c’è bisogno di scomodare i passaporti ariani del Terzo Reich o l’interdizione da negozi, uffici e spazi pubblici degli ebrei durante le leggi razziali nazifasciste (come fatto in modo idiota, propagandistico e strumentale persino da formazioni politiche di destra in questi giorni) per ricordare che quella dell’esclusione de facto dei soggetti e delle categorie sociali che non si adeguano alle loro condizioni o orientamenti dominanti, è una modalità da sempre ampiamente in uso da parte degli Stati e dei sistemi democratici, dei quali è condizione fondamentale di riproduzione e legittimazione.

Lo dimostra il respingimento, la reclusione e l’espulsione (quando non la tortura o l’affogamento) di persone che cercano di varcare i loro confini senza “regolare” permesso. Come la continua persecuzione di realtà che decidono di occupare ed autogestire case, spazi, comunità, invece di demandarne la gestione alle istituzioni. Lo dimostra la discriminazione di popoli come i ROM, additati perché “non rispettano le nostre regole”. E la continua esclusione di donne e soggetti LGBT da spazi e posizioni di responsabilità all’interno della società.

Ma lo dimostra anche la progressiva quanto palesata marginalizzazione politica in Italia (e non solo) di chi negli anni ha contestato e contrastato realtà come la NATO, il G8, l’Euro.

Tutte le dittature sono nate nel momento in cui è stato imposto qualcosa alla popolazione che molti hanno accettato perché convinti di non essere lesi più di tanto e che la loro vita non sarebbe cambiata, mentre altri che non volevano gli fosse imposto nulla, hanno dovuto subire queste imposizioni perché la maggioranza voleva così. Forse anche durante il fascismo in molti si siano chiesti cosa avessero da urlare gli oppositori al regime che venivano costretti a bere l’olio di ricino, visto che erano restii ad accettare il nuovo regime era giusto che soffrissero. Non siamo ai livelli dell’olio di ricino, ma siamo sulla strada per arrivarci.

Si utilizzano i militari per le strade e nelle metro, per far rispettare l’ordine, il distanziamento, le mascherine. Con la scusa del terrorismo non ci siamo mai più tolti i militari dalla strada che si immischiano sempre più nella nostra vita civile.

Giriamo in mascherina, altra cosa di cui non è stata provata l’utilità, col viso coperto, controllati a vista e anche sul nostro telefono, costretti a stare distanti per paura di infettarci, costretti a tornare a casa presto e pronti a chiuderci in casa in caso di allarme. E qualcuno decide quel che è meglio per la nostra salute, non abbiamo nemmeno il diritto di ammalarci.

(https://www.tiare.bio/mascherina-viso-per-bambini-in-bamboo)

Si denigra, si etichetta, si semplifica, si chiamano egoisti quelli che rifiutano per varie ragioni di farsi il vaccino. Si fa riferimento ad improbabili fonti on line per mettere in cattiva luce gente che semplicemente manifesta per i propri diritti. La cosa più triste è che questo comportamento che prima era appannaggio della destra, adesso sembra appartenere sempre più a molti “compagni” che nel nome della scienza sono pronti a difendere persino gli interessi delle multinazionali contro le paure della gente. Il risultato? Che in piazza ci sono le destre, e che noi alla piazza ci abbiamo rinunciato accontentandoci di etichettare le migliaia di persone in piazza come un gruppo di negazionisti di destra. Si sono persi i contenuti, i ragionamenti, i discorsi.

Fra gli attuali critici del Green Pass non ci sono solo, e non tanto, i neofascisti di Casa Pound o i reazionari sovranisti e nazionalisti di Salvini e della Meloni (come sostiene quella sinistra giustizialista che in Italia con ogni probabilità chiamerebbe alla rivolta di piazza gridando allo scandalo costituzionale, se lo stesso provvedimento fosse stato adottato da un governo di destra o di centrodestra).

Ci sono le migliaia di persone esasperate da un anno e mezzo di gestione della crisi pandemica dove chi era più ricco è diventato per l’ennesima volta ancora più ricco. E chi era più povero è diventato per l’ennesima volta ancora più povero. Ci sono i lavoratori e le lavoratrici che da mesi sono in cassa integrazione, che sono stati costretti a chiudere le loro attività, o che hanno perso il lavoro prima o dopo lo sblocco dei licenziamenti.

Ci sono persone che hanno avuto seri effetti collaterali dopo la prima e la seconda dose di vaccino (con conseguenze di lungo periodo per la loro salute probabilmente imprevedibili). O che semplicemente preferiscono affidare alle proprie difese immunitarie, a un più corretto stile di vita, o ad altre forme di prevenzione, il contrasto alla diffusione ed alla pericolosità del virus.

Affermare che chi oggi critica o contesta il Green Pass sostiene la stessa linea di Salvini, della Meloni e di CasaPound è sintomo della profonda crisi, della mancanza di strumenti e capacità di analisi, in cui versano le sinistre da tempo. E di cui questa emergenza pandemica ha dato ulteriore dimostrazione.

Come se chi sostiene il Green Pass e l’obbligo vaccinale di fatto, non avesse in questo momento la stessa linea di un governo spudoratamente padronale come quello di Mario Draghi (ovvero proprio di ciò che è fra le cause principali dello sviluppo di forze politiche reazionarie, come le destre sociali e neofasciste).

Chi critica il Green Pass in un’ottica di contestazione delle istituzioni governative e disciplinari, lo fa con dei contenuti e in un orizzonte diametralmente opposti rispetto a quelli di un Salvini o di una Meloni. Là dove è ormai assodato da tempo che tanto il fascismo quanto le destre sociali nascono proprio al fine di incanalare verso la difesa e la salvaguardia di strutture di potere dominanti, tensioni che non possono essere ignorate, ma che rischierebbero di diventare tanto esplosive quanto pericolose, se cavalcate da forze di tipo rivoluzionario.

manifestazione contro il green pass (https://www.lastampa.it/cronaca/2021/07/23/news/domani-manifestazioni-anti-green-pass-in-tutta-italia-da-torino-a-palermo-1.40528578)

Sostenere che chi oggi critica o contesta il Green Pass sostiene la stessa linea di Salvini, della Meloni e di CasaPound – rispolverando vecchie tesi nefaste sui “deviazionisti di destra” all’interno delle forze antagoniste – significa esattamente non avere capito né cosa sia il fascismo né cosa siano le destre. Mentre è proprio fra chi oggi sostiene il Green Pass e l’obbligo vaccinale di fatto che non sembrano esserci posizioni sostanzialmente diverse e antagoniste sulla questione, rispetto alla linea sostenuta anche da governi liberisti e imperialisti, sia a livello europeo che internazionale.

Riteniamo che chi vuole vaccinarsi contro il Covid-19 – per la propria salute e per quella altrui – abbia diritto di farlo. Nella piena consapevolezza e responsabilità delle sue azioni. Ma riteniamo anche che chi non considera il vaccino come l’unica o la principale soluzione al problema della pandemia, non si fida dei vaccini attualmente in circolazione o semplicemente preferisce in coscienza non vaccinarsi, abbia altrettanto diritto di argomentare e far valere le proprie convinzioni, senza essere costretto ad agire contro la propria volontà, o senza essere considerato un untore responsabile di morti e ricoverati in terapia intensiva.

Non possiamo non tenere conto del fatto che questa pandemia abbia allontanato il nostro desiderio di poter conoscere chi ci circonda e inprigrito il nostro desiderio e arroccati siamo nelle mura di una claustrofobia imposta e organizzata a puntino da chi gode nel vederci lontani come torri di pietra in deserti di silenzio. Cosa possiamo fare? Addentrarci nella archevita, ossia non scordare e custodire tutto ciò che è legato alla socialità e al piacere dell’interazione.

https://www.tentazionedonna.it/la-socialita-e-una-questione-di-ormoni/

Link utili e fonti:

https://ilmanifesto.it/le-ricerche-sabotate-per-vendere-la-terza-dose/?fbclid=IwAR200L1tA__NcG6Ro3_NYMrKwS9sF0zFhdzWI6oLgdx0gbY8Fs85kpy1sJw

https://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2021/07/27/news/medicina-mantovana-in-lutto-de-donno-si-e-tolto-la-vita-1.40542044?ref=fbfma&fbclid=IwAR3g9jdFinHQn5tpemDEUA2TkA3cRqeUsd3J4r3nOQHu2WBG_M15OzujhS0

https://www.lastampa.it/esteri/2020/04/28/news/suicida-a-new-york-la-dottoressa-che-curava-i-malati-di-coronavirus-1.38771855

L’intervista ad Giorgio Agàmben realizzata da Andrea Pensotti e pubblicata in origine su “Organisms. Journal of Biological Sciences” (Sapienza Università di Roma).

https://www.ilsole24ore.com/art/le-possibili-mosse-amazon-conquistare-mondo-sanita-AEMPCatD?refresh_ce=1

https://www.italiaoggi.it/news/amazon-invade-anche-la-sanita-2425296

https://www.radioradicale.it/scheda/638134/vicenda-sarscov2-intervista-al-professor-pietro-luigi-garavelli?fbclid=IwAR2oIZ7xAtYD6zHSJEer0TK5DIFLP42WUsoKmP3csGh8ALlg5EtOQV8y00Y

https://www.facebook.com/scup.sportculturapopolare/

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/21_luglio_31/roma-deposito-atac-piazza-ragusa-ad-amazon-ed-polemica-rabbia-residenti-f1e6f928-f21b-11eb-9a1b-3cb32826c186.shtml

https://www.youtube.com/watch?v=3kLZLTtMYTQ (inchiesta di Report 2 novembre 2020 sul piano antipandemia)

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Contro il Green Pass! Per la libertà di scelta. Per la libertà di cura e di prevenzione.

Oggi 6 agosto 2021 il governo e lo Stato italiano fanno un ulteriore passo verso la negazione della libertà di coscienza e verso l’esclusione di parte dei cittadini dalla vita pubblica. Nonché dal diritto fondamentale di autodeterminazione della propria (e altrui) salute e dei propri (e altrui) corpi.

Con l’introduzione del così detto Green Pass, ovvero il certificato che permette di accedere a cinema, teatri, bar e ristoranti al chiuso, ma anche congressi, concorsi pubblici, fiere e concerti, soltanto alle persone che abbiano ricevuto almeno un dose di vaccino contro il Covid-19. Oppure che siano guarite dal Covid-19 stesso, o ancora che abbiano effettuato un tampone risultato negativo nelle 48 ore precedenti.

