Movimentismo studentesco e Gelmini. Chi l’avrà vinta alla fin fine? Da Pisa, cronache di sana protesta (già pubblicato il 13/01/11 su cusa.splinder.com)

EVVVAAAI! No, non ho vinto a qualche lotteria. Parlo delle mobilitazioni studentesche delle ultime settimane. Si, la riforma Gelmini è passata. Si, il governo ha comprato qualche parlamentare e lo scenario appare nero. E si, siamo al solito teatrino della politica all’italiana.

Ma aspetta, c’è qualcosa di strano, di diverso, di nuovo. Di emozionante. E’ il (ri)neonato movimento studentesco. Ennesimo parto di politiche cieche e incapaci. Da quanto tempo non mi capitava di vedere tanta gente! Curiosa, interessata e interessante. Che si chiede cosa ne sarà del proprio presente e futuro e decide di agire.

E allora via, tutti in piazza, per le strade, sui binari, nei rettorati, e ovunque a occupare pressoché tutto ciò che c’era da occupare. Dal Cern alla Mole Antonelliana, passando per i porti di Palermo e la Torre di Pisa. Con proteste pure in altri paesi europei, portate avanti dagli studenti italiani in erasmus. Mancavano le fogne e la luna, ma non è detto che non si arriverà neppure lì. EVVAAAI!

Parlo di Pisa, perché ci vivo. E perché ho vissuto la mobilitazione sulla mia pelle. E anche nei timpani: mi sono svegliato più volte con la voce gracchiante del megafono che annunciava uno o più cortei..
Pisa città di universitari. E si è visto. Otto facoltà occupate, così come il rettorato che più volte è stato invaso pacificamente dagli studenti. Flashmob, sit-in e cortei spontanei. Quasi ogni giorno. Organizzati senza una gerarchia centrale che imponesse il da farsi. Più che altro, molti momenti assembleari in cui coordinare la moltitudine dei soggetti mobilitati. Dagli studenti, ai ricercatori, ai prof, passando per i centri sociali, gli anziani, i lavoratori, cani,gatti e piccioni..non mancava nessuno. Si respirava voglia di capire, e non partecipare “perché è divertente”. Come spesso è accaduto in passato.

Certo. Alcune sere, le discussioni si protraevano a lungo perché qualche sofista voleva avere i suoi 5 minuti di gloria. O perché certa gente proprio non sa quel che dice, ma lo vuole dire a tutti i costi. Però mi è sembrato di vedere un salto di maturità nel modo di intendere e affrontare una lotta. Anche se ci sono sempre le solite eccezioni riguardanti l’occupazione delle aule. Un tasto dolente questo. E’ sempre giusto, utile, intelligente occupare? A Pisa la notizia che ci fossero sospensioni didattiche a macchia di leopardo, conseguenti alle occupazioni, ha fatto si che molti pendolari e fuori sede non scendessero in un primo momento. Risultato: meno partecipanti ai cortei e alle discussioni. Insomma, occupare si, ma con criterio ed intelligenza, perché non sempre è uno strumento efficace per portare avanti una lotta studentesca. O meglio, non soffermiamoci solo su di esso. Altrimenti siamo spacciati. Discutiamone e vediamo come l’idea di “occupazione” può evolversi.(es. occupare solo la notte e fare lezione di giorno? La butto lì solo per provocare una discussione..) Essa non può divenire una scusa per una festa notturna a ritmo di drum’n’bass.

L’atto della rivolta, e con esso le occupazioni, non è un atto di moda. Sia ben chiaro. Quindi se le occupazioni sono moda (a.k.a conformismo o ancor peggio tradizione post-sessantottina) non sono rivolta. E rivolta la intendo nel senso camusiano del termine.

Cortei dicevo, pieni di colore e sereni. Sereni si fa per dire. Un plauso a gli studenti e alle categorie sociali tutte, per non aver ancora dato segni di escandescenza! I patetici siparietti provenienti dal mondo politico, che ci tocca guardare e sorbire ogni giorno, hanno fatto crescere inquietudine e rabbia. Un mix potenzialmente esplosivo (a Londra è andata diversamente. Tant’è che tra un po’ anche i reali ci stavano per rimettere, dopo la sede di Cameron & Co). Al di là di qualche tafferuglio il 14 dicembre a Roma, mi sembra non sia successo nulla di che. Altra cosa è l’enfasi da parodia con cui i mass-media hanno  criminalizzato gli “scontri”. Con la seguente litania dei politici che “prendono le distanze dalla violenza”. Ma non divaghiamo. Torniamo a ciò che c’è di positivo.

