NESSUNO STATO PUO’ SALVARE IL ROJAVA! Costruiamo ovunque la Comune internazionalista delle donne e degli uomini

Quella del Rojava e della Siria del nord e dell’est è una delle esperienze rivoluzionarie e comunitarie più importanti degli ultimi decenni.

L’autogestione di intere comunità di donne e di uomini, basata sulle assemblee e sulla democrazia diretta, ha dimostrato non solo che una società ecologista, anticapitalista e libertaria oggi è più che mai possibile. Ma che può garantire meglio di qualunque Stato, i diritti e le libertà di ogni essere umano.

Lo dimostra il fatto che il “piccolo e indifeso Rojava” ha dato un contributo fondamentale alla lotta contro l’ISIS ed alla sua sconfitta. Oggi rimessa tragicamente in discussione dall’infame invasione militare da parte della Turchia di Erdogan.

Lo dimostrano i progressi raggiunti in termini di emancipazione delle donne. E lo sviluppo di un cooperativismo economico fondato sul rispetto dell’ecosistema e su un possibile equilibrio con l’ambiente.

Fondamentali sono state le influenze esercitate su Abdullah Ocalan – riferimento politico, umano e ideologico di moltissimi curdi – da parte del socialista libertario Murray Bookchin, e della sua opera basata sull’assemblearismo e sull’ecologia sociale.

Per tutti questi motivi, l’esperienza storica del Rojava è intollerabile non solo per lo Stato turco. Ma per tutti gli Stati più o meno democratici, ambasciatori di una presunta diplomazia o di un presunto diritto internazionale. Lo dimostra anche l’ennesimo “capolavoro diplomatico” degli Stati Uniti. Che hanno fatto passare per ritiro delle proprie truppe – dislocate in realtà a difesa dei pozzi di petrolio della Conoco – quello che di fatto è stato un via libera all’ennesimo massacro ed all’ennesima repressione da parte di un membro fondamentale della NATO come la Turchia.

Lo dimostra l’ipocrisia dell’Italia e di altri paesi europei, che da un lato condannano l’aggressione di Erdogan. E dall’altro dichiarano embarghi non retroattivi sulle armi, nei confronti di quello che è e resta un partner economico-militare fondamentale per le strategie geopolitiche continentali.  Sotto il ricatto del riversarsi di decine, forse centinaia di migliaia di profughi alle frontiere della sua fortezza assediata.

Per tutti questi motivi, una soluzione della crisi del Rojava che punti ad un sostegno da parte dell’Unione Europea e dell’ONU, è destinata a infrangersi contro quelle stesse illusioni che avevano portato i miliziani curdi a trovare possibili alleanze proprio nelle coalizioni occidentali a guida USA.

Solo un pieno e incondizionato rilancio della solidarietà internazionale, declinando in chiave anarchica tanto il confederalismo del Rojava, quanto esperienze come quelle delle Brigate Internazionali di Liberazione. E solo la costruzione di comuni internazionaliste in ogni spazio e in ogni momento di conflitto. Possono garantire quella pressione sul governo turco e i suoi alleati tale da farli desistere dall’obbiettivo finale di annientamento della rivoluzione e della causa curda, che è la causa di tutti i popoli.

 

 

CUSA

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Cambiamento climatico, inquinamento e… confusione

Baia di Lindos, isola di Rodi, Grecia. La linea scura sulle rocce si chiama “solco di battente”, indica il livello del mare circa 5000 anni fa: in parte le spiagge orientali dell’isola si sono innalzate (fenomeni di subsidenza) e in parte il mare si e` ritirato (fenomeni di eustatismo). Un altro fenomeno che si può osservare in questa spiaggia e` la chiusura dei bracci di terra che circondano la baia. Col tempo questo tratto di mare potrebbe chiudersi, formare una laguna e in seguito una palude.