In una strategia di potere tipica delle democrazie rappresentative, senza che una determinata condizione giuridica venga formalmente resa obbligatoria per tutti, si creano di fatto i presupposti affinché essa diventi l’unica possibile per non rimanere esclusi all’interno del sistema stesso.

Così, senza che il vaccino contro il Covid-19 venga formalmente reso obbligatorio, si creano le condizioni affinché diventi di fatto impossibile vivere all’interno dello Stato italiano qualora, per svariati motivi, ci si rifiuti o si preferisca non farlo. Dal momento in cui è ragionevolmente improbabile poter accedere normalmente a tutti i luoghi ed i sevizi per i quali è prevista l’obbligatorietà del certificato verde, pensando di farsi ogni volta un tampone entro le 48 ore precedenti. Né tanto meno contrarre il Covid-19 per poter poi dimostrare di esserne guariti è condizione auspicabile per nessuno.

Attraverso questi provvedimenti, si limita di fatto la possibilità di accesso ad ampi settori della vita pubblica, non solo e non tanto ai “negazionisti” della pandemia (fin dall’inizio funzionali solo a rafforzare la linea ufficiale nella gestione dell’emergenza pandemica). Ma anche a tutti quei soggetti che – pur riconoscendo lo stato di emergenza sanitaria globale in cui da quasi un anno e mezzo ci troviamo – non considerano la campagna vaccinale come la sola o la principale via d’uscita dall’emergenza. Oppure che non considerano i vaccini in uso in Italia e nell’Occidente come pienamente sicuri per la salute attuale e futura, sia loro che delle nuove generazioni.

E si crea un precedente giuridico molto pericoloso. In base al quale lo Stato potrebbe decidere in futuro di escludere o limitare la possibilità di accesso a spazi e modalità della vita sociale, a soggetti considerati non attinenti a norme e dispositivi sanitari o di sicurezza.

Non c’è bisogno di scomodare i passaporti ariani del Terzo Reich o l’interdizione da negozi, uffici e spazi pubblici degli ebrei durante le leggi razziali nazifasciste. Per ricordare che quella dell’esclusione de facto dei soggetti e delle categorie sociali che non si adeguano alle loro condizioni o orientamenti dominanti, è una modalità da sempre ampiamente utilizzata da parte degli Stati e dei sistemi democratici, dei quali è condizione fondamentale di riproduzione e legittimazione.

Lo dimostra il respingimento, la reclusione e l’espulsione (quando non la tortura o l’affogamento) di persone che cercano di varcare i loro confini senza “regolare” permesso. Come la continua persecuzione di realtà che decidono di occupare ed autogestire case, spazi, comunità, invece di demandarne la gestione alle istituzioni. Lo dimostra la discriminazione di popoli come i rom, additati perché “non rispettano le nostre regole”. E la continua esclusione di donne e soggetti LGBT da spazi e posizioni di responsabilità all’interno della società.

Ma lo dimostra anche la progressiva quanto palesata marginalizzazione politica in Italia (e non solo) di chi negli anni ha contestato e contrastato realtà come la NATO, il G8, l’Euro.

Perché fra gli attuali critici del Green Pass non ci sono solo, e non tanto, i neofascisti di CasaPound o i reazionari sovranisti e nazionalisti di Salvini e della Meloni (come sostiene quella sinistra giustizialista che in Italia con ogni probabilità chiamerebbe alla rivolta di piazza gridando allo scandalo costituzionale, se lo stesso provvedimento fosse stato preso da un ministro di destra o di centrodestra).

Ci sono migliaia di persone esasperate da un anno e mezzo di gestione della pandemia dove chi era più ricco è diventato per l’ennesima volta ancora più ricco. E chi era più povero è diventato per l’ennesima volta ancora più povero. Ci sono i lavoratori e le lavoratrici che da mesi sono in cassa integrazione, che sono stati costretti a chiudere le loro attività, o che hanno perso il lavoro prima o dopo lo sblocco dei licenziamenti.

Ci sono persone che hanno avuto seri effetti collaterali dopo la prima e la seconda dose di vaccino (con conseguenze di lungo periodo per la salute probabilmente imprevedibili). O che semplicemente preferiscono affidare alle proprie difese immunitarie, a un più corretto stile di vita, o ad altre forme di prevenzione, il contrasto alla diffusione ed alla pericolosità del virus.

Ci sono quei soggetti che da ben prima della pandemia le sinistre hanno perso la capacità di orientare verso un cambiamento radicale e rivoluzionario. Lasciando campo aperto all’azione e all’irruzione nelle piazze delle destre e delle formazioni neofasciste.

Affermare che chi oggi critica o contesta il Green Pass sostiene la stessa linea di Salvini, della Meloni e di CasaPound è sintomo della profonda crisi, della mancanza di strumenti e capacità di analisi, in cui versano le sinistre da tempo. E di cui questa emergenza pandemica ha dato ulteriore dimostrazione.

Come se chi sostiene il Green Pass e l’obbligo vaccinale di fatto, non avesse in questo momento la stessa linea di un governo spudoratamente padronale come quello di Mario Draghi (ovvero proprio di ciò che è fra le cause principali dello sviluppo di forze politiche reazionarie, come le destre sociali e neofasciste).

Chi critica il Green Pass in un’ottica di contestazione delle istituzioni governative e disciplinari, lo fa con dei contenuti e in un orizzonte diametralmente opposti rispetto a quelli di un Salvini o di una Meloni. Là dove è ormai assodato da tempo che tanto il fascismo quanto le destre sociali nascono proprio al fine di incanalare verso la difesa e la salvaguardia di strutture di potere dominanti, tensioni che non possono essere ignorate, ma che rischierebbero di diventare tanto esplosive quanto pericolose, se cavalcate da forze di tipo rivoluzionario.

Sostenere che chi oggi critica o contesta il Green Pass sostiene la stessa linea di Salvini, della Meloni e di CasaPound – rispolverando vecchie tesi nefaste sui “deviazionisti di destra” all’interno delle forze antagoniste – significa esattamente non avere capito né cosa sia il fascismo né cosa siano le destre. Mentre è proprio fra chi oggi sostiene il Green Pass e l’obbligo vaccinale di fatto che non sembrano esserci posizioni sostanzialmente diverse e antagoniste sulla questione, rispetto alla linea sostenuta anche da governi liberisti e imperialisti, sia a livello europeo che internazionale.

Riteniamo che chi vuole vaccinarsi contro il Covid-19 – per la propria salute e per quella altrui – abbia diritto di farlo. Nella piena consapevolezza e responsabilità delle sue azioni. Ma riteniamo anche che chi non considera il vaccino come l’unica o la principale soluzione al problema della pandemia, non si fida dei vaccini attualmente in circolazione o semplicemente preferisce in coscienza non vaccinarsi, abbia altrettanto diritto di argomentare e far valere le proprie convinzioni, senza essere costretto ad agire contro la propria volontà, o senza essere considerato un untore responsabile di morti e ricoverati in terapia intensiva.

Il Covid- 19, nelle sue forme più gravi, non è una brutta influenza e la pandemia che ha causato e sta causando nel mondo è qualcosa di molto grave, che richiede urgentemente una serie di risposte tanto a livello medico e virologico, quanto sociale, economico, ecologico, culturale.

Ma se gran parte della ricerca, della prevenzione e del contrasto al virus, si sono incentrati – soprattutto per la difesa delle persone più fragili e anziane – su riconoscimento e cura dei sintomi, dispositivi di protezione individuale, distanziamento sociale e campagna di vaccinazione, ancora pochissima attenzione e priorità sono state poste nel mettere in luce le ragioni che fanno di questo virus – fortunatamente e nella grande maggiorana dei casi – qualcosa privo di sintomi, con sintomi lievi o comunque curabili senza particolari danni per l’organismo.

Forse perché la risposta sarebbe qualcosa di particolarmente scomodo per quelle strutture sociali che rendono possibili gli stessi discorsi di potere medico sulla realtà. Ad essere particolarmente dannoso e mortifero non è tanto il Covid-19 in sé (pur serio e da contrastare, con i mezzi adeguati e necessari). Bensì appunto quelle condizioni sociali, economiche, ecologiche, culturali, che quotidianamente a livello globale costringono gli esseri umani a stili di vita nefasti. Col conseguente proliferare di questo ed altri (presenti e futuri?) virus e l’abbassamento di difese e capacità immunitarie.

Quella risposta che probabilmente non consentirebbe mai a nessun vaccino di essere soluzione esaustiva o definitiva alla pandemia. Senza un profondo e radicale cambiamento in direzione di una società pienamente orizzontale, ecologica, solidale.

Non possiamo non tenere conto del fatto che questa pandemia abbia allontanato il nostro desiderio di conoscere chi ci circonda. Mentre siamo arroccati nelle mura di una claustrofobia imposta e organizzata a puntino da chi gode nel vederci lontani come torri di pietra in deserti di silenzio. Cosa possiamo fare? Non scordare e custodire tutto ciò che è legato alla socialità e al piacere dell’interazione.

 

CUSA

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Emergenza, terrore, nuove abitudini..la speranza

Forse comincio pure io a diventare una di quei rompicoglioni che “si stava meglio ai tempi nostri”. Basta un virus a sconvolgere la nostra vita e già sembriamo catapultati avanti di un secolo e il 2019 è “un dolce ricordo di gioventù”. Eppure se lo raccontassi tra dieci anni potrei davvero dire “nel 2019 era diverso il rapporto con le malattie”: forse perché con l’età tendiamo a ricordarci delle cose passate e dimenticare quelle recenti, ed io mi dimenticherei che il 2020 è solo l’anno successivo al 2019 e fa ancora più che mai parte dei “miei tempi” e che il 2019 in realtà non è stato affatto un anno rose e fiori.

1. Terrore

Prima del 2020, la febbre rappresentava principalmente una seccatura per chi non poteva andare a lavoro, qualcosa di più per chi un’assenza dal posto di lavoro significava non avere entrate economiche fondamentali o peggio perdere il lavoro, e la felicità per un buon numero di studenti che potevano assentarsi da scuola.

Col Covid 19 la paura di ammalarsi si è trasformata in paura di non guarire più. Pur essendo una malattia che molti contraggono senza sintomi e guariscono da soli, a comandare è la paura dei numeri di malati in terapia intensiva e di morti che vengono elencati ogni sera in televisione, alla radio, su internet.

Col Covid 19, si è giustificati a restare a casa per evitare di ammalarsi, anzi, molte persone lavorano ormai in smart working. Naturalmente ci sono lavori che non si possono fare via internet, (tipo tagliare carote in un magazzino della verdura) perciò chi non può permetterselo, ha diritto a una cassa integrazione o a una disoccupazione (che non arriva mai) o è costretto a recarsi al lavoro con misure di sicurezza apparenti e datori di lavoro che con la scusa della crisi, giustificano tranquillamente lo sfruttamento a cui devono sottoporti per evitare il licenziamento.

