Cambi di paradigmi (già pubblicato lo 07/12/09 su cusa.splinder.com)

In un suo recente libro, “Per un nuovo umanesimo anarchico”, Andrea Papi ha affidato un’importanza centrale, nell’immaginare l’azione ed il pensiero libertario del terzo millennio, al tema della necessità di un cambio di paradigma. Egli intende per paradigma, secondo le parole di Thomas Kuhn, “l’insieme di teorie, di leggi e di strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente”. E sottolinea dunque il bisogno di passare da quello dell’antropocentrismo a quello del contesto reticolare.
L’ “antropocentrismo” significa letteralmente che al centro del Mondo e dell’Universo c’è l’uomo, dei quali egli – in questa prospettiva – può disporne a suo piacimento in una posizione di superiorità rispetto alle altre specie. E’ questo appunto il paradigma a partire dal quale ha potuto nascere e svilupparsi quel sistema capitalista e industrialista che sta producendo gli squilibri ecologici e gli stravolgimenti climatici. Del quale il prossimo triste atto, è proprio quel vertice di Copenhagen nel quale tutto è già stato deciso anticipatamente affinché niente venga deciso veramente.
Globo

Papi propone invece un contesto privo di qualsiasi centro emanatore, del quale la specie umana sia uno dei molteplici componenti in un rapporto di reciprocità col bio-contesto. Questo cambio paradigmatico rappresenta un passaggio fondamentale, principalmente perché vorrebbe dire purgare il distillato mai veramente smaltito di una cultura religiosa, ma non è l’unico.

All’interno di un eventuale contesto reticolare possibile c’è un altro importante paradigma da cambiare, che nasce successivamente a quello dell’antropocentrismo e forse per certi versi anche in contrasto, ma che paradossalmente è non meno fondante per quanto riguarda lo sviluppo dell’industrialismo in seno alla così detta civiltà occidentale in epoca contemporanea. Si potrebbe provare a definirlo così: dal paradigma dello scientismo determinista a quello del soggetto agente.

Scientismo” significa assolutizzare la conoscenza scientifica e quindi razionale ed oggettiva. “Determinismo”, che conseguentemente, in un rapporto di causa-effetto, tutto ciò che avviene è predeterminato. Il secondo imprigiona l’essere umano e la sua azione (lasciando per adesso in sospeso la questione per quanto riguarda le altre specie, la quale ci porterebbe troppo lontano) ad una determinatezza. Mentre il primo lo rende di conseguenza sempre in qualche modo inquadrabile e quindi controllabile e governabile.

Al contrario il paradigma del soggetto agente significherebbe che abbiamo sempre potenzialmente libertà di scegliere.

Difatti il prodotto storico dello scientismo determinista è stato quello di una scienza supposta “priva di finalità”, la quale ha finito così per diventare serva di ciò che per l’appunto è disintenzionale perché è impositivo: il dominio, quello borghese capitalista in questo caso. Così, invece degli esseri viventi e delle loro necessità, il sapere scientifico vede i grafici dell’andamento delle borse, le tabelle coi fatturati delle economie di scala, le statistiche dei sondaggi di marketing, le cavie da laboratorio, ecc. E così eccoci qua ad organizzare la contestazione ad un nuovo vertice mondiale sul clima.

Ma accettare il paradigma del soggetto agente non può non porre un questione di fondo alle proposte alternative e ad i progetti più a lungo termine che dobbiamo provare a fare uscire da questa contestazione: se l’essere umano ha da essere libero e per essere tale non può essere costretto ad una determinatezza, se egli ha bisogno di trasformare le condizioni oggettive nelle quali storicamente si viene a trovare, allora ha bisogno anche di trasformare il proprio habitat e quindi l’ambiente naturale. In definitiva: la specie umana può integrarsi all’ecosistema o può rendersi sostenibile ad esso?

Per chi conosce un po’ della storia del pensiero anarchico, è un po’ l’eterna diatriba Kropotkin/Malatesta: l’anarchia è lotta per l’animalità umana o è lotta dell’uomo contro la natura?

Forse non è nessuna delle due. Forse l’essere umano (per adesso limitiamoci ad esso) può evolvere intenzionalmente nella propria natura e in quella circostante proprio per trovare un equilibrio (non antropocentrico) con l’ecosistema e con le altre specie che lo popolano.

Ma questa ovviamente è soltanto un’ipotesi, la quale potrà dirci della sua validità soltanto alla prova della decrescita.

 

Edoardo


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