Come ogni anno è arrivato il caldo estivo. Da quando Greta è scesa in piazza giurando lotta eterna per il clima, l’argomento è diventato un chiodo fisso per tutti, e lei nemica di governi e multinazionali, esempio da seguire per i movimenti ambientalisti e bersaglio di battute da parte di chi del clima se ne frega.
Si vive in costante emergenza climatica, si confondono la normale afa estiva con la siccità, le anomalie stagionali con un cambiamento climatico epocale, e tutto ciò è considerato causa diretta dell’inquinamento.
Negli ultimi giorni il telegiornale ci ha martellato con la notizia di un’ondata di caldo nelle città del Centro Nord. Ora, non c’è dubbio che lo smog contribuisca a rendere più afose che mai le città in questione. Ma va anche considerato che queste ultime non hanno sbocco sul mare, sono site sulla riva di fiumi e in mezzo alle montagne, ovvero godono di un clima continentale, che per definizione è caratterizzato da freddi inverni ed estati molto calde.
Effettivamente, vivere nell’emergenza di un possibile e irrimediabile cambiamento climatico potrebbe dare all’umanità uno stimolo a darsi da fare per smettere di inquinare e di consumare tutte le risorse della terra, migliorando di gran lunga la qualità dell’ambiente.
Purtroppo, in emergenza la gente non pensa razionalmente. E l’ingenuità con cui si affrontano certe situazioni può portare a trovare soluzioni estremamente fantasiose, che in alcuni casi possono rivelarsi ancor più pericolose per la natura.
Ad esempio, nel Sud Est della Sicilia la gente è propensa a pensare che l’erosione delle spiagge dipenda direttamente dallo scioglimento dei ghiacciai e dal consecutivo innalzamento del livello del mare. Fin qui la cosa ha senso, ma nessuno ha mai pensato che il mare si possa muovere nel tempo e che quindi non è consigliabile costruire abitazioni (abusive peraltro) a ridosso del litorale, (esattamente come non si costruisce su un dirupo). Cosa che invece sicuramente contribuisce a far scomparire la spiaggia ma non è la causa dell’innalzamento del mare. C’è poi chi addirittura ribalta completamente la sequenza causa effetto di questo processo.
Queste sconclusionate teorie sono pericolose perché non tengono di conto il fatto che la natura non è ferma e immutabile, e che il mare non è una piscina messa lì in bella vista per poterla ammirare noi. Il mare sale e scende, i fondali marini non sono piatti e la terra che noi chiamiamo ferma, ferma non è affatto. Ma soprattutto, questo modo di pensare denota un’evidente mancanza di prospettiva temporale. Per l’essere umano un cambiamento rapido avviene al massimo in una decina d’anni, per la terra dura minimo mille anni, cioè almeno 40 generazioni umane: c’è totale incompatibilità tra quello che facciamo noi, e che possiamo contribuire in parte a cambiare, e quello che fa la terra.
Vuol dire che noi non abbiamo idea (e non potremmo mai averne una precisa) di come la terra si è modificata dalla sua nascita ad oggi. Dei climi e degli ambienti che si sono alternati, delle miriadi di esseri viventi che sono comparsi e si sono estinti prima che avessimo il tempo di metterci noi lo zampino.
Ma c’è dell’altro.
Vivere nell’emergenza porta a pericolose derive il cui punto d’arrivo sono di solito le tirannie e le dittature. Durante il fascismo le donne donavano le loro fedi nuziali allo Stato per fonderle e ricavarne oro. Nella speranza di aiutare i loro mariti mandati in guerra a morire congelati in Russia o a godersi il mare e le donne (diciamoci la verità, in guerra c’è stato anche questo) di qualche soleggiata isola greca.
Un po’ la stessa cosa avviene oggi quando ci viene chiesto di risparmiare l’acqua che beviamo o il cibo che mangiamo. D’accordissimo, infatti, a chiudere il rubinetto quando non serve. Sono la prima a inorridire quando vedo buttare cibo ancora buono nella spazzatura, soprattutto sapendo che la maggioranza delle persone sul pianeta vive in povertà assoluta, ed evito l’uso di piatti e bicchieri di plastica.
Ma che succede quando milioni di tonnellate d’acqua vengono usate per raffreddare le centrali nucleari, o quando usiamo i bacini idrici per scaricarci i nostri rifiuti? Succede che a noi tutta quell’acqua ci viene tolta (o ce la neghiamo da soli) perché serve a scopi «superiori». E che gran parte di quella che noi dovremmo consumare viene inquinata: di conseguenza compriamo l’acqua in bottiglia o paghiamo una ditta privata perché ci ripulisca la falda idrica, mentre noi siamo costretti a risparmiare quello che ci è indispensabile per vivere. Quella che dovrebbe essere una risorsa comune diventa un bene per pochi.
Inoltre, ricordatevi che dietro la produzione massiccia di oggetti in materiale organico o di macchine a gas anziché a petrolio, dietro ai pannelli fotovoltaici, c’è un’intera nuova economia* che si muove con le stesse identiche caratteristiche di quella attualmente esistente. La mia riflessione infatti è questa: basta un pannello sul tetto per illuminare un’abitazione, e una turbina eolica per dare luce a un quartiere intero. Allora a che serve un impianto eolico immenso in mezzo alle colline che non viene usato da nessuna delle città immediatamente adiacenti? E i campi «coltivati» a fotovoltaico nelle regioni del centro Italia, quando in tali regioni viene usata regolarmente l’elettricità via cavo? O gli immensi impianti solari in mezzo ai deserti? Il problema dell’inquinamento, dunque, non è soltanto il risparmio di energia o il trovare fonti di energia alternativa. Ma che vi piaccia o no è quel vecchio e conosciuto sistema al quale qualcuno tempo fa diede il nome di «capitalismo». E che crea tante disparità sul pianeta.
Ora, dopo tutta questa manfrina, penserete che io non prenda in considerazione l’emergenza inquinamento o che appoggi addirittura la politica di Trump. Tutt’altro. Vorrei che rifletteste a mente fresca almeno per un attimo.
Il clima muta in continuazione, i continenti si spostano, movimenti continui e a noi spesso impercettibili della terra liberano nell’aria tonnellate di CO2. I mari si alzano e si abbassano giornalmente a causa delle maree, stagionalmente a causa dei venti e del moto ondoso, in migliaia di anni a causa di fenomeni astronomici (in particolare quelli che vengono chiamati i moti millenari della terra, che sembra siano alla base dei grandi cambiamenti climatici**).
Noi modifichiamo l’ambiente che ci circonda, inquiniamo l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo, deviamo il corso dei fiumi, spianiamo le coste, decimiamo gli animali, riempiamo gli oceani di plastica, sfruttiamo al massimo le risorse della terra. E tutto questo perché una piccola parte degli esseri umani viva relativamente bene, a discapito della stragrande maggioranza della nostra specie. In altre parole ci facciamo del male, e distruggiamo la natura con cui più abbiamo familiarità, o che ci piace.
Ma non stiamo distruggendo la terra e qui nasce l’equivoco in cui cadiamo spesso.

Parco dell’Aniene, tra i quartieri Tiburtino e Salario, in piena città di Roma

Le piante infatti crescono persino sull’asfalto***, non siamo mai riusciti a liberarci da insetti, gabbiani e topi e nel frattempo, probabilmente, Miss Evoluzione starà già architettando qualcosa di nuovo.
Vi siete mai chiesti se il panda, o l’elefante non sarebbero spariti anche senza il nostro contributo, lasciando un posto vuoto sul pianeta per specie nuove?
È qualcosa che si è ripetuto nella storia della terra: gli esseri più ingombranti, oserei addirittura più «inutili» dal punto di vista strettamente ecologico**** (NON etico), ovvero quelli che consumano più risorse, a un certo punto si sono estinti, forse perché non hanno saputo adattarsi a un cambiamento climatico, oppure si sono ridimensionati parecchio. Considerate che un panda può mangiare fino a 15 kg al giorno di bambù, oltre, occasionalmente, ad uova o piccoli animali. L’essere umano fa ben altri danni, ma a un individuo adulto basta molto meno da mangiare.
Un esempio di esseri ingombranti che si sono estinti è quello dei dinosauri che hanno colonizzato terra, aria e acqua per diversi milioni d’anni. E poi, per motivi ancora non ben chiari, in parte si sono evoluti in quelli che sarebbero diventati gli uccelli e i mammiferi, in parte sono diventati molto più piccoli fino ad assumere le dimensioni dei serpenti e delle lucertole attuali. In altre parole, hanno lasciato posto ad esseri nuovi. Allora la terra era molto più calda di ora (i famosi due gradi in più, conseguenza delle emissioni di CO2 sono niente a confronto), e poi è successo qualcosa che ne ha alterato le condizioni.
Se pensate che gli elefanti vivano sulla terra da poco tempo, sappiate che contrariamente a quanto si pensa, sono più vecchi del loro parente lanoso, il mammut. Probabilmente sono sopravvissuti al passaggio da un’era calda a una più fredda e poi di nuovo a una calda. Ma ora sono in declino, per colpa nostra, sicuramente, ma anche per altre cause.
Vorrei farvi notare, invece, come altri esseri se ne stanno buoni buoni dove sono, dai tempi in cui si sono formate le prime forme di vita complesse senza subire minimamente i cambiamenti climatici o l’inquinamento. Pensate alle meduse, o alle spugne sul fondo del mare o ancora alle libellule sulla terra.
Non voglio tediarvi oltre. Vi dico solo che le prime forme di vita sulla terra sono arrivate circa 3 miliardi e mezzo di anni fa, si chiamavano batteri. Non si sa ancora come si siano formati, ma è probabile che siano nati addirittura in mare, a profondità altissime senza ossigeno né sole, vicino a fuoriuscite di acqua ricca di minerali chiamate camini idrotermali. Nei pressi delle quali tutt’oggi esiste un’intera gamma di organismi (da invertebrati a pesci più grossi) che vivono grazie a tali batteri. E proprio i batteri, arrivati in qualche modo alle nostre superfici, hanno campato da soli per tre miliardi d’anni in un’atmosfera di CO2 che nel corso del tempo avrebbero riempita d’ossigeno. In sostanza, probabilmente sono stati loro a decidere che tipo di vita sarebbe comparsa successivamente sul pianeta. E, quando miss Evoluzione ha ideato la cellula eucariotica, col DNA ben impacchettato dentro il nucleo, la vita era finalmente pronta a manifestarsi nelle sue forme più svariate, cosa che è avvenuta in «poco» tempo*****. «Solo» circa 4 milioni d’anni fa siamo arrivati noi.