Eppure molti non ci badano, perché avere ancora un lavoro è una fortuna e ciò che conta davvero è non ammalarsi .

https://coronavirusinfo.altervista.org/le-regole-della-corretta-igiene-respiratoria-per-prevenire-il-coronavirus/

Un colpo di tosse può significare dover fare un test, di conseguenza una quarantena per sé ed eventuali colleghi di lavoro o compagni di scuola (per i ragazzini che ogni giorno arrivano in classe terrorizzati da ciò che potrebbe succedere in una singola giornata), significa non poter vedere un medico finché le condizioni non richiedono l’ospedalizzazione, e quando finalmente si accorgono di te perché la tua condizione è peggiorata, finisci in un ospedale con il respiratore e devi sperare di sopravvivere.

Perciò è vietato starnutire, soffiarsi il naso continuamente, avere i brividi, cioè cose che succedevano tutti gli anni tra l’autunno e la primavera, quando scuole e uffici venivano decimati dall’assenza di massa di studenti e lavoratori e che ognuno curava con i propri rimedi più o meno casalinghi. È vietata la febbre che è la reazione naturale del corpo alla malattia e ti porta alla guarigione. E non è vietato solo per te. È vietato perché sono gli altri a rischiare. Se sei malato, non sei solo vulnerabile, sei colpevole di mettere a repentaglio la salute altrui, soprattutto di chi è più a rischio di te. Quindi naturalmente a parte il lavoro e poche cose “essenziali” non devi assolutamente uscire. E se non te ne importa niente ed esci lo stesso per bisogno o per volontà sei un criminale.

Perché quei numeri di positivi e di morti buttati lì senza basi né confronto alcuno, come se finora la gente non fosse mai morta prima, quell’improvvisa riscoperta del fatto che ci sono persone più deboli di altre che vanno senza dubbio protette dalle malattie di ogni genere, fanno di questa malattia una malattia totalmente diversa da tutte quelle che l’umanità ha affrontato finora, e di conseguenza chi è sano e vuole godersi la sua salute è un egoista e irresponsabile. Quei numeri hanno fatto tornare a galla falsi miti come quello dell’untore ai tempi della peste, quando davvero i morti non si contavano e tonnellate di corpi venivano gettati nelle fosse comuni senza degna sepoltura né funerali. In un tempo in cui la scienza fa da padrona e l’informazione è accessibile a tutt*, si è tornati a una mentalità da Medioevo. E la scienza ufficiale anziché rassicurare, con la propria incertezza continua a incutere terrore, si è fusa con questa mentalità ed è difficile capire ciò che è giusto, e quando si deve riflettere con la propria testa.

Ogni cosa detta dalla scienza è verità assoluta, ogni esperto va ascoltato, nessuno verifica di che tipo di esperto si tratti, quali dati abbia per le mani, di cosa si occupi, o quanto meno se la fonte dell’informazione ricevuta sia attendibile (va detto che molte affermazioni di scienziati sono falsate o riportate parzialmente). E i comportamenti derivati dall’accettazione di queste verità, molto spesso non comprese nemmeno fino in fondo, possono avere conseguenze terribili.

2. Malattia comune o diversa?

Ma cos’ha di diverso questa malattia rispetto ad altre? È molto contagiosa, d’accordo, è più pericolosa di una febbre, per lo meno chi la prende fa più fatica a uscirne, va bene. Ma è un virus. Della stessa identica famiglia dei virus dell’influenza. La corona non è altro che un involucro di proteine che avvolge l’RNA, rendendolo più resistente di altri tipi di virus. I sintomi sono abbastanza simili a quelli dell’influenza. È stato riconosciuto ufficialmente che ha un tasso di mortalità molto basso, però il problema che è contagioso. Quanto più contagioso di una qualsiasi influenza che ogni anno lascia a casa migliaia di persone? Quanto rispetto alla varicella, malattia per la quale un bambino veniva costretto in casa 15 giorni, ma non per questo anche i suoi compagni finivano in quarantena? Anzi, in passato, in Africa e nel Sud Italia, si usava portare i bambini nella casa di uno che aveva contratto la varicella e questo funzionava meglio del vaccino. Tutti i bambini la contraevano subito e ne erano protetti. E così anche chi aveva problemi alle difese immunitarie non correva il rischio di prenderla.

Per il Covid 19 non funziona nessuna teoria messa in atto finora per altri virus. Perché? Al momento si è sentito sul coronavirus tutto e il contrario di tutto, perché ogni suddetto esperto dice una cosa diversa: che ha lo stesso andamento del virus della spagnola, che da problemi al cuore, che è pericoloso per i polmoni (che poi dato che polmoni e cuore sono collegati in realtà potrebbe creare problemi a entrambi), che si è modificato più volte durante la pandemia, che è arrivato dai pipistrelli e dai serpenti che i cinesi hanno il vizio di mangiare, che sopravvive sulle superfici di metallo e di plastica e pare che addirittura si espanda tramite le correnti marine e aeree.

Prassonisi, Rodi, Agosto 2020, foto di Dafne Rossi

Avete notato che alcune verità assolute, sono sparite nel corso del tempo? Ora non prendiamo più in giro i Cinesi per la loro alimentazione, anche perché pare che il virus per loro non sia più un problema. Anzi a dire il vero per loro non lo è stato più dal momento in cui è diventato un problema europeo. (Il perché non mi interessa, non scrivo per raccontare quello che “non ci viene detto”, ma semplicemente per interrogarmi su quello che è di pubblico dominio e per qualche motivo viene sempre omesso.) Ora non abbiamo più il terrore di toccare qualsiasi superficie. Ammesso che sia vero che il virus sopravvive sulla plastica,  abbiamo capito che basta disinfettare le superfici dato che il motivo per cui sopravvive e` che ci puo` essere ad esempio qualche traccia di cibo con la nostra saliva sopra o una forchetta usata lasciata li` per errore. In quanto alle correnti, se il Covid sopravvivesse verrebbe a mancare la definizione base di virus. È un organismo al limite della vita, che ha bisogno di DNA e nello specifico DNA umano per riprodursi. Non è un batterio. Non vive nell’aria. Riguardo ai sintomi, qualsiasi febbre causa difficoltà respiratorie. Ed è normale che se uno ha già problemi in questo senso, il coronavirus non lo aiuta. Dai polmoni al cuore purtroppo è un attimo. Ora, tutte queste informazioni, vere o false che siano sono sicuramente frutto del fatto che il virus non si conosce ancora bene. Allora domanda: come si fa ad avere un vaccino per un virus che non si conosce ancora bene? Risposta, data dai più infervorati sostenitori dei vaccini: “Veramente il virus è già stato sequenziato a gennaio.” Altra domanda, allora sul virus si conosce più di quanto non si creda, dunque perché tenere la gente per mesi in stato di confusione e terrore?

Fra l’altro tra le varie cose che abbiamo sentito, ci sono anche medici che affermano non soltanto di aver visitato i propri pazienti di persona e soprattutto in tempo utile a evitare il peggio, nonostante il divieto del Ministero della Salute di fare una visita di presenza senza adeguate protezioni (protezioni che sono state disponibili solo dopo un mese dall’inizio della pandemia), ma di aver anche continuato a curare i propri pazienti come avevano sempre fatto, invece di lasciarli a casa ad aspettare le decisioni dell’Asl e i risultati dei tamponi. Tali medici sostengono che nessuno dei loro pazienti ha avuto complicazioni.

E noi che possiamo fare? Potremmo cercare di migliorare la qualità dell’aria che respiriamo. Stare più tempo all’aperto, e lontani dalle città. Evitare di rinchiuderci in casa e intossicarsi di sigarette o di andare al lavoro in macchina per non prendere gli autobus e infilarsi nel buco nero del traffico mattutino. Oppure potremmo decidere di cambiare alimentazione, anziché mangiare gli stessi maiali e gli stessi polli alimentati ad ormoni provenienti da chissà dove e che causano e hanno causato la modificazione e la diffusione di molti virus prima di questo. Debelleremmo automaticamente il virus? No, ma di solito la prima cosa da fare per sventare una minaccia che non si conosce, è analizzarne le cause.

E invece no. Imperterriti. Ascoltiamo solo il parere degli esperti (che poi sono gli esperti che ci consiglia la televisione) e aspettiamo con ansia il vaccino che ci salverà tutti.

Si dice anche che ora il virus si sia ulteriormente modificato e non sia più virulento come a febbraio. Se così è, allora potrebbe voler dire che stiamo raggiungendo la famosa “immunità di gregge”, altra parola dimenticata nel tempo. Allora forse, e risottolineo forse, il vaccino a questo punto non ci serve più?

3. Resto del mondo

Un’altra ragione per cui crediamo che questa situazione sia senza uscita è che dall’Italia guardiamo al resto del mondo e questo non sta sicuramente messo meglio. Vero. Ma bisogna dire che quando si vogliono avere informazioni sugli altri paesi è meglio fuggire i giornali italiani. Per esempio: abbiamo bersagliato la Germania perché avrebbe “falsato il numero dei morti” e perché il virus sarebbe arrivato proprio dalla Germania. Entrambe le notizie sono false. Il numero di positivi e di morti in Germania si basa sullo stesso principio che in Italia, dipende dai test che si fanno, test che sono affidabili entro una certa statistica, e il virus non è arrivato dalla Germania, ma dritto dritto dalla Cina.

Si dice anche che negli altri paesi europei la gente obbedisce alle misure di sicurezza, non discute gli ordini, etc… Non è vero. In Germania la gente esce e si incontra come può, mangia seduta alle panchine e mette la mascherina nei luoghi chiusi, mentre le usa per strada solo quando le strade sono particolarmente affollate. In Germania la gente protesta continuamente, tanto che nemmeno il primo lockdown sono riusciti a farlo totale, ed ancora ora la Merkel deve vincere le resistenze dei governi locali e della gente comune per inasprire le regole.

Berlino, ottobre 2020, foto di Dafne Rossi

Sarà che la Germania ha un migliore sistema sanitario, e che una volta che un cittadino ha l’assicurazione pagata dal datore di lavoro ha diritto a un’assistenza completa e totale, sarà che per i Tedeschi salute non significa soltanto prendere una pillola contro il mal di gola, ma anche aver cura del proprio corpo, fare sport, attività fisica e ricreativa, stare all’aria aperta, nei parchi, andare in bicicletta, mangiare vitamine e fare ricorso a tutti quei rimedi naturali che una volta, forse per povertà o perché ancora le pillole non erano state scoperte, utilizzavamo anche noi. Vuoi perché i Tedeschi sono abituati a stare forse un po’ meglio di noi dal punto di vista sociale e rischiare di perdere i loro diritti non gli sta bene. In Italia siamo già troppo rassegnati al fatto che le cose vadano male da una vita?