La rabbia. Si, c’è poco da dire. Siamo incazzati, ma incazzati neri. Stufi di essere presi in giro. Di sentire promesse non mantenute. Di grandi giri di parole che si traducono in una riduzione dei fondi. E si, la rabbia intesa come esplosione dei sensi, è positiva.  Personalmente non vedevo l’ora che la gente di incazzasse. E’ il primo atto per una rinascita emotiva, è l’elettroshock che salva dall’apatia. Umana prima, sociale poi. Un altro plauso agli studenti dunque, che pieni di rabbia come sono, hanno saputo incanalarla in creatività, in forme di protesta diverse (ricordo un risciò con le bandiere della nonviolenza scorrazzare per i lungarni pisani..), in capacità di organizzarsi. E non ultima, nell’occasione di (ri)creare? un movimento come si deve. Un sindacalismo studentesco.

In quei giorni ho visto la rabbia danzare con la calma e vi assicuro che è stato stupendo. Mi sono stupito. Nessuno si è lasciato trasportare in atti irresponsabili e insensati. E ciò ha dato certamente credibilità al movimento. Certo, se a Pisa avessimo fatto saltare in aria la Torre, la visibilità sarebbe stata maggiore. Ma avrebbe ciò giovato alla fiducia della gente nei confronti del movimento? No, ovviamente.  E invece noi siamo qui anche per gettare dei ponti tra le categorie sociali, per far capire che la battaglia di uno è la battaglia di tutti.
E dove c’ha portato questa rabbia? A bloccare la città più volte, con migliaia di studenti a protestare. Sui ponti che solcano l’Arno, in tangenziale, in aeroporto, sui binari, sulla torre.. Traffico in tilt. Qualche bestemmia rivolta dagli automobilisti imbottigliati ai presunti“fannulloni”, ma prevalentemente messaggi di solidarietà e condivisione. Del resto, non smetterò mai di ripetermelo, gli studenti non sono stati altro che il megafono di una società in ginocchio, che ansima, che fatica, senza prospettive. A cui mancano le idee. I ragazzi e le ragazze scesi in strada a Pisa non hanno difeso solamente i loro interessi particolari. No. Difendevano il diritto di avere un paese in cui la cultura abbia valore, senso, dignità. Diritto di non dover emigrare per riuscire a crearsi una vita. Diritto a cambiare. Vogliosi di riverniciare lo spirito scialbo di questo maltrattato Belpaese.

Ma al di là delle emozioni, quello che conta è il percorso intrapreso. E personalmente mi sembra che il messaggio emerso sia chiaro: gli studenti ci sono, non ci stanno e si organizzano. Da qui le speranze che ciò che abbiamo visto per tanti giorni nei Tg, sui giornali o ascoltato nelle strade, non scemi e continui. Una lotta che deve ora cambiare la sua strategia. Non più nel quotidiano, nell’attimo particolare, ma che deve ampliarsi in vista di una futura radicale messa in discussione del sistema universitario e scolastico. Trovare nuovi modi, soggetti e canali per esprimersi e operare pressione.

Infatti, tra le pieghe della manifestazione, io ci vedo anche la voglia di riappropriarsi dell’ Università. Del vero concetto di università. Un luogo libero, di dialogo, dibattito, orizzontale, egualitario. Che non sia insomma una torre d’avorio dell’accademismo dogmatico e baronale. Una sfida è stata posta, e non è abbattere la riforma Gelmini. E’ ben di più: far rinascere le università intese come libere accademie popolari. Cosa voglia dire tutto ciò? Di preciso non lo so. Ma di sicuro vuol dire abbatterne le gerarchie interne, staccarsi dai metodi convenzionali di insegnamento, interpretare diversamente l’utilizzo degli spazi universitari, tornare a divertirsi e incuriosirsi a lezione, ristabilire contatti umani ed empatici con i professori..insomma, non vedere nell’Università una misera e paludosa istituzione che ci fornisce un pezzo di carta, ma qualcosa di più. Ben di più. Uno dei luoghi più importanti per la crescita individuale e sociale.

Siamo studenti. Non sappiamo cosa faremo, ma di sicuro non staremo fermi a guardare ministri incompetenti e politici incapaci distruggere il futuro nostro e degli italiani.
 

Groucho Vanzetti

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