Lungotevere, Roma

Dico tutto questo non perché giustifico la decimazione del panda o dell’elefante da parte nostra. Né perché nego un cambiamento climatico in corso. Dico semplicemente che la natura non la controlliamo, che questo cambiamento climatico non ci sarà per causa nostra, e che se c’è qualcuno che trae poco vantaggio dalle nostre azioni sconsiderate, quel qualcuno siamo proprio noi. Ci illudiamo di poter tenere sott’occhio qualcosa i cui meccanismi ci sfuggono del tutto, e sui quali possiamo solo fare osservazioni e teorizzare. Viceversa, diamo per scontate cose come la fame, la povertà e i soprusi, che invece dipendono totalmente dalla nostra volontà e che sono le cose contro le quali dovremmo seriamente lottare. Sono questi, infatti, i motivi per i quali dovremmo smettere di inquinare e sfruttare smodatamente le risorse della terra. E per riuscire nell’impresa dovremmo cambiare all’abc il nostro sistema economico, e probabilmente anche il nostro stile di vita.
Chiudo con questa affermazione, che spero non intendiate in senso religioso: credo che la vita sia la cosa più bella che esista, e noi siamo capaci solo di rovinarcela pensando che ne esista una migliore in un mondo diverso da questo. Se iniziassimo a vivere davvero e autorispettarci come esseri umani, credo che riusciremmo a rispettare anche tutto quanto il resto che ci circonda.

 

 

Dafne Rossi

6 luglio 2019

Note:
* Parlo di Green Economy e di Economia circolare
** Le teorie secondo cui i moti millenari della terra influenzano il clima e sono causa di cambiamenti climatici periodici che durano appunto migliaia di anni, e che come conseguenza hanno lo scioglimento/formazione dei ghiacciai e quindi la variazione del livello del mare, risalgono ai primi del ‘900 e sono da attribuire al matematico Milanković. Attualmente sono le teorie sul clima maggiormente accettate dalla comunità scientifica.
La teoria della deriva dei continenti, secondo la quale i continenti si sono spostati nel tempo e che ha dato origine alla teoria della tettonica delle placche, invece, risale al 1912 ed è attribuita ad Alfred Wegener.
*** È estremamente evidente che la natura si riappropri delle nostre città.
L’architetto paesaggista francese Gilles Clément ha fatto parecchie osservazioni ed esperimenti a riguardo, e nel suo libro «Il terzo paesaggio» racconta come in pochissimo tempo paesaggi abbandonati dall’essere umano possono diventare paesaggi nuovi, dove la natura si ripropone in forme nuove, diverse da quelle che noi conosciamo.
**** Ovviamente non esistono esseri utili o inutili, ma ecologicamente parlando, ci sono organismi che contribuiscono a creare, trasformare e riciclare le risorse sulla terra e altri che le consumano senza dare alcun apporto all’ecosistema e tra questi non ci siamo solo noi.
*****Miss Evoluzione» è una citazione di Frank Schätzing che nel suo libro «Il Mondo d’acqua» racconta l’evoluzione della vita sulla terra, ponendo particolare attenzione proprio sui tempi che ci sono voluti perché la vita assumesse forme più complesse rispetto alla cellula procariotica, cioè ai batteri.
Secondo le ultime teorie, l’evoluzione non è lineare come diceva Darwin, ma è qualcosa che va in qualche modo «a tentativi» e «a zig zag». Lo testimonierebbero le attuali forme di vita sulla terra. Così, dai dinosauri non sono nati semplicemente i rettili, essi hanno probabilmente dato origine a due linee evolutive che si sono sviluppate più o meno contemporaneamente in ambienti differenti: gli uccelli e i mammiferi.
Riguardo la nascita della vita, le teorie sono molteplici. I camini idrotermali sono stati studiati negli ultimi anni perché in prossimità di questi vivono colonie di batteri che sono in grado di sintetizzare molecole organiche a partire da gas inorganici con un processo chemiosintetico, proprio come fanno le piante che stimolate dalla luce producono zuccheri da molecole di CO2. Su questo processo si basa un’intera catena alimentare che ha come ultimo anello i pesci mostruosi che vivono sott’acqua a migliaia di metri di profondità, nelle fosse oceaniche.
Infine, la spiegazione del fatto che la terra si sia riempita di ossigeno grazie ai batteri, è da ricercare nella teoria endosimbiontica della biologa Lynn Margulis.
Va sottolineato che tutte queste teorie non corrispondono necessariamente alla realtà dei fatti perché la scienza, al contrario della religione, si basa su ciò che è possibile dimostrare, non su ciò che è vero in assoluto.
Anche se non siamo certi sulla spiegazione, però i terremoti e i vulcani sono reali, e allo stesso modo la vita a migliaia di metri sotto il livello del mare, dunque attualmente queste teorie hanno parecchie basi empiriche: di conseguenza, anche se nel tempo dovessero venire superate o rifiutate, ci aprono comunque orizzonti possibili che non possiamo ignorare.
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Articolo CUSA sul numero 434 di maggio di “A rivista anarchica”, in occasione del nostro 10° anniversario

“A rivista anarchica” ha pubblicato sul numero di maggio questo articolo CUSA, in occasione del nostro decimo anniversario.

L’articolo ripercorre le tappe che abbiamo fatto in questi anni, cerca di analizzare la situazione attuale alla luce anche del nostro percorso, e propone dei possibili sviluppi verso un nuovo (e sempre più necessario) umanesimo anarchico.

Ringraziamo la redazione di “A” per questo bel regalo di compleanno!

 

 

Qualcuno nel 1992 aveva provato a proclamarla la fine delle Storia.

Quando un sistema di potere che si credeva naturale come il ciclo degli equinozi o la forza di gravità, crollò improvvisamente sotto i colpi di un blocco contrapposto. E delle menzogne sulle quali fin dall’inizio si era fondato. Lasciando campo a un capitalismo e un liberismo sfrenati, che si sarebbero spinti ben oltre le più nere previsioni.

Qualcuno allora tentò delle improbabili “Rifondazioni”. Sostenendo ai congressi nazionali che il fatto che una delle più gravi tragedie della Storia fosse coincisa con lo stesso apparato ideologico del loro partito, non richiedesse una riflessione critica su di esso. Ma che si trattasse di una spiacevole e imprevedibile coincidenza, dipesa dall’errata interpretazione di alcuni personaggi fraudolenti, indegni di quel simbolo e di quel nome (quelli stessi personaggi che si era incensato pubblicamente, fino a pochi anni prima).