Ma voglio parlare anche di un altro paese che conosco bene, la Grecia. La Grecia ha seguito le misure di sicurezza dell’Italia, non appena è arrivato l’allarme. Essendo un paese con un sistema sanitario anche peggiore di quello italiano dal punto di vista dell’organizzazione, è corsa subito ai ripari. Ma con l’arrivo dell’estate non ha potuto fare a meno di accogliere migliaia di turisti. Diciamo che non c’era scelta: o il Covid o la morte economica. Alla fine ha optato per la prima soluzione e ha accolto entro i suoi confini tutti gli Italiani del Nord Italia che maggiormente hanno risentito della pandemia eppure hanno voluto lo stesso farsi le vacanze.

Sulle isole non è cambiato molto. Né prima, né durante, né dopo la quarantena e nemmeno dopo l’estate. Se poi si va nei paesini più remoti dove anche i turisti ancora non arrivano in massa, vi posso dire che la gente non si è nemmeno accorta che c’è stata una pandemia, se non fosse stato per le restrizioni che sono comunque state imposte a ristoranti e bar già di per vuoti. Perché va detto che le restrizioni messe in atto in estate consistevano nel chiudere i locali dopo la mezzanotte: a quell’ora infatti l’incanto finiva, Cenerentola ritornava vestita di stracci e il Coronavirus agiva indisturbato.

Apollakia, Rodos, agosto 2020 foto di Dafne Rossi

In compenso ci sono stati luoghi che non hanno subito le restrizioni perché considerati posti dove la gente “non va per divertirsi”. Come Symi, una minuscola isola del Dodecanneso agli estremi confini orientali dell’Egeo. Ora, quest’isola oltre al fascino delle sue spiagge, le sue casette colorate che si affacciano sul porto naturale, i suoi ristoranti caratteristici e i locali notturni, ha anche una particolarità: vi sorge una chiesa dedicata all’arcangelo Michele, meta ogni anno di turisti e dei Greci stessi disposti a fare file lunghissime per fare una preghiera e baciare la sacra icona. Tutto ciò per dire che come ogni anno, questa piccola isola non costretta a osservare particolari restrizioni, si è ritrovata invasa da folle oceaniche. Anche così non è cambiato molto.

La situazione è diversa ad Atene e nelle grandi città, mi direte voi. Certo, dove si affrontano ben altri problemi igienici e di salute.

4. Mascherina

Nel frattempo ci siamo ormai abituati a portare la mascherina ovunque. Anch’io. A volte dimentico che sono per strada (a Berlino è obbligatoria solo in alcune strade) e la posso togliere perché penso che dopo un po’ dovrò entrare da un’altra parte e rimetterla. Mi sembra persino strano guardare vecchi film dove ovviamente la gente esce e si assembra: ho sempre l’impressione che manchi un elemento. La mascherina, appunto.

Fino a febbraio del 2020, andare in giro con il volto coperto era vietato in Occidente (a meno che la temperatura non era di 1 grado e uscivi imbacuccato in un’enorme sciarpa di lana), perché chiunque doveva essere riconoscibile per strada, altrimenti avrebbe potuto rappresentare una delle seguenti categorie:

– bandito/rapinatore;

– black bloc/terrorista;

– donna islamica

In Francia era vietato ogni simbolo religioso nei luoghi pubblici e quindi anche il velo e il burqa e tanti americani ed europei dopo gli attacchi alle torri gemelle, erano terrorizzati all’idea che gli islamici (che nell’immaginario collettivo corrispondevano contemporaneamente a musulmani e terroristi) potessero colonizzare l’Occidente imponendo quello che rappresentava la sottomissione della donna all’uomo. Sarà stato per non essere sottoposte ai giudizi degli occidentali che molte donne musulmane in Africa e anche in occidente hanno smesso di portare il velo o per lo meno di coprirsi il volto?

Il motivo per cui ci si copriva il capo ai cortei era invece che non potevi sapere quando la polizia avrebbe attaccato. Non era solo perché avevi voglia di fare casino, ma per non farsi riprendere dalle telecamere, dalle macchine fotografiche, per non rischiare di essere riconosciuti e di essere presi alla prima azione di rappresaglia. La figura ufficiale del black bloc creata per far paura alla gente, che altri non è che un manifestante come gli altri (oppure serve a coprire infiltrati della polizia che si intrufolano ai cortei per creare scompiglio), è tornata alla ribalta negli ultimi anni per la pretesa di distinguere i manifestanti cosiddetti pacifici da quelli violenti. Infatti col tempo la gente ha smesso di coprirsi il volto, forse perché con l’avvento dei social la vita di tutti è su Facebook, e nessuno si crea più una falsa identità digitale, e l’esporsi in pubblico non fa più così paura o perché le azioni della polizia non vengono prese sul serio, o perché si pensa che quando si è pacifici non ci sia nulla da temere, e quindi è diventato ancora più chiaro che quelli che vanno in giro con il viso coperto sono “quelli pericolosi”.

Non parliamo poi dei banditi. Chi non ha mai tremato vedendo qualcuno entrare in banca con un bavaglio sulla bocca?

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Eppure nel 2020 se entri in un luogo pubblico senza la mascherina o con la mascherina abbassata, ecco che qualcuno ti fa notare che la devi portare all’altezza del naso. E rischi anche una multa. Più che se viaggi sull’autobus senza biglietto. Sei un criminale.

È forse una questione di integrazione? Per immedesimarci tutt* in quelli che una volta erano considerati “diversi” o “pericolosi”? Per sentirsi tutti uguali? Tutti banditi, donne islamiche o black bloc?

O per quell’illusione di poter scongiurare una malattia mettendo un sottile lembo di stoffa tra sé e gli altri, anche quando si sta pigiati uno contro l’altro in un autobus col finestrino chiuso o peggio col condizionatore acceso?

Fatto sta che sta diventando talmente normale girare con la mascherina, che in molti si sono già scordati il motivo per cui la mettono (nonché le regole di igiene che bisognerebbe seguire connesse all’uso della mascherina) e iniziano a porre l’attenzione su che tipo di mascherina mettere come se questa sia un accessorio, una cintura, una borsa, una sciarpa. Parlo anche di me. Ai primi tempi ne ho avuta qualcuna addirittura di carta totalmente artigianale, con due elastici colorati per tenerla attaccata alle orecchie e dei fiorellini a mo’ di decorazione (quando è iniziato il lockdown e le mascherine non si trovavano più in giro perché i più veloci avevano già fatto scorta di quelle disponibili). In seguito ne ho avuta qualcuna di stoffa cucita a mano. E come molti ho perfino immortalato il momento in cui ho indossato la prima mascherina, forse perché non credevo davvero che l’obbligo sarebbe durato così a lungo o forse per rendere meno drammatica la situazione. O forse perché mi sembrava un momento importante come il primo giorno di scuola, quando entri in classe con lo zainetto e il grembiulino blu.

La prima mascherina, Ispica marzo 2020 Foto di Dafne Rossi

Persino gli artigiani nell’estremo tentativo di salvarsi dall’irrimediabile crisi economica, hanno cominciato a produrre mascherine di stoffa (quindi lavabili e riutilizzabili) dando sfogo alla fantasia: ci sono mascherine colorate, coi gatti, i cani, i fiori, frasi a seconda dei gusti del cliente/consumatore.

Naturalmente più sono “ecologici” e colorati, più questi accessori costano un occhio. È anche vero che non necessariamente gli oggetti per uso sanitario debbano essere bianchi e tristi. Ma renderli più belli, li rende anche più amati (al di là se siano utili o meno)? Una volta si diceva che anche le sbarre d’oro sono sempre sbarre.

5. Vita online

Ma c’è un’altra abitudine che sta diventando sempre più inquietante. Il lavoro online, la scuola online e.. le riunioni, i seminari, gli incontri online. Non che sia tutto negativo. Può essere una soluzione temporanea per non rinunciare a tutto quello che facciamo normalmente o per chi per un qualsiasi motivo si trova lontano da un evento a cui vorrebbe partecipare. D’accordo. Ma l’emergenza si chiama così perché è qualcosa che non dura, una volta passata, se la situazione per cui l’emergenza si è messa in atto continua a peggiorare, bisogna organizzarsi. Per quanto tempo pensiamo che internet sarà l’unico modo di vedersi? È pensabile fare una scuola online esattamente come si fa dal vivo? Persone che sono abituate a condividere praticamente i tre quarti della loro vita, a vedersi, raccontarsi, abbracciarsi, dormire, mangiare e sedersi sui banchi, passeggiare per i corridoi tutti i giorni per quasi nove mesi l’anno, possono di colpo pensare di fare tutto questo da casa? Tralasciando un attimo la questione del se sia sano per un ragazzo o un bambino frequentare compagni e insegnanti attraverso uno schermo o l’andare a scuola dovendo seguire una serie di regole che sono totalmente in disaccordo con quello che è il modo di fare e di pensare di un bambino (argomento che richiederebbe un articolo a parte), di solito un cambiamento radicale e repentino è sempre un trauma per chiunque. Anche per gli insegnanti che non sono abituati a qualcosa del genere. Senza contare la difficoltà oggettiva di fare alcune materie solo online. È già complesso cercare di capire la matematica eseguendo un’operazione con un gessetto alla lavagna e andando passo passo fino alla soluzione finale. Cosa succede tramite un computer?

Inoltre, ammettiamolo, molti di noi hanno un cattivo rapporto con la tecnologia.

Sento continuamente gente della mia età, che nonostante abbia familiarità con i computer sin dai 6-7 anni, si sente ancora incapace di usarne uno. Gli adolescenti “di oggi” invece che lo sanno usare benissimo, trovano il modo di saltare le lezioni ricorrendo alla fantasia e a tanti trucchi che la tecnologia mette loro a disposizione. Non lo fanno solo per complicare la vita all’insegnante (anche se poi è quello che soffre di più per questi scherzi). Lo fanno perché sono i primi a odiare questo nuovo metodo di scuola. Vi sembra strano? Si, molti adolescenti che prima avrebbero fatto carte false per assentarsi da scuola, ora non vedono l’ora di tornarci.

