15 febbraio: libertà senza frontiere

 

Tanto ci sarebbe da dire sulle condizioni dei migranti in Italia:

su chi, dopo aver viaggiato stipato con altre 600 persone in barconi molto piccoli, muore in mare, quando questi barconi affondano in acque considerate internazionali, dove non vigono le leggi di nessun Stato e dove perciò nessuno Stato si prende la briga di ripescarli;

su chi riesce a sbarcare sulle coste siciliane e viene spedito (se non in ospedale) immediatamente nei centri di accoglienza, dove deve rimanere recluso per un certo periodo di tempo, lungo quanto non si sa, in attesa di ricevere un foglio di via, che gli intima di andar via dall’Italia, o di essere in condizione di poter richiedere un permesso di soggiorno;

su chi protesta contro le condizioni in cui è costretto a vivere all’interno dei CIE e ottiene solo repressione;

sulle pratiche burocratiche che uno straniero appena sbarcato in Italia deve affrontare per chiedere il permesso di soggiorno e sulla necessità di accettare un contratto di lavoro a qualsiasi condizione pur di avere questo foglio, oltre che sui tempi infiniti di attesa per l’accettazione della richiesta: il che rappresenta l’unica speranza per non marcire in un “centro di accoglienza” o non essere rimandato in patria.

 

I CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione, sono le strutture che, anche se hanno cambiato nome e aspetto in questi anni, sono sempre delle vere e proprie prigioni nate da una necessità (fittizia) di gestire la cosiddetta “emergenza immigrati”, dove l’unico reato è quello di essere “clandestini”. Sono strutture dove non è garantito alcun diritto, dal più elementare servizio igienico al più semplice diritto civile, ma dove soprattutto non viene minimamente riconosciuta l’essenza stessa dell’essere umano.

Mentre lo Stato calpesta la dignità umana in questo modo barbaro e palese, nei luoghi dove sorgono i CIE, molti abitanti, spesso fomentati da movimenti di stampo fascista e razzista, mal tollerano i CIE con la scusa che “queste strutture sono pagate dai soldi pubblici” e “gli onesti cittadini danno allo stato 200.000 euro l’anno per mantenere persone che non fanno nulla dalla mattina alla sera e vivono là dentro come re”.

Troppe cose infatti si raccontano su questi luoghi di morte e miseria e troppe non si conoscono o si pretendono di sapere.

 

Come anarchici rifiutiamo i crimini commessi contro i migranti sia dallo Stato, sia da quanti considerano i migranti una categoria di persone da scacciare e da reprimere. Rifiutiamo l’idea che degli esseri umani siano trattati alla stregua di bestie, per il semplice fatto di non essere “italiani” e spesso con il reato di essere “clandestini”. Vogliamo che questo termine sparisca dal nostro vocabolario.

Volenti o nolenti, come già in molti altri paesi europei, gli “stranieri” fanno sempre più parte della nostra comunità, che diventa sempre più un amalgama di culture e di esperienze diverse. Una comunità così cresce e si arricchisce. Del resto la nostra stessa cultura “italiana” di cui tanto qualcuno va fiero, è il frutto di quella che si potrebbe chiamare una “contaminazione” (tanto per usare per una volta in senso positivo un termine che di solito non ci piace) avvenuta nel corso dei secoli.

 

Chiudiamo i CIE e abbattiamo le frontiere. Tutte, le frontiere.

 

CUSA

*La foto è stata presa da: http://bousufi.blogspot.it/2011/11/il-prezzo-del-patriotismo.html

Informazioni su CUSA - umanesimoAnarchico

gruppo pacifista, ecologista, libertario.
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