Ma la barca non ha retto a lungo la tempesta. Nei cuori di molti militanti storici dei partiti comunisti, non solo la socialdemocrazia, ma persino la Croce sarebbe tornata a prendere il sopravvento. E in mancanza di quella seria riflessione sulle vicende storiche e sui paradigmi di liberazione, ci si è trincerati nella difesa delle istituzioni nate con l’avvento storico della borghesia.

Istituzioni che ormai quasi più nessuno riconosceva come il nemico da abbattere o da superare. Una volta mascherate da costituzionalismo all’italiana, sotto lo slogan del “Noi non siamo stalinisti, perché siamo sempre stati per l’alternativa democratica” (cioè per quella linea fatta introdurre proprio da Stalin nei parti comunisti occidentali, dopo la Seconda guerra mondiale).

Nel frattempo la critica e la contestazione allo statalismo di sinistra avevano iniziato una nuova fase già con gli anni ’60 e ’70. Di pari passo con un relativo riflusso dell’anarchismo ideologico, anch’esso bisognoso di una riflessione critica sui suoi presupposti, dopo l’esperienza della rivoluzione e della Guerra civile spagnola. Ma in mancanza di una seria riflessione sul tema della soggettività anche il post-strutturalismo – per quanto prezioso nei sui apporti alla liberazione dal “discorso del potere” e dalle istituzioni disciplinari – avrebbe ben presto ceduto il passo alle folgorazioni sulla via di Damasco. Che hanno portato ad esempio i suoi adepti delle attuali generazioni, ad abbracciare Comunione e Liberazione in alcuni casi già a 20-30 anni.

Gli spazi sociali invece sono stati forse una delle esperienze più positive di questa parabola, pur con tutte le loro contraddizioni e i paradossi.

Nati con l’idea di ricreare un tessuto sociale frantumato intorno a delle idee socio-politiche, nell’intento di superare i modelli della società patriarcale e capitalista ne hanno proposti di nuovi. Cercando altri modi di prendere decisioni comunemente.

I movimenti di ribellione al sistema capitalista sono stati mosaici di molteplici identità. E nel loro piccolo i centri sociali hanno espresso questa diversità.

Il centro sociale è antifascista per definizione. E a volte si trova nello stesso spazio gente con posizioni diverse che condivide gli stessi disagi nel quotidiano, vivendo gli stessi quartieri. Perciò gli spazi sociali hanno puntano a sviluppare forme di resistenza collettiva come le ciclofficine popolari, i gruppi d’acquisto solidali, gli orti urbani, le palestre. Con l’intento di stabilire rapporti diretti tra produttore e consumatore, fino all’autoproduzione. Usando nuovi mezzi di trasporto, mettendo in moto meccanismi di scambio e riuso, condividendo le proprie competenze.

Purtroppo però molte persone si sono chiuse dentro queste quattro mura, e hanno preteso di farne un mondo perfetto, tagliando fuori il resto della comunità.

Il momento assembleare ha sempre più perso la centralità e la circolarità che aveva inizialmente. Proprio in virtù delle carenze su un piano della ricerca soggettiva, individuale e sociale, da parte dei riferimenti usciti dal post-strutturalismo, e andati per la maggiore in questi ultimi decenni.

Difficile capire quando si può scendere a patti, a volte è impossibile, o quando le idee sono troppo diverse.

E la diversità, che da un lato è stata sempre una ricchezza, ha portato anche a rotture e a gruppi sempre più ristretti di persone che, oltre a isolarsi, hanno facilitato involontariamente le infiltrazioni di polizia e DIGOS. Generando a loro volta diffidenza verso le nuove persone che si avvicinavano agli spazi sociali.

Hanno contribuito a questi fenomeni anche le politiche di “assegnazione”. Grazie alle quali i centri sociali, a discapito della loro libertà, sono diventati di fatto proprietà di chi li gestisce e si sono assoggettati sempre più all’istituzione. Sempre in mancanza di strategie sociopolitiche (ma anche di riferimenti culturali), che riuscissero a offrire un’autentica prospettiva di liberazione dallo Stato. Il quale ha potuto pretendere un affitto, esigendo il rispetto di alcune regole. Ed essere sicuro che tutto quello che avveniva all’interno di essi, vi rimanesse confinato e non si manifestasse all’esterno.

Di conseguenza, si sono riprodotte dinamiche di potere e sopraffazione, che ogni persona si porta dietro dall’ambiente in cui è nato e cresciuto. Ed essendo i centri sociali composti da piccoli gruppi di persone che condividono anche momenti di vita, è stato spesso difficile tenere separati i rapporti personali da quelli socio-politici (ammesso che ciò sia possibile).

Inoltre, molte persone si sono allontanate sempre più dal mondo reale. E quando hanno tentato di tornarci, si sono sentite additate come “drogati” o “fattoni comunisti”.

Il concetto di “legalità” ha attecchito su quello di “legittimità”, e la gente si è allontanata dalla gestione della comunità. Considerandola come un affare di chi governa, e definendosi sempre di più “apolitica”.

Da questa tendenza hanno tratto guadagno anche gruppi neo-fascisti, che negli ultimi anni hanno ricominciato a sfilare pubblicamente in piazza. Esibendo croci celtiche e svastiche, finché qualcuno di loro, più bravo oratore e più ambiguo, è arrivato al governo.

Ora i centri sociali stanno tentando di tornare nelle strade e nelle piazze a parlare con la gente, e ricreare quella collettività che era il loro originale intento.

Chi non si è assuefatto al volere dell’istituzione però, nel tentativo di uscirne fuori, si trova davanti all’insormontabile difficoltà di affrontare il mondo esterno.

Alcune correnti minoritarie di queste esperienze infatti, avevano già iniziato a presagire fin dalla loro origine, la crisi di alternative basate da un lato sulla difesa di paradigmi obsoleti come materialismo, scientismo e determinismo. Dall’altro su un nichilismo o un anti-umanesimo filosofico altrettanto sterili sul lungo periodo. E facilmente cooptabili da quei sistemi di potere che pretendevano di osteggiare.

Sono fioriti così negli ultimi decenni, movimenti ecologisti e nonviolenti, lotte comunitarie e territoriali, marce per il clima ed il disarmo, manifestazioni e coordinamenti antirazzisti, collettivi e movimenti artistici di strada. Parallelamente a nuovi contributi al pensiero, tanto ignorati quanto fondamentali per i possibili percorsi futuri dell’umanità.

Si sono riscoperti e riletti criticamente autori come Jung, Feuerbach, Husserl. E indagato nuovi campi di ricerca posti ad esempio dalle neuroscienze e dalla fisica quantistica.