Lo stesso vale per le riunioni. D’accordo che a volte si possa usare internet per decidere delle cose tecniche velocemente senza per forza scomodarsi dal divano o magari interrompere le proprie faccende. Si, ma poi c’è la necessità di parlarsi dal vivo, guardarsi in faccia, incazzarsi, piangere, chiarirsi, fare a botte, pensare alle frasi da scrivere, alle comunicazioni da fare, calendarizzare gli eventi, tenere i registri dei conti, parlare di cose private senza orecchie indiscrete, e non si può essere soggetti ai capricci di internet, dell’audio del computer e delle cuffie, della telecamera che non si vede bene, della luce che manca, dei messaggi che si sovrappongono, perché prima di iniziare ognuno deve risolvere una serie di problemi di collegamento (esempi: “non trovo la stanza”, “non riesco a collegarmi”, “non vi vedo”, e così via all’infinito).

6. Meglio oggi che domani

Un’altra cosa da capire è come una società che si è fondata per millenni sin dai tempi degli antichi Greci, sul principio “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”, o “Non rimandare a domani quello che potresti fare oggi”, “che bisogna pensare alle persone amate finché sono in vita perché la morte è sempre dietro l’angolo e non sai quando arriva, che il nostro destino è imprevedibile, etc etc, ora ha invertito la rotta, e accetta un nuovo principio: “Stiamo lontani oggi per riabbracciarci più forte domani”. Qualcuno potrebbe dire che questo principio non è affatto in contrasto con il primo. Questo è vero se ci dimentichiamo per un attimo che la morte può arrivare in qualsiasi momento a portarci via in tanti modi e ipotizziamo che esista solo il coronavirus a minacciarci. Ma quando non posso abbracciare i miei familiari per un mese, per un anno, per un tempo che non non so quanto potrebbe durare, che non posso decidere io, non metto in conto che per non rischiare di ucciderli col coronavirus rischio di non vederli più, perché il tempo scorre e nessuno è immortale e anche il 2020 ha fatto le sue vittime, di persone anziane e giovani morte per una serie di motivi che vanno dall’infarto all’incidente d’auto e poco hanno a che vedere con il coronavirus.

Quando sentiamo i numeri di morti in televisione non facciamo quasi più distinzione su chi è morto di cosa e ci scordiamo che la gente muore anche per altre cause. Inoltre c’è anche da dire che non è stata mai fatta distinzione tra chi “aveva” il coronavirus e chi è morto “di” coronavirus e questo fa una bella differenza e che altre malattie ben più gravi sono state messe in secondo piano per far fronte all’”emergenza”.

Non parliamo poi dell’inaffidabilità dei test, degli ordini ricevuti dai medici e dei soldi che gli ospedali prendono dallo stato se… Infatti non ho alcuna intenzione di parlarne, queste informazioni sono di dominio pubblico e ve le andate a cercare da sol*.

7. La speranza

Quello che invece mi preme sottolineare è l’ennesimo cambiamento della gente, la rassegnazione delle persone, la perdita della speranza.

Ispica, ottobre 2019, foto di Dafne Rossi

Siamo una società troppo abituata a stare bene per abituarsi al male. Tanto da non essere più capaci di sorridere nel dolore.

Prima dei famosi “miei tempi”, se uno stava male, si cercava prima di tutto di farlo stare bene psicologicamente. Vi ricordate Patch Adams, il medico che curava i malati con il sorriso?

Ora invece sembra ci sia un accanimento nel far sparire tutto ciò che fa bene all’anima delle persone. Sono chiusi cinema, teatri e qualsiasi luogo di arte e spettacolo o dove la gente si incontra per divertimento, ma non le poste, i supermercati molte fabbriche, considerate chissà perché “servizi essenziali”, anche se producono oggetti ben lontani dai bisogni “essenziali” degli esseri umani, o altri luoghi considerati normalmente luoghi di stress, come se il problema sia appunto il dover rinunciare al piacere. Eppure anche la spesa si può avere a domicilio e molte operazioni bancarie o postali si possono benissimo fare online. Ma questa consapevolezza non fa diminuire le file alle poste.

Berlino, ottobre 2020 foto di Dafne Rossi

Inoltre, persino persone che fino ad ora non si sono mai curate dei problemi del mondo, ora se ne escono con frasi del tipo “In una situazione del genere, ti metti a cantare sul balcone?” Ora, io non dico che andrà tutto bene, né ho particolare simpatia per gli arcobaleni a dir la verità un po’ stereotipati dei bambini, ma preferisco chi cerca di farsi forza e andare avanti, chi cerca un sorriso, persino chi si illude, piuttosto che accettare di sprofondare in una tristezza senza fondo solo perché per la prima volta dopo tanto tempo, quelli ad essere stati colpiti da una disgrazia, siamo noi, gli Occidentali che stanno bene e non si curano se nel resto del mondo ogni giorno muoiono migliaia di persone sotto le bombe, e altrettante per malattie altrettanto contagiose e molto più letali. Ora che a soffrire siamo noi sembriamo non accettarlo se il terzo mondo non soffre con noi per lo stesso problema. Sembriamo aver dimenticato che il Brasile è un paese dove per fare le Olimpiadi si sparava ai bambini che vivevano per strada, che in Africa non è ancora stata debellata la malaria, e in India la gente muore ogni giorno di fame e si fa il bagno in uno dei fiumi più inquinati della terra. No, ora questi paesi soffrono esclusivamente per il coronavirus come noi.

Abbiamo dimenticato che tutte queste disgrazie avvengono in buona parte per colpa nostra, per gli errori fatti in passato e per quelli che continuiamo a commettere e che persino il corona virus è una conseguenza di questi errori, errori che non ci curiamo nemmeno di correggere.

Abbiamo dimenticato che i nostri nonni hanno vissuto due guerre di portata mondiale, che durante queste guerre qualsiasi scusa era buona per svagarsi, teatri e cinema non hanno mai chiuso, anzi erano sempre pieni e la gente se poteva festeggiava per dimenticare le bombe, la fame, il pensiero di non rivedere più i propri cari che erano al fronte.

Ispica, 25 aprile 2020, foto di Dafne Rossi

E ora noi, i figli del benessere, che abbiamo allungato la prospettiva di vita di ben oltre gli 80 anni, che abbiamo debellato molte malattie e arricchito la nostra alimentazione (nonostante la qualità scadente dei prodotti che mangiamo), abbiamo il coraggio di frignare come se il mondo fosse finito, di arrenderci, di fermare le nostre vite per qualcosa che si può ancora combattere, perché a differenza dei nostri nonni, abbiamo a disposizione sicuramente molti più strumenti e molte più conoscenze per farlo.

E invece, anziché cercare soluzioni per migliorare il nostro stile di vita ci barrichiamo dentro casa con una buona dose di alcool e droghe varie, pay TV, grandi quantità di antibiotici. Chi può ovviamente. Perché nella nostra idea che chi non si cura della salute altrui sia egoista, non ci curiamo del nostro di egoismo, non pensiamo a chi una casa non ce l’ha o a chi lo stare chiuso in casa porta ben altri problemi di salute fisica e mentale e a chi, come si diceva all’inizio non può affatto permettersi di restare barricato dentro casa. E non pensiamo che uno stress mentale non fa altro che renderci più deboli e più attaccabili da virus vari ed eventuali.

Allora dovremmo far finta di niente e continuare a vivere come se nulla fosse? Assolutamente no.

Evitiamo di accettare di essere sfruttati con la scusa che c’è crisi, ricordiamoci per un attimo che le battaglie contro lo sfruttamento sono state fatte da gente che era ancora più sotto ricatto e minacciata di noi. Cerchiamo di informarci, di verificare le nostre fonti di informazione, di non lasciarci prendere dal panico. Non rinunciamo alle nostre vite, ai nostri progetti, ai nostri sogni perché se non avessimo un motivo per vivere sarebbero vani anche gli sforzi di chi ogni giorno combatte in prima linea questa e altre malattie per difendersi e difendere noi tutti.

Stiamo vicini e aiutiamo chi sta davvero male e non può uscire suo malgrado, noi che ancora possiamo farlo, invece di sentirci colpevoli perché siamo in salute.

Riapriamole le nostre case, che poi le case chiuse in Italia sono anche proibite, chiediamo al vicino il motivo per cui esce di casa, invece di denunciarlo alla polizia, facciamolo un sorriso alle telecamere prima di spegnere la TV, chiudiamo un attimo Facebook, saliamo sulla bicicletta e andiamo al mare, in campagna, sul fiume, nei parchi, e facciamo un ber respiro. Profondo.

E forse alla fine qualcosa andrà bene.

Dafne Rossi

27.11.2020

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Coronavirus, stato di eccezione ed epidemie permanenti

Un virus che è stato chiamato COVID-19 ha causato quella che – secondo quanto sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – è una pandemia di livello globale.

Si tratta di un virus della famiglia Coronavirus, la stessa di raffreddori, bronchiti e polmoniti.

E’ dunque un ceppo di virus più che conosciuto. Ma per questo nuovo arrivo all’interno della famiglia virale, l’essere umano non aveva ancora né degli anticorpi, né un vaccino, né una cura che potesse garantire la guarigione.

Questo nuovo Coronavirus, almeno in una prima fase, ha dato prova di una maggiore velocità di diffusione, generando in media dai 2 ai 2,5 contagi in più per ogni singolo caso infetto rispetto a quelli influenzali. Ed ha provocato una percentuale più alta di forme severe. Causando ad oggi (1 giugno 2020) 33.475 vittime ufficiali dichiarate in Italia e 375.000 nel mondo.

Secondo i dati del Ministero della Salute del 14 marzo scorso – in piena fase epidemica – la percentuale di mortalità del COVID-19 in Italia era del 5,8%. Ma si trattava già allora di un dato con ogni probabilità al rialzo. Non essendo prima e non essendo tuttora mai stata mappata l’alta percentuale di casi asintomatici. Sia attuali che precedenti alla scoperta del virus ed alla dichiarazione dell’emergenza sanitaria.

Mortalità che ha colpito nella stragrande maggioranza dei casi, anziani con già una o più patologie croniche preesistenti (circa 3 in media). Ovvero quegli stessi soggetti che – nella dimenticanza pressoché totale dei discorsi di potere sul mondo sanitario – ogni anno muoiono in miglia solo in Italia per complicanze dovute ai picchi di influenza stagionale (fra i 4.000 e i 10.000 l’anno dal 2007 al 2017, secondo l’Istituto superiore di sanità. Nella gran parte dei casi per complicanze polmonari e cardiovascolari).

Inoltre questo nuovo Coronavirus ha lasciato e sta lasciando appunto una scia molto ampia di casi asintomatici (che non si capisce ancora bene se e in che misura siano contagiosi o meno). E di persone che guariscono, in buona parte senza bisogno di ricovero ospedaliero. Casi per i quali gli studi sembrano aver dimostrato che il sistema immunitario riesce, tendenzialmente, a produrre anticorpi di lungo periodo. I quali – se pure non garantiscono ancora una completa prevenzione da futuri contagi – dovrebbero garantire già un rischio minimo o ridotto circa la mortalità per chi li sviluppa (oltre a far ben sperare in termini di possibili cure o eventuali vaccini).

Non solo. Il COVID-19 ha dato per adesso percentuali di contagio e relativa mortalità piuttosto differenziate sia ad esempio fra diverse regioni italiane, che fra diversi paesi o aree del mondo (sebbene l’attendibilità e la metodologia di rilevamento di tali dati possano essere discutibili). E sembra per così dire “prediligere” aree più industrializzate, dove la massificazione sociale data dai sistemi di fabbrica diventa maggiormente uno stile di vita ed una condizione generalizzata.

A tutto questo si aggiunge il fatto che solo in Italia, con i 70 milioni di euro che quotidianamente lo Stato destina alle spese militari (2 miliardi al mese), si potrebbero costruire e attrezzare 6 nuovi ospedali o acquistare 25. 000 respiratori (immaginatevi cosa si potrebbe fare se, semplicemente, queste spese – come molte altre inutili – non esistessero).

In un paese che all’arrivo dell’emergenza COVID-19 aveva 231 fabbriche di armi comuni, e ben 334 aziende annoverate nel registro delle imprese a produzione militare. Ed una sola invece che produce quei respiratori polmonari risultati (a quanto pare) decisivi per dei reparti di terapia intensiva che hanno risentito fortemente dei tagli e delle privatizzazioni che hanno caratterizzato anche il sistema sanitario pubblico negli ultimi anni. Con tutto quello che ne è conseguito sia in termini di collasso degli ospedali che di mortalità sul lavoro per medici e infermieri che hanno dovuto affrontare l’emergenza.

In un corto circuito tipico della medicina occidentale (cioè di quell’approccio alla medicina che si è sviluppato in seno agli Stati occidentali nella modernità. E che ormai riguarda a livello istituzionale non solo l’Oriente e l’Occidente, ma praticamente tutto il globo terrestre) ci si è preoccupati ossessivamente di come curare o meglio dichiarare guerra ai sintomi. Senza preoccuparsi altrettanto di come individuare e risolvere le cause della pandemia. Praticamente tutti gli Stati del mondo, a partire dalla vicenda cinese e dalle richieste dell’OMS, si sono adoperati per imporre misure di prevenzione che in alcuni casi hanno ridotto interi popoli (caso senza precedenti nella Storia) ad uno status giuridico di fatto non dissimile da quello degli arresti domiciliari.

In alcuni casi, come quello italiano, la pressoché totale impreparazione ed incapacità nel gestire la situazione di emergenza, si è tradotta anche in una pressoché totale incapacità politica di adattare il protocollo medico dell’OMS allo specifico contesto sociale, culturale ed economico. Invece di valorizzare – ad esempio – l’attività fisica, l’alimentazione e gli stili di vita sani, l’aria pulita e gli spazi aperti come condizioni a partire dalle quali i virus non si diffondono, o non diventano patologicamente pericolosi, ci si è prodigati per mesi – con tanto di droni e posti di blocco ovunque – nel costringere la gente a non uscire, a non spostarsi e a non allontanarsi oltre i 200 metri da casa. Criminalizzando o additando come untori e principali responsabili dell’aumento dei contagi chi andava troppo spesso al supermercato, portava troppe volte fuori il cane, faceva giocare i bambini ogni tanto in un giardino, un parco o una piazza. Talvolta recapitando a casa e rendendo obbligatorie persino per passeggiare, mascherine chirurgiche che hanno con i virus l’effetto di un’inferriata con i moscerini (e che anche l’OMS in generale considera sensate solo in spazi chiusi, o in caso di vicinanza con persone contagiate).

Invece di domandarsi se all’ampia percentuale di asintomatici o persone con sintomi lievi corrispondesse uno stile di vita più sano e/o una maggior capacità di sviluppo di difese immunitarie, ci si è scervellati per decretare se questi soggetti fossero contagiosi e per moralizzare i giovani che volevano andare a trovare partner e fidanzati anche a 10 minuti di distanza da casa.

Allo stesso modo, invece di puntare su una riconversione del lavoro che facesse fronte all’emergenza e andasse verso sistemi economici sani, orizzontali ed ecologici, si è lasciato a deprimersi fra le mura domestiche anche soggetti che avrebbero potuto gestire attività lavorative solidali in condizioni di sicurezza sanitaria, senza rischi di un contagio pericoloso. Invece di puntare organicamente su esperienze come quelle dei gruppi di acquisto solidali, delle comunità contadine e di alcuni spazi sociali – che hanno attivato sportelli solidali e servizi di sostegno alimentare, con consegna di spesa a domicilio per soggetti seriamente e rischio – ci si è affrettati a riaprire il prima possibile le fabbriche che producono F35. E a lasciare in attività, con turni e condizioni ancora più insalubri, rider, lavoratori dei supermercati, dei call center, ecc. Dove guarda caso si sono verificati i casi principali di decessi anche fra persone in piena età lavorativa. Invece di elaborare programmi di prevenzione rigorosa per anziani e soggetti a rischio, dove impiegare eventualmente in sicurezza anche quelle fasce di popolazione lavorativa meno a rischio, si sono scaricati i contagi di COVID -19 nelle RSA e in reparti di ospedali del tutto impreparati ad accoglierli e gestirli senza diventare essi stessi i principali focolai di contagio.

Tutto questo – seppur relativamente diversificato a seconda dei paesi, delle regioni o delle culture – ha portato e sta portando intere società sull’orlo di crisi economiche che rischiano di avere conseguenze ancora più gravi e di lungo periodo del virus.

Per non parlare delle conseguenze su un piano psicologico.

Esponenziale è stato verosimilmente in questi mesi, l’aumento del consumo di alcool, tabacco, cibo industriale, pornografia. Così come verosimilmente in aumento potrebbero essere state le violenze e gli abusi domestici verso donne e bambini. In un momento in cui tutto il mondo era occupato a preoccuparsi di denunciare altro. Senza considerare il consumo di droghe, l’emarginazione e il disagio di chi già da prima non aveva accesso a condizioni abitative e igieniche adeguate. Molte di quelle stesse persone più deboli in nome delle quelle si sono imposti i lockdown, si sono debilitate fisicamente e psicologicamente più di quanto probabilmente avrebbero fatto se si fosse potuta gestire la prevenzione facendo leva sul libero senso di responsabilità di una coscienza sociale adeguata.

Si sono verificati anche casi di suicidio. Sia di anziani che non riuscivano a sostenere la solitudine imposta dal lockdown, sia di giovani che avevano perso il lavoro. Ed è possibile che queste forme di depressione proseguano ben oltre l’emergenza. Nella misura in cui le nuove condizioni imposte dai governi a livello globale acuiranno ulteriormente, da tutti i punti di vista, le disuguaglianze. E renderanno ancora più difficile vivere dignitosamente una vita per milioni di persone di ogni età.

Ma ancor più inquietanti sono state e potrebbero essere le conseguenze su un piano sociale e culturale. Il distanziamento sociale – individuato fin da subito come unica misura possibile di prevenzione dal contagio di un virus probabilmente ubiquitario (che potrebbe tornare a ondate e picchi stagionali, più o meno pericolosi) sta diffondendo una mentalità sintetizzabile in “contatto umano = pericolo di contagio = assembramento sociale”. Da “assembramento sociale” a “spazio sociale” il passo sarà breve. E le realtà più colpite sul lungo periodo dal virus della diffidenza e della paura, saranno proprio quelle che fanno della socialità e dell’autogestione la loro modalità organizzativa, oltre che la loro ragione di esistere.

Senza fare complottismi o congetture sull’origine più o meno naturale o premeditata del virus, è verosimile che ci siano strategie di potere ben precise volte a indirizzare le società verso una sempre maggior disciplinazione da parte delle istituzioni (mai prima nella Storia lo Stato era arrivato fino a definire scientificamente la distanza esatta da mantenere pubblicamente fra due corpi-mente. O a decidere organicamente con quali persone e in che modo si potessero avere dei semplici contatti fisici, anche all’interno di uno stesso nucleo familiare).

Oltre che a spostare il piano economico e relazionale sempre più sul digitale. Esponenziali sono stati e saranno i profitti di aziende come quelle delle telecomunicazioni, dei social media e di acquisti on-line (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google solo per citarne alcune).

In un sistema economico che da decenni ormai era sull’orlo della crisi ecologia e dell’esaurimento delle risorse, quello di internet e della rete sarà un giacimento potenzialmente infinito da cui attingere profitti e speculazioni. Così come dal capitalismo a trazione industriale si era già passati da anni a quello a trazione finanziaria, da un’economia delle risorse materiali e naturali si passerà sempre più a un’economia delle risorse digitali. Con tutto quello che ne conseguirà in termini di ulteriori trasformazioni sociali, culturali, oltre che di alienazione e spersonalizzazione della vita e delle relazioni anche più elementari.

La didattica a distanza, già diventata abituale nel periodo di chiusura delle scuole e delle università, rimarrà probabilmente in misura significativa anche alla riapertura di quest’ultime. Con tutto quel che non conseguirà in termini di allargamento della forbice del divario sociale fra i giovani. O di avanzamento per quei soggetti che più si adatteranno ai linguaggi ed alle pratiche disciplinari e cognitive richieste da questo metodo di insegnamento.

Per non parlare dei dispositivi di controllo e sorveglianza che diventeranno pane quotidiano. Come le app. per tracciare i contagi mappando gli spostamenti dei cittadini. O i braccialetti che si attivano vibrando e suonando un allarme quando due o più persone si avvicinano oltre le distane consentite (com’è già stato proposto o ventilato per le vacanze estive in spiagge e villaggi turistici. O addirittura per le scuole, comprese quelle dell’infanzia).

Nella misura in cui non riusciremo a trovare delle forme di risposta alternative (e non è detto che eventuali cure o vaccini portino via con loro, oltre al virus, anche i mutamenti strutturali che esso causerà su vasta scala), ogni lotta e prospettiva sociale di tipo orizzontale, assembleare, anarchico o libertario sembra duramente compromessa, se non a condizione di sublimarla sulla rete. Altra verosimile conseguenza di lungo periodo dell’attuale gestione dell’emergenza da COVID-19 sarà quella di abituare ancora di più la gente a pensare che gli Stati, i governi, la tecnologia industriale e la scientocrazia verso la quale stanno portando l’attuale gestione del poter politico, siano indispensabili alla tutela della vita e della salute dei cittadini.