Ma la strada verso questo nuovo umanesimo, ed ancor più verso questo nuovo umanesimo anarchico, sarebbe stata lunga, difficile e controversa. Portandosi dietro il fardello degli irrisolti e le contraddizioni del passato, si sarebbe scontrata da un lato con la dura repressione e screditamento da parte del potere. Dall’altro con la prevedibile ostilità e diffidenza dei settori dell’antagonismo più legati ai valori ed alle formule tradizionali.

Preso fra due fuochi e in mezzo a questo pantano, gli aneliti e le spinte rivoluzionarie si sarebbero purtroppo presto arenati. In mancanza anche di un’adeguata risposta da parte delle forze e dei movimenti di ispirazione anarchica e libertaria. Rimasti tendenzialmente arroccati in questi anni, salvo alcune significative eccezioni, su paradigmi tradizionali. O al massimo su quelli usciti come dominanti dalle elaborazioni fatte fra anni ’60, ’70 e ’80.

Di tutto questo ne vediamo purtroppo oggi in Italia la più fulgida conseguenza, nell’affermarsi di fenomeni populisti e legalitari come il Movimento 5 Stelle. I quali hanno riportato pienamente la questione “umanistica” su un piano della strenua difesa delle istituzioni democratiche e repubblicane. Con gravissime conseguenze in termini di crisi migratoria e di repressione degli spazi sociali. Ma anche di aumento di diseguaglianze, controllo sociale, limitazione degli spazi sindacali, rafforzamento dell’economia imprenditoriale e abiura de facto della lotta anticapitalista.

Dunque se qualcuno nel 1915 profetizzava per il futuro prossimo della propria epoca un chiaro ed inequivocabile Socialismo o barbarie, non si sarebbe forse avventati oggi se si azzardasse un altrettanto premonitore Umanesimo (anarchico) o fine della Storia.

Oggi che ogni altra alternativa al capitalismo in tutte le sue forme sembra ampiamente fallita. E i suoi mentori hanno scatenato una resa dei conti finale con la Storia stessa; contro ogni tentativo rivoluzionario.

Quella Storia con cui i tutori dell’ordine vigente sanno di avere delle fratture e degli irrisolti ormai insanabili. E che stanno cercando di portare verso un nuovo Medioevo sociale, culturale, psicologico.

Oggi più che mai, abbiamo bisogno di una nuova e diversa soggettività possibile. Una soggettività che partendo dalla dimensione percettiva, di valore alla sfera emotiva e irrazionale, coniugandola con quella del pensiero.

E a partire da questo, sia in grado di rompere con gli immaginari e i linguaggi codificati. Sperimentando da un lato nuovi percorsi creativi di emancipazione oltre le “Colonne d’Ercole” del modo istituito. Dall’altro, elaborando costantemente delle forme organizzative e delle strategie socio-politiche, che non siano modelli assoluti o “definitivi” di quel percorso di liberazione. Bensì delle strutture in divenire, capaci di evolversi e ricrearsi continuamente.

Per incidere sulla realtà presente, declinandola verso i nuovi immaginari che quell’istinto alla creatività produce.

Abbiamo bisogno di ricercare un umanesimo non antropocentrico, come vitalismo alternativo – e antagonista – sia a quello religioso che a quello nichilista.

Questo umanesimo, ovviamente, non potrebbe che essere anarchico.

 

Questo mese di maggio 2019 “CUSA – umanesimoAnarchico” festeggia il suo 10° anniversario.

10 anni di lotte pacifiste, ecologiste, antirazziste, nonviolente, libertarie.

Vogliamo continuare a lungo questo percorso assieme.

Seguiteci su cusa.noblogs.org

Scriveteci a umanesimoanarchico@inventati.org

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23 MARZO: CONTRO LE GRANDI OPERE DEI FARAONI DEL CAPITALISMO Rilanciamo le lotte comunitarie per la difesa dell’ambiente e del territorio

Il Governo del Cambiamento è il governo della resa dei conti con le lotte territoriali contro le grandi opere, che in questi anni hanno espresso le mobilitazioni più interessanti, in Italia e non solo.

Niente di più intollerabile per i crociati della legalità giallo-verde, di comunità che si organizzano senza bisogno dello Stato, dimostrando la possibilità di orizzonti radicalmente diversi da quelli attuali.

La politica de “La pacchia è strafinita”, varata da un Ministro dell’Interno che quasi tutta l’opinione pubblica riconosce come un Premier de facto, è un durissimo attacco alle forme di lotta che escono dagli schemi istituiti.

E’ la resa dei conti delle classi dominanti contro chi lotta per il superamento dei modelli economici basati sul profitto, e sulla crescita economica all’infinito.

Dopo i migranti e la libertà di circolazione delle persone (spacciata per “lotta all’immigrazione clandestina e ai trafficanti di esseri umani”), gli spazi sociali “dove si nascondono i criminali” e le lotte “che intralciano il regolare operato del governo”, un’altra pericolosa eresia deve essere messa all’indice, in nome del Contratto Lega-Cinque Stelle: le mobilitazioni territoriali che rivendicano l’autonomia dalle loro decisioni dal governo, centrale o locale.

E’ questo l’horror vacui che tiene stretti in un viscido abbraccio Salvini e Di Maio. In disaccordo a volte sulle forme, ma in totale sintonia nella sostanza del rilancio delle aziende e del mercato, con la repressione degli spazi di dissenso che escano dalle logiche imprenditoriali e governative.

Così, persino nella retorica antisistema di un Di Battista, la questione della lotta contro la TAV in Val Susa non riguarda più la critica a un modello tecnologico di sviluppo basato sullo sfruttamento delle risorse e del lavoro della gran parte della popolazione mondiale. Ma riguarda “l’analisi costi-benefici di un’alta velocità che potrebbe invece essere utile ad altri collegamenti e ad altri territori”.

Uno specchietto per le allodole quello del tira e molla sulla Torino-Lione, che sta infatti oscurando la ripresa di tutti gli altri progetti a forte rischio di impatto ambientale come il TAV terzo Valico, la TAP in Puglia, il MUOS in Sicilia ed il corridoio Roma-Latina.

 

Proprio nel momento in cui la catastrofe ecologica bussa sempre di più alle porte, dobbiamo sviluppare pratiche comunitarie che permettano di sperimentare otre le condizioni, le tecnologie e saperi imposti dal potere.

E offrire strumenti per una presa di coscienza più ampia a fenomeni di resistenza globale come lo sciopero dei giovani per il clima dello scorso 15 marzo.

 

 

CUSA

 

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APPELLO: LA POLVERIERA È SOTTO SGOMBERO! DIFENDIAMO LE AUTOGESTIONI!

 

APPELLO: la Polveriera è sotto sgombero! DIFENDIAMO LE AUTOGESTIONI!