Quella stessa ingegneria sociale che da sempre caratterizza il potere borghese, ovvero appunto la distanza, il sospetto, l’individualismo e il principio per cui <<la mia libertà finisce>> (e non comincia) <<dove inizia quella dell’altro>> si dipanerà all’ennesima potenza. Togliendo alle persone non solo il piacere e la gioia di vivere più grandi, ovvero quelli della socialità e delle relazioni diffuse (fisiche e mentali). Ma anche ogni possibilità di azione e prospettiva rivoluzionarie, venendo meno quella capacità di accelerazione energetica nel contatto umano che caratterizza ogni emancipazione nella Storia dell’umanità. E la sua capacità di andare imprevedibilmente oltre schemi, linguaggi, immaginari e pratiche socialmente costruite in ogni epoca dal potere.

Oggi più che mai è necessario lottare per riaffermare la possibilità di una socialità radialmente diversa, libera ed orizzontale, come primo anticorpo contro la diffusione di ogni virus, compresi quelli della diffidenza, dell’egoismo e del controllo.

Alcuni segnali interessanti arrivano proprio dalle contraddizioni stesse di questo ennesimo rigurgito della civiltà, e dalle faglie che si aprono al loro interno. Come il ritrovato interesse per le attività ludiche nei parchi, in campagna e negli spazi aperti. O la ripresa della mobilità su due ruote e su due gambe. Con le relative tipologie di socializzazione che ne derivano (per quanto mutilate dai protocolli di sicurezza).

Ma si tratta di risposte ancora prive di una coscienza ampia e radicale sulla questione. Che rischiano di diventare dei palliativi a una nuova vita trascorsa in gran parte davanti a un monitor od allo schermo del telefonino.

Questa pandemia è la conseguenza dei sistemi sociali e degli stili di vita dominanti a livello globale. Fino a quando non riusciremo ad approdare ad una società pienamente ecologica, basata sulla cooperazione ed il rispetto per ogni forma di vita, ogni azione volta alla tutela della nostra salute e di quella delle altre specie si tradurrà inevitabilmente in una negazione della vita stessa. Con conseguenze ancora più catastrofiche di quelle che ci hanno portato fin sull’orlo di questa crisi.

 

 

Edoardo

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Intervento di Dafne Rossi per incontro sull’ecologia sociale all’Ateneo libertario fiorentino (rimandato)

Avrebbe dovuto tenersi ieri sabato 4 aprile l’incontro di libertArea sull’ecologia sociale all’Ateneo libertario di Firenze. Con ospite Dafne Rossi di CUSA assieme ad esponenti dei Fridays For Future, delle lotte NO TAV e di altre lotte territoriali. L’incontro è rimandato a causa della sospensione di tutti gli eventi pubblici. Abbiamo deciso di pubblicare comunque l’intervento che Dafne Rossi aveva preparato, come spunto di riflessione in vista di una nuova data per l’incontro stesso.

PREMESSA

«Tutti gli scienziati sono d’accordo nel dire che le emissioni di CO2 causano un cambiamento climatico che porta al riscaldamento della terra e che a causa di questo il pianeta potrebbe porre fine alla sua vita.”

Non tutti. E non in questi termini. Non c’è una certezza su quello che avverrà.

C’è accordo sul fatto che l’inquinamento sia una delle tante CONCAUSE dei cambiamenti climatici MA NON CHE NE SIA LA CAUSA così come non causerà la fine del mondo. Inoltre NON finirà il mondo a causa del cambiamento climatico. Finirà il mondo che conosciamo noi, nulla vieta la formazione di nuovi ambienti e nuova vita.

I motivi per preoccuparsi dell’inquinamento ci sono e in primis dovremmo preoccuparci della nostra di sopravvivenza e di quella delle forme di vita più affini a noi.

1.Cosa ci fa persuadere che l’inquinamento causi il cambiamento climatico:

TEMPO

«I ghiacciai si sciolgono più velocemente che durante le passate ere geologiche in cui si sono alternati periodi glaciali a periodi caldi»

Prima di tutto i cambiamenti climatici non sono uguali nel tempo e nello spazio.

Ci sono stati infatti cambiamenti climatici molto lunghi seguiti da altri altrettanto brevi e in particolare, nel Quaternario, l’ultima fase della storia della terra, le oscillazioni climatiche si sono fatte più «veloci», di qualche migliaio di anni. In questi «ultimi» quattro milioni di anni, tra le varie cose accadute sulla terra, è comparso anche l’essere umano, ma da meno di 1000 anni è diventato abbastanza potente da poter controllare l’intero pianeta (o da averne la pretesa).

A questo va aggiunto che le fasi di scioglimento dei ghiacci sono più rapide di quelle di formazione di nuovi ghiacciai.

I cambiamenti climatici sembrano attualmente dipendere da cause astronomiche, secondo la teoria di Milankovitch, in particolare dai moti millenari della terra che il nostro pianeta compie insieme al sistema solare: l’eccentricità dell’orbita di durata 100 mila anni, l’inclinazione dell’asse terrestre, durata 41 mila anni, la Precessione degli equinozi, di durata 23 mila anni circa. A queste si aggiungono una serie di concause «terrestri» di cui l’inquinamento non è che l’ultima. Bisogna considerare infatti i vulcani, il movimento dei continenti, l’orogenesi (ovvero la formazione delle montagne), gli scambi gassosi tra atmosfera, idrosfera, biosfera, etc… Per finire, bisogna stare attenti ai segnali: quelli che sembrano segni di un riscaldamento climatico, potrebbero essere in realtà cause di un raffreddamento o viceversa.

Questo significa che ci sono cambiamenti climatici globali durante i quali si verificano cambiamenti climatici più rapidi che dipendono contemporaneamente da cause astronomiche e da cause terrestri.

Inoltre non bisogna confondere i cambiamenti climatici globali con quello che avviene a livello locale. La storia dei ghiacciai infatti non è uniforme da un emisfero all’altro e la ricostruzione delle ultime glaciazioni si basa soprattutto sui ghiacciai delle zone settentrionali dell’emisfero nord.

Altra questione, quanto conosciamo la storia dei ghiacciai? Quanti dati precisi possiamo avere a riguardo?

Ad esempio, se un ghiacciaio si è formato un milione di anni fa, possiamo conoscere esattamente tutte le sue fasi? Possiamo avere i dati dell’ultimo scioglimento, ma non sappiamo se nella sua storia di un milione di anni ha conosciuto periodi di scioglimento parziale alternati a periodi di ricongelamento. E questo ci collega subito al prossimo argomento, i dati.

DATI

«La temperatura attuale è la più alta mai registrata»

Attenzione al «mai» e al «registrata». Noi abbiamo dati di temperatura dell’aria e dell’acqua, salinità dei mari, pressione atmosferica etc, da quando l’essere umano ha iniziato a misurare.

Gli strumenti di misura e le unità di misura sono cambiati nei secoli e inoltre oggi strumenti molto avanzati ci consentono di avere misure precisissime. Sono cambiati i tempi delle misurazioni: una volta per avere informazioni generali sullo stato dei mari ci volevano mesi e mesi di navigazione e di raccolta dati a campione, oggi un satellite terrestre può dare informazioni sullo stato dei mari a livello globale in un giorno.

Anche l’interesse delle misurazioni è cambiato.

Prima l’interesse degli scienziati era quasi privato, oggi ci sono squadre di scienziati mondiali che monitorano costantemente il pianeta in funzione di interessi politici, economici, sociali.

Oltre alle misurazioni matematiche, ogni dettaglio che possiamo ricavare dal passato diventa prezioso anche se non ci da informazioni precise come quelle che possiamo avere oggi:

I giornali, i ritrovamenti archeologici, le raffigurazioni, i racconti, la mitologia.

Per esempio, molti ritrovamenti risalenti ai tempi dei Romani si trovano oggi sotto il livello del mare.

Andando ancora più indietro, al mito del diluvio universale, si potrebbe pensare che si sia trattato in realtà di un improvviso cambiamento del livello del mare che ha invaso gran parte delle terre emerse.

C’è chi sostiene perfino che la leggenda dei ciclopi, giganti a un occhio, incontrati in Sicilia da Ulisse durante le sue peregrinazioni, sia dovuta alla presenza in quell’area di elefanti. Cosa ci facevano gli elefanti in quella zona della terra? Probabilmente in quell’epoca la Sicilia era spostata più a Sud di ora e godeva di un clima molto più caldo.

Infine, se si vedono le raffigurazioni degli abiti ai tempi dei Greci e dei Romani, si vede che vestivano molto leggeri.

Mettendo insieme queste e altre informazioni, viene fuori il quadro di un riscaldamento climatico iniziato circa 15000 anni fa, che ha avuto come conseguenza l’innalzamento improvviso del livello del mare, inizialmente più brusco, che si è poi un po’ stabilizzato, ma che continua ancor oggi (dati che si trovano sul sito dell’ISPRA).

E prima che ci fosse l’essere umano a fare da testimone? Abbiamo i rinvenimenti fossili, i dati degli isotopi, atomi radioattivi che possono impiegare anche milioni di anni a decadere, utili per le datazioni, le successioni stratigrafiche, le variazioni dei poli magnetici a causa dello spostamento dei continenti e tante altre tecniche di datazione.

Esempio banale: se troviamo conchiglie o fossili di molluschi in montagna, sappiamo che probabilmente quella montagna un tempo era sommersa. Se poi quei molluschi sono (o sono stati) abitanti dei mari caldi, si può essere certi del fatto che in quel luogo una volta il clima era caldo. Se paragoniamo quei fossili ad altri di cui si è riusciti a rilevare la data, possiamo perfino capire a che epoca geologica appartengono.

Mettendo insieme tutte queste informazioni a livello locale, e senza perdere d’occhio i grandi eventi geologici che hanno sconvolto la terra, ci si può fare un’idea dei tempi e dell’impatto dei cambiamenti climatici e allora si possono azzardare confronti.

MISURAZIONE CO2

Le emissioni di CO2 fanno aumentare l’effetto serra.

Vero. Il protocollo di Kyoto ha ratificato un sistema per ridurre le emissioni di CO2, ma anche per permettere agli Stati di commerciare e scambiare tonnellate di CO2.

Una volta si diceva, ci faranno pagare anche l’aria che respiriamo e in qualche modo è successo.