Venerdì scorso il CDA dell’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio ha approvato – senza alcun preavviso e con il solo voto contrario delle rappresentanze studentesche – lo sgombero degli spazi comuni della Polveriera come condizione per l’avvio dei lavori di riqualificazione di sant’Apollonia.
Anni fa (diversa era la giunta regionale, uguale il partito) questo
progetto di riqualificazione fu presentato con la promessa di restituire un luogo semi-abbandonato e fatiscente agli studenti e abitanti del centro storico. Un progetto che oggi prevede uno stanziamento di 2.3 milioni di euro, ma che nel frattempo è cambiato: invece che agli studenti, gli spazi recuperati serviranno per ospitare uffici di fondazioni ed enti regionali. Così come il giardino del chiostro interno è stato chiuso per essere cornice e sfondo esclusivo degli eventi organizzati nell’auditorium che la regione affitta, anche gli spazi del loggiato – sin dagli anni ’70 percorsi dagli studenti e dalle studentesse che frequentano la mensa universitaria – dovranno essere chiusi.

La Polveriera è nata nel 2014, durante le proteste messe in atto dai collettivi universitari contro le sempre maggiori limitazioni di orario delle università e delle aule studio e contro l’aziendalizzazione disumanizzante dei corsi di studio, organizzando assemblee e occupazioni nelle facoltà. In questo contesto, alcuni collettivi iniziarono ad auto-organizzarsi per
riappropriarsi di ciò che era loro diritto, occupando le stanze del
primo piano, inutilizzate da decenni, e imponendo così alle istituzioni di prendere atto di ciò che ignoravano di proposito: gli studenti hanno dei diritti e delle esigenze e non sono più disposti a credere a vaghe promesse di un futuro felice.

Per questo la Polveriera nasce come “Spazio Comune”: avevamo bisogno di un luogo aperto a tutti dove fermarci e riflettere, dove incontrarci e condividere, per auto-formarci, organizzarci e lottare contro una società attenta solo al profitto. In questi anni la Polveriera è stato un luogo di aggregazione e condivisione di saperi e un laboratorio di pratiche antifasciste, antisessiste e antirazziste. Ha ospitato e organizzato centinaia di iniziative gratuite: corsi, laboratori, presentazioni, proiezioni, spettacoli, concerti e assemblee, ennesima dimostrazione che l’ostacolo a un impegno concreto verso le persone non è la mancanza di soldi bensì la mancanza di volontà.

La Polveriera è ancora qua, dopo quasi cinque anni di occupazione, nel cuore di un centro storico piagato dalla speculazione economica sia privata che pubblica, a dimostrare che oggi più che mai sono necessari spazi liberati e liberi; che l’auto-organizzazione – ovvero la partecipazione diretta alle decisioni che riguardano la vita di ciascuno – è l’unica pratica legittima che non smetteremo di portare avanti, qui e ovunque.

Contro ogni delega, contro ogni autorità o decisione imposta dall’alto, la Polveriera resta aperta, le attività proseguono, l’assemblea di autogestione continua a riunirsi ogni lunedì dalle 19 alle 22,30.

Insieme a tutti coloro i quali hanno intrapreso con noi questo cammino, lo hanno attraversato, sospinto, sostenuto, accompagnato finora e da qui in avanti.

Insieme a tutte le realtà che ci hanno sostenuto e che sosteniamo condividendone pratiche e valori.

In difesa della Polveriera, in difesa di ogni di autogestione

 

Per aderire scrivici a lapolveriera.spaziocomune [at] inventati.org

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4 MARZO: DISERTA LE URNE, RIPRENDITI LA VITA

Si è augurato un’ampia partecipazione al voto del prossimo 4 marzo il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, durante il consueto discorso di fine anno. Tracciando paralleli fra la generazione nata nell’ultimo anno del XX secolo, chiamata per la prima volta ad andare alle urne. Ed i “ragazzi del ’99” che un secolo prima, nel XIX, furono invece costretti ad una precoce chiamata alle armi durante la Prima Guerra Mondiale.

Così, nel porre enfasi sull’eccezionalità di questo fatto storico, egli ammette implicitamente proprio quella che è la natura più intima ed originaria dello Stato: la guerra appunto, ed il suo proseguimento in tempo di pace.

Lo abbiamo visto in tutte le riforme fatte in questi anni, a fronte di una situazione sociale ed economica disastrosa, come nelle conseguenze che ne sono derivate.

Jobs Act ed istituzionalizzazione della precarietà. Riduzione dei diritti sindacali e lavorativi con conseguenti morti bianche e precarizzazione della sicurezza sul lavoro.

Riforma Fornero, tagli e rovesciamento della crisi sui settori più deboli della popolazione. Buona scuola e inquadramento fin dall’età scolastica in dinamiche competitive, disciplinari e di sfruttamento del lavoro.

Ma anche guerre imperialiste spacciate per “missioni di pace”, con conseguente militarizzazione del territorio nazionale, e crescita dei pericoli legati a terrorismo e fanatismo. Aumento esponenziale delle violenza sociale, del bullismo giovanile, del fascismo e del razzismo, così come dei femminicidi.

Fino ad arrivare ai ritardi nella prevenzione e gestione delle catastrofi naturali, o ai decreti per salvare banche che hanno mandato sul lastrico migliaia di persone.

Questa è la linea intrapresa senza mezzi termini dai governi di questi decenni.

Dove è apparso ben chiaro fin da subito che quelli di centrosinistra non solo non hanno contrastato né arginato, bensì hanno addirittura accelerato questo processo. In nome dello spauracchio del ritorno al potere di un centrodestra guidato da uno dei più grandi criminali patologici che la storia delle istituzioni democratiche ricordi.

Ma non solo. La logica mortifera degli Stati e dei governi la vediamo quotidianamente ad esempio, anche sulle questioni che riguardano l’immigrazione. Così, per le liste e i partiti che si contenderanno lo scettro del potere il prossimo 4 marzo, la questione fondamentale riguarda quali e quanti immigrati “regolari” è lecito accogliere, quali e quanti è necessario invece respingere se non addirittura rispedire dal territorio italiano ai paesi di provenienza.

In pratica, quali e quanti è necessario inserire all’interno dei circuiti produttivi dell’Italia e dell’Europa, quali e quanti è lecito invece condannare di fatto a morte o ad una vita fatta di guerre, deserti, polizie di frontiera, maremorte e schiavismo. Da parte di quello stesso sistema globale che si è fondato sul dominio e sullo sfruttamento della gran parte delle risorse, del lavoro e della popolazione del pianeta. Salvo poi innalzare muri od inventarsi improbabili “corridoi umanitari” ai confini di fortezze continentali assediate dalla disperazione che esso stesso ha generato.

Perché diciamoci la verità, le cose da tutti questi punti di vista non sono certo rassicuranti neanche da parte di quelle forze politiche che si candidano in opposizione al bipolarismo speculare del centrodestra/centrosinistra.

Il fenomeno sociopolitico cresciuto in modo più esponenziale in Italia in questi anni, il Movimento Cinque Stelle, dopo una prima fase antipartitica e movimentista, pseudorivoluzionaria e antieuropeista, ha già fatto presagire quale sarà la politica del manganello che intende perpetrare una volta assunto l’agognato governo nazionale.

Lo abbiamo visto in più o meno tutte le amministrazioni locali pentastellate, ma soprattutto nel fiore all’occhiello delle conquiste dell’ormai ex-Re Beppe, e dei suoi feudatari (oggi legati a Re Luigi per normale avvicendamento da insediamento al trono, piuttosto che da battaglia in campo aperto) Roma la capitale. Dove in nome di quegli stessi principi su cui si è cavalcata la crociata contro la casta – legalità, pulizia dello Stato e delle istituzioni – si è fatto razzia di spazi sociali e di abitazioni occupate da migranti in condizioni disperate.

Ingenui quegli attivisti della prima ora che attribuiscono questo a un tradimento dei valori originari di un movimento che parlava in nome della democrazia reale e dell’avvicinamento della politica ai comuni cittadini. Pensare in termini di “immigrati regolari” (leggi: produttivi e disciplinati), “aiuti a paesi arretrati” (leggi: non ancora del tutto inseriti in modelli di sviluppo occidentali) e di “immigrati che invece devono essere rimandati nei loro paesi” (leggi: condannati a morte o ad un’esistenza impossibile), sono chiari sintomi di canonizzazione per chi agisce in termini di legalità, Stato, democrazia. Come lo è appunto sgomberare spazi sociali per lavori di manutenzione ad un asilo nido, o case occupate per la tutela della proprietà privata di imprenditori “onesti”.

Ancora un volta non è, o non è necessariamente, il problema del valore delle idee o degli ideali che si vorrebbero mettere in campo e realizzare. Il problema è il tipo di istituzione intrinsecamente borghese e oppressiva – quella appunto rappresentativa – tramite la quale si pretenderebbe di realizzarli. La quale per sua stessa natura, più parla in nome dell’inclusione, dell’uguaglianza e della libertà politica, più è fatta apposta per rendere tecnicamente realizzabili solo orizzonti sociopolitici auspicabili dalle classi di tipo imprenditoriale e capitalista.

Ce lo dice chiaramente anche la vicenda della sinistre più o meno antagoniste dal 1991 in poi. Quando sarebbe stata necessaria una trasformazione volta a ripensare paradigmi ed orizzonti di superamento delle istituzioni politiche ed economiche nate con l’affermarsi della borghesia, e fallite tanto nella loro versione capitalista quanto in quella staliniana o socialdemocratica.

Cadute in pieno nella trappola del <<chi è più costituzionalista è più anti-Berlusconi>> si sono arrampicate sulle spalle di uno Stato e di un giustizialismo che non hanno avuto problemi a scrollarsele di dosso appena diventate un peso morto per le ambizioni di dominio. Lasciandole su un Campo Marzio fatto di disgregazione, decadenza culturale, carenza di idee e strumenti adeguati per contrastare quegli stessi poteri che si pretenderebbe di abbattere.

Così, chi in vista delle elezioni del 4 marzo chiama a raccolta varie anime dell’anticapitalismo in nome di un generico “Potere al popolo”, rischia appunto di dare al popolo quegli stessi strumenti che hanno reso possibile la sua sottomissione e sfruttamento. Oltre che di rimanerne esso stesso impantanato, come dimostrano già le soglie di sbarramento e l’ostracismo mediatico nei confronti delle liste più radicali. Le quali nel migliore dei casi, oltre a non raggiungere che una percentuale irrilevante in termini di peso reale sulla scena politica, non andrebbero comunque oltre una socialdemocrazia più o meno arrabbiata.

Ancora una volta, dobbiamo lottare direttamente in prima persona per la nostra libertà e felicità, fuori e contro le logiche di delega, non c’è altra soluzione. Dobbiamo riaffermare ovunque la coscienza e la prassi autogestionaria, basata sull’azione diretta e l’assemblearismo di base, contro ogni potere e gerarchia. Sui posti di lavoro e nelle strade, nelle scuole e nelle Università, in famiglia e fra gli amici, nei momenti e negli spazi di cultura o di divertimento.

Dobbiamo farlo 365 giorni l’anno, non solo il 4 marzo in occasione di una scadenza elettorale. Ma quello stesso giorno è importante dare un segnale forte alle classi dirigenti da parte della base sociale, disertando in massa le urne e le logiche ad esse connaturate.

Senza paura di fare il gioco dei nostri avversari, scadendo in logiche del “meno peggio” funzionali solo a non avanzare per l’ennesima volta neanche di un centimetro nei nostri orizzonti.

La Storia ci insegna continuamente che solo radicalizzando la lotta per l’emancipazione si possono trovare i mezzi necessari ad affrontare nemici apparentemente più forti di noi. E solo rivendicando continuamente l’intransigenza delle posizioni, troveremo eventuali mediazioni necessarie ad avanzare ulteriormente al passo successivo.

L’opposizione ai governi di qualunque colore la faremo nelle piazze e sul lavoro, nelle strade come nelle scuole; nelle infinite carceri di questa società ormai sempre più alla deriva. Sarà l’unica opposizione capace di incidere veramente sul reale, declinandolo verso il mondo di pace, uguaglianza e solidarietà cui aspiriamo.

 

Su questa base invitiamo lavoratrici e lavoratori, disoccupati, precari, studenti, immigrati a disertare le urne il prossimo 4 marzo e a rilanciare ovunque la coscienza e la prassi anticapitalista, antimilitarista, pacifista, libertaria.

CONTRO OGNI DELEGA E CONTRO OGNI GOVERNO

AZIONE DIRETTA E AUTORGANIZZAZIONE!

Per l’astensione attiva il 4 marzo e sempre

CUSA

 

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LO SPAZIO SOCIALE 100CELLEAPERTE E’ SOTTO SGOMBERO

Lo spazio sociale 100 celle aperte, sito in via delle Resede 5, è l’ex magazzino mai utilizzato di un edificio in cui coesistono un asilo nido, un consultorio e una casa famiglia. Un posto di proprietà comunale, come molti altri rimasto abbandonato, che cittadini e cittadine di Centocelle hanno diligentemente recuperato, risistemato e restituito al quartiere.

Ora, a seguito delle piogge autunnali, l’asilo nido sovrastante lo spazio ha subito danneggiamenti. Con la scusa dei lavori che dovrebbero interessare il solo asilo nido, il Comune ha dichiarato l’intero edificio pericolante e ha chiesto di sgomberare i locali dello spazio sociale da persone e cose, accusando altresì i cittadini e le cittadine del quartiere che da anni attraversano questo spazio di ritardare con la loro ostinata presenza l’inizio dei lavori.

La verità è che nessuno sta impedendo l’avvio di questi lavori, ma non si può tollerare che per questo motivo lo spazio sociale venga definitivamente sgomberato. Non c’è inoltre chiarezza sull’entità e sul tipo di lavori che devono essere fatti, non è stato presentato un progetto e non si sa nulla su che fine faranno il consultorio e la casa famiglia che fanno parte dello stesso edificio.