Succede infatti che ogni stato deve attenersi a una soglia minima di CO2, quando sta al di sotto di tale soglia, acquisisce una specie di bonus da usare sul proprio territorio a piacimento. Questo bonus può essere guadagnato ad esempio promuovendo progetti che mirino all’utilizzo di nuove fonti energetiche, al riuso/riciclo dei rifiuti, creazione di aree verdi e così via. Se poi questi progetti sono fatti in uno stato povero e senza mezzi, il bonus vale di più. Esempio, se la Germania promuove una politica «green», sul proprio territorio o fa lo stesso in un paese dell’Africa, e con tali progetti è calcolato che emetterà nell’aria due tonnellate di CO2 in meno all’anno, può recuperare queste due tonnellate facendo circolare tranquillamente auto a petrolio sul suo territorio. Se invece la Germania mira alle auto elettriche, può vendere queste due tonnellate di CO2 alla Cina che ne ha tanto bisogno. E così si è creato un mercato internazionale di quote di CO2.

Ma mentre gli Stati si divertono a giocare in borsa con le quote di CO2, il pianeta continua a riversare nell’aria e nell’acqua gas serra da tutti i pori. Non parliamo del metano o degli altri gas che pure sono causa dell’effetto serra e che fuoriescono dalla terra un po’ a causa dell’essere umano, un po’ per i movimenti della crosta terrestre, e atteniamoci alla CO2. Vi sfido a calcolare quanta CO2 fuoriesce nell’aria da una singola eruzione vulcanica, o quanta ne producono in un giorno tutti gli organismi che respirano ossigeno, piante comprese (che respirano durante la notte).

C’è chi dice che gli scambi gassosi in natura rispettano un equilibrio naturale. Vero, ma un’eruzione vulcanica, un terremoto, sono eventi improvvisi in cui tonnellate di gas fuoriescono tutte insieme e la terra per riequilibrare questi gas fuoriusciti in poche ore ci metterà forse milioni di anni. Proprio come accade per l’inquinamento.

2. Il clima cambia, ma il mondo finirà?

Che il mondo finirà l’hanno sempre detto un po’ tutti. I Cristiani pensavano che sarebbe finito con l’avvento dell’anno Mille, i Maya avevano calcolato pressapoco che sarebbe finito nel 2012 e ancor oggi Musulmani e Protestanti predicano l’imminente arrivo del giorno del giudizio.

In tempi più recenti invece la fine del mondo è stata collegata alla salvaguardia dell’ambiente e c’è chi, a ragione ha combattuto per un mondo più pulito, ben sapendo che questa è la condizione base perché il mondo sia più giusto, che vengano azzerate le differenze sociali e non ci siano più fame, guerre e povertà. Rivendicazioni più che mai giuste ma che non hanno a che vedere con la fine del mondo, ma con la nostra fine. Il pianeta non ci rimpiangerà sicuramente, farà il suo corso, così come potrà fare a meno degli elefanti o dei panda che sarebbero probabilmente scomparsi lo stesso prima o poi senza lasciare traccia.

Le estinzioni di massa sono sempre avvenute sul pianeta infatti, e sono dovute spesso ai cambiamenti climatici. I primi a estinguersi sono stati spesso gli animali di grossa taglia. Esempio: i dinosauri hanno popolato mari, terra e aria per milioni di anni durante i quali, fra l’altro, la temperatura sulla terra era elevatissima rispetto ad ora e le concentrazioni di Carbonio nell’aria erano molto più alte di adesso. Infatti il clima era tropicale, crescevano foreste rigogliose e felci altissime, cibo adatto a queste enormi lucertole a sangue freddo che avevano per l’appunto bisogno di calore per sopravvivere. Se pensate, oggi le lucertole più grosse che si trovino sulla terra, sopravvivono in climi molto caldi, mentre alle nostre latitudini hanno assunto dimensioni minime.Tra le varie ipotesi sull’estinzione dei dinosauri, c’è quella appunto del raffreddamento del clima che avrebbe portato a un cambiamento di flora e fauna e a una loro sostituzione. Infatti la terra è stata colonizzata da conifere e piante a fiore e al posto delle lucertole che si sono rimpicciolite, sono arrivati gli uccelli nell’aria e i mammiferi, alcuni dei quali hanno assunto dimensioni molto grandi e sono perfino tornati a colonizzare i mari a fianco dei pesci. Proprio i mammiferi sono gli esseri viventi che a noi piacciono di più e che allo stesso tempo, come per una specie di cattiveria innata, stiamo riuscendo a far sparire dalla faccia della terra. Ma, da un punto di vista strettamente ecologico (ripeto SOLO ecologico) questi sono gli esseri «meno» utili alla terra. Quelli che consumano risorse e non contribuiscono alla loro rigenerazione. Ovviamente in maniera molto meno impattante della nostra, ma comunque in qualche modo lo fanno e forse lo farebbero ancora di più se non ci fossimo noi. Non significa che quindi possiamo continuare a fare fuori questi esseri viventi, non ne abbiamo il diritto. Significa che dovremmo dare una maggiore importanza ad altri esseri che non consideriamo di solito e che invece sono fondamentali per la nostra stessa sopravvivenza. Primi fra tutti i batteri.

Pensate ora alle profondità marine e date uno sguardo a quel che c’è sul fondo. Meduse, spugne, alghe. Esseri antichissimi che si trovavano lì milioni di anni or sono e che probabilmente ancora lì resteranno. Prima di noi e dopo di noi. Se tutto ciò non basta a convincervi delle risorse del pianeta e della vita, sappiate che esiste vita laddove neanche lo immaginate e che addirittura probabilmente la vita sulla terra è nata senza ossigeno, quando quest’ultimo era un gas tossico per gli organismi e sono stati proprio i batteri a «decidere» che tipo di vita si sarebbe evoluta in seguito, apportando maggior ossigeno nell’atmosfera anziché eliminarlo.

3. Il mondo pulito è la base per un mondo giusto e viceversa

Quando il mondo occidentale, dopo lotte su lotte per l’ambiente (compresa quella di Greta), ha iniziato a prendere sul serio una rivoluzione ambientale, i magnati dell’economia sono corsi ai ripari e si sono appropriati di parole quali «green», «bio», «eco».

Così sono nate la Green economy, e l’economia circolare, basate sull’uso di energie alternative, possibilmente rinnovabili, il riuso e il riciclo dei rifiuti, con l’introduzione del concetto di «ciclo dei rifiuti», l’uso di mezzi di trasporto non inquinanti. L’economia insomma si è accaparrata il diritto di usare a suo vantaggio quelle che sono state per anni le rivendicazioni di lotte sociali e politiche.

Infatti, l’economia di adesso sta creando gli stessi bisogni di quelli creati dall’economia capitalista.

Esempio. Si dice che la fame nel mondo aumenterà in funzione del continuo aumento della popolazione mondiale. A parte che la fame del mondo c’era anche prima e soprattutto da quando la produzione è diventata di massa (cosa che avrebbe dovuto invece eliminare ogni disparità sociale ed economica), il problema sono le soluzioni proposte:

– il risparmio totale di tutto, compresa l’acqua che beviamo;

– la ricerca di nuove risorse di cibo, e in particolare in questo momento si punta su alghe e insetti.

Immaginate di vivere in un mondo in cui ci cibiamo unicamente di alghe e insetti, andando a comprare sempre il cibo al supermercato e cercando di avere sempre il frigorifero pieno.

I mari saranno battuti da cima a fondo per recuperare tutte le risorse alimentari disponibili.

Ci saranno colture di alghe per far crescere al massimo le quali bisognerà dar loro medicinali e allevamenti intensivi di insetti nutriti a ormoni per diventare più grossi e (falsamente) nutrienti. Ci sarà selezione di organismi adatti ai bisogni alimentari con drastica diminuzione della variabilità genetica e della biodiversità. Ci sarà controllo dei mari e delle terre da parte di pochi, con ridotto accesso alle fonti alimentari da parte dei cittadini che prima potevano prelevare per conto proprio eventuali alghe mangerecce da aggiungere al proprio banchetto (le alghe infatti sono una fonte di cibo da tempi memorabili e non una moda del momento), e ora saranno costretti a procurarsi questi generi alimentari al supermercato. Ci sarà gente che si potrà permettere di mangiare e altra che non potrà. Insomma saremo in una situazione pari a quella di oggi finché non si punta a una ridistribuzione equa delle risorse e a un accesso alle risorse alimentari per tutt*.

Inoltre, è vero che una parte del pianeta spreca mentre l’altra metà non mangia, ma il problema è, che fine fa l’acqua che io non spreco? Pensate solo a quanta acqua viene letteralmente buttata negli impianti di raffreddamento delle centrali nucleari e quanta ne esce contaminata da radiazioni e inutilizzabile sia per bere che per lavarsi. E a quante sorgenti vengono chiuse all’accesso pubblico per venderne l’acqua nei supermercati.

È un po’ come quando i dittatori chiedono alla popolazione di sacrificarsi per «il bene del paese». È una situazione di «emergenza».

L’emergenza è una brutta cosa che non ci fa riflettere su quello che succede realmente e non ci fa trovare soluzioni adeguate. E che fa comodo ai capi di stato per sottomettere intere popolazioni. La prassi è sempre la stessa: informazioni parziali e incoerenti, diffusione di panico, richiesta di collaborazione da parte dei cittadini, diffusione di modelli di comportamento «corretti» da seguire con relativa richiesta di sabotare e segnalare comportamenti «sbagliati», in modo da creare un capro espiatorio che si assuma le responsabilità derivanti dalle pecche dello stesso stato. Così da fare in modo che invece di collaborare tra di noi per un mondo diverso, ci mettiamo uno contro l’altro, perché la necessità di cambiare e soprattutto il modo con cui farlo viene imposta, non parte dal basso.

Per finire, le risorse alternative e i rifiuti sono e sono stati un vero e proprio business per la stessa mafia, che un tempo gestiva le discariche o le industrie del petrolio.

È notizia di pochi giorni fa che l’appalto per la gestione dei rifiuti e delle isole ecologiche in molti comuni siciliani è risultato essere stato dato a un’organizzazione mafiosa (articolo de La Sicilia).

Da considerare anche la speculazione sulle risorse rinnovabili che ha portato all’uso di terreni un tempo agricoli per impiantare pannelli fotovoltaici e alla costruzione di enormi impianti eolici che impattano gli ecosistemi alla pari di una centrale nucleare (a livello di costruzione) senza peraltro che le popolazioni ne traggano giovamento. Perché tali impianti servono interessi più alti che dare l’energia nelle case dei cittadini.

Allora che si fa? Si torna indietro e si ricomincia a usare il petrolio?

Assolutamente no. Il problema non sono le risorse rinnovabili o il risparmio energetico. Bisogna cambiare mentalità.

Dafne Rossi

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