È evidente che c’è una volontà di fare guerra a chi da anni porta avanti lotte importanti sul territorio, tra le quali, ultima solo per cronologia, non certo per importanza, quella che riguarda il parco archeologico di Centocelle, nella quale lo spazio sociale è parte attiva.

Per fare chiarezza su tutto questo e per tornare a ribadire che lo spazio non può in nessun modo essere sgomberato, venerdì 1 dicembre alle 11 ci sarà un incontro con il presidente del municipio V Boccuzzi.

È richiesta massima partecipazione e supporto per questa giornata. Di seguito il comunicato dello spazio sociale.

Di questo quartiere stanno facendo un deserto.

La politica legalista del V Municipio pentastellato sta strumentalizzando i lavori di ristrutturazione del nido sopra lo spazio sociale 100celleaperte, presidio liberato di controcultura, socialità, aggregazione e resistenza, che insiste sulla periferia di Roma est dal 1994.

Con la scusa della messa in sicurezza di tutto lo stabile le istituzioni vogliono portare a casa un altro trofeo. Ma non saremo il capro espiatorio delle inadempienze e incompetenze istituzionali. Ribadiamo di essere i primi a volere che i bambini e le bambine del nido tornino alla normalità, e ci rendiamo disponibili ad accogliere i tecnici nel momento in cui verranno a fare i sopralluoghi per l’eventuale inizio dei lavori. Ma non siamo disposti ad andarcene.

In una città i cui la politica si sta dissolvendo nella mera burocrazia arroccata sui tecnicismi, abbandonando il confronto e rifiutando le responsabilità, rivendichiamo la funzione degli spazi sociali come parti integranti dei territori e luoghi di pensiero critico.

Venerdì incontreremo il presidente Boccuzzi, per metterlo davanti alle sue responsabilità, per rimarcare la nostra posizione, per fare sentire la nostra voce e la nostra presenza.

CHIEDIAMO SUPPORTO AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE, ALLE/AGLI ABITANTI E ALLE REALTA’ TERRITORIALI, A TUTTE LE PERSONE CHE RENDONO VIVO LO SPAZIO SOCIALE GIORNO DOPO GIORNO DA 23 ANNI.

APPUNTAMENTO PARTECIPATO E RUMOROSO
VENERDI 1 DICEMBRE ALLE ORE 11
SOTTO IL MUNICIPIO V DI VIA TORRE ANNUNZIATA!!

DA QUI NON CE NE ANDIAMO!

I COMPAGNI E LE COMPAGNE DELLO SPAZIO SOCIALE 100CELLEAPERTE

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27 OTTOBRE, LA CRISI E’ FINITA SOLTANTO PER LORO! Rilanciamo la mobilitazione pacifista, anticapitalista e libertaria

Alle spalle la crisi più difficile” dice il premier Paolo Gentiloni, sbandierando dati sulla crescita economica e la ripresa dell’occupazione in Italia.

Eppure l’Italia è oggi un paese dove aumentano in modo esponenziale i femminicidi, la violenza giovanile, i suicidi e gli omicidi legati alla precarietà e la disperazione economica, il razzismo, l’intolleranza ed altre piaghe sociali connaturate ai sentimenti di insicurezza, frustrazione, abbandono.

Si declamano gli effetti benefici delle riforme attuate in questi anni, a fronte di una situazione sociale, giovanile ed economica disastrosa come i tagli alle pensioni, il Jobs Act ed i decreti salva banche o la “Buona Scuola”. Che avrebbero permesso al paese di evitare la bancarotta, facendolo tornare sui binari che portano ai treni dell’Unione Europea e dei buoni rapporti coi cugini americani.

Ma il “mondo oltre la crisi” è un mondo fatto di abbassamento dei salari reali e di perdita dei diritti. Istituzionalizzazione della precarietà e della flessibilità, sfruttamento del lavoro fin dall’età scolastica ed innalzamento dell’età pensionabile oltre i limiti della salute e della sicurezza.

Era proprio questo che fin dall’inizio i nostri aguzzini volevano.

E’ questo il gioco della carota e del bastone a cui stanno giocando fin dagli albori di una crisi sistemica mai terminata, alla quale stanno cercando di dare risposte sempre più ammissive della loro incapacità di risolvere problemi che loro stessi hanno generato.

Il gioco di tenerci la testa sotto le profondità di crisi abissali, per costringerci a sentire come salvezza ogni boccata di ossigeno che di tanto in tanto ci concedono.

Ed in mezzo a questo mare in tempesta dove quotidianamente affogano anche centinaia di migranti, fra rotte militarizzate e porti fatti di caporalato e xenofobia, le vele issate dalle opposizioni non hanno ancora portato un vento di cambiamento adeguato.

E’ questo il momento di scatenare la burrasca.

Di colpire duramente quando forse il potere meno se lo aspetta, profittando della relativa calma.

E del fianco scoperto di una “ripresa economica” destinata ad essere nuovamente spazzata via dallo tsunami del capitalismo.

 

Rilanciamo ovunque le coscienze e le mobilitazioni ANTICAPITALISTE, ANTIMILITARISTE, ECOLOGISTE, PACIFISTE E LIBERTARIE!

 

 

 

CUSA

 

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Sabato 6 maggio all’Ateneo Libertario Fiorentino, Movimenti e Comunità con Stefano Boni ed Andrea Papi

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PoliceStop

25 marzo 2017

Stop Europa

Nel giorno di commemorazione dei trattati che hanno dato origine all’Unione Europea, anche le forze dell’ordine per la prima volta hanno voluto prendere una posizione chiara sulla questione Europa.

Dopo aver cacciato anche gli ultimi manifestanti, con un colpo di mano si sono finalmente riappropriati di piazza Bocca della Verità e hanno espresso il loro forte “NO” all’Unione Europea. Presenti in massa al presidio polizia, carabinieri, finanza, DIGOS e polizia privata. Arrivati da ogni dove con tutti i mezzi a loro disposizione, volanti, camionette, gommoni, elicotteri. Presente anche uno strano tizio bendato dalla testa ai piedi, scambiato per pericoloso blak block dalla polizia e per poliziotto dai militanti del movimento di sinistra, fra l’altro presenti tutti alla manifestazione a volto scoperto. La verità sulla sua identità non si scoprirà mai dato che era presente da solo sia alla manifestazione di sinistra, sia a quella delle forze dell’ordine.

Il compito di garantire la sicurezza è stato affidato ai controllori dell’Atac, rimasti per un giorno senza lavoro a causa del blocco dei mezzi pubblici, e ai martiri di Nassirya.

Per tutta la notte lampeggianti sono stati avvistati in giro per la città di Roma.

Casapound dichiara: “Sapevamo che le forze dell’ordine erano dalla nostra parte”.

Rifondazione comunista, invece, commenta: “Potevamo manifestare tutti insieme”. E, alla protesta del carabiniere che aveva dichiarato: “Anche noi volevamo la nostra piazza, dovevamo fare qualcosa che ci desse visibilità”, Rifondazione replica: “Bastava mettersi d’accordo.”

 

Dafne Rossi

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