Avviso ai lettori: questo articolo non è la solita pippa morale su quanto la droga faccia male. Come si può leggere nel titolo, la sottoscritta è la prima che vorrebbe una piantina da coltivare sul balcone per poi poter raccogliere i frutti (o meglio i fiori) del suo lavoro e fumarseli tranquillamente sdraiata sul suddetto balcone, mentre prende il sole in un caldo pomeriggio autunnale e nell’aria si spandono le grida dei gabbiani.
Inoltre posso garantire che nessuno più di me sia convinto del fatto che, se presa in giuste misure e con coscienza, la droga in generale, e non solo la canapa, può avere migliaia di effetti benefici sul nostro corpo e la nostra psicologia. Per finire, ci sono talmente tante cose che fanno male a questo mondo e che ci tocca sorbirci quotidianamente senza nemmeno chiederci il perché (non ci siamo mai posti il problema, ad esempio, che la coca cola corroda lo stomaco, eppure la diamo ai bambini come bevanda analcolica al posto dell’alcool), che mi sembra stupido accanirsi contro una cosa che, anche volendo ammettere che faccia male, non è certo peggio di tutte queste altre cose. Se poi ci mettiamo a riflettere sulla distinzione che si fa tra certe droghe e altre di uso comune che non penseremmo nemmeno di chiamare tali (vedi il caffè, l’alcool, le patatine, e così via), il discorso rischia di prolungarsi. Mi sembra perfino superfluo ripescare quel vecchio ragionamento, (per quanto fondamentale esso sia), secondo il quale, a prescindere se una cosa faccia male o no, ognuno dovrebbe essere libero di scegliere di che morte morire.
Bene, mi fermo qui. Spero di avervi convinto di non essere una cattolica moralista proibizionista. Ho fatto questo preambolo per rassicurare possibili lettori che si imbattessero per caso in questo articolo. Poiché chiunque potrebbe rimanere stupito, o addirittura indignato, di trovare un titolo del genere su un blog che si dichiara anarco- pacifista e umanista. Adesso, certa che chi leggerà sarà più tranquillo e con meno pregiudizi, posso venire al dunque.
Lo scopo non è parlare della marijuana, ma della sua legalizzazione in questo contesto.
Io penso che ogni cosa abbia un suo contesto, e che anche ciò che sembra più giusto, in un contesto sbagliato, rischia di diventare sbagliato (dato che i significati di giusto e sbagliato sono essi stessi di per sé relativi).
Viviamo in uno stato con un’economia capitalista che si interfaccia con una serie di altri stati con la stessa economia capitalista, la quale economia ha come scopo quello di far diventare sempre più ricchi pochi esseri umani privilegiati e affamare, sfruttare e opprimere le altre milioni di persone che vivono sulla terra. Anche qui, direi che non sto dicendo niente che non si sappia già, perciò non mi dilungherò sull’argomento.
Vorrei invece fare una piccola riflessione su come adesso questo sistema economico sia in crisi e su come questa crisi sia l’occasione unica che abbiamo per affossare definitivamente il capitalismo e ripartire con un’economia più umana, davvero vicina ai bisogni delle persone, reale e non virtuale, basata sull’autoproduzione o sulla produzione a scala locale anziché globale, sullo scambio, e sulla redistribuzione della ricchezza, in modo che non vi siano ricchi e poveri.
Vi immaginate, dunque, cosa potrebbe succedere se, in questo contesto, in uno stato capitalista, parte di un sistema capitalista globale, venisse legalizzata la marijuana? L’economia si riprenderebbe in un istante, probabilmente ci sarebbe un secondo “boom”, in cui ritornerà a circolare una grossa quantità di denaro, per poi ritrovarci, tra trenta, quarant’anni, in una grossa nuova crisi, e nel frattempo, mentre poche persone si arricchirebbero a dismisura, una parte consistente della popolazione (ma sempre piccola) potrebbe godere di un lavoro “fisso” e un “salario proporzionato”, per poter comprare e consumare nei negozi di alta moda e nei centri commerciali, e la maggior parte della gente si ritroverebbe come sempre a lavorare da schiava per pochi spiccioli, per poter mantenere ancora questo sistema che arricchisce i ricchi e affama i poveri.
Ritornando al tipo di stato in cui ci troviamo a vivere mi viene in mente una seconda considerazione. Uno stato repressivo, che ha chiamato democrazia il suo sistema di potere dittatoriale per mascherarlo bene e distinguerlo dalle dittature fascista e nazista che hanno messo a ferro e fuoco l’Europa per due decenni.
Sorge spontanea una domanda: uno stato del genere può in qualche modo legalizzare la canapa per realizzare il sogno di quanti (prima fra tutti la sottoscritta) vorrebbero potersi “autoprodurre”? Questo sarebbe un passo in avanti per un tipo di economia alternativa, di cui parlavo sopra, per la quale l’autoproduzione non riguarderebbe solo la canapa, ma anche altri generi, alimentari e d’altro tipo, che oggi sono monopolio delle multinazionali. È evidente che ci sono interessi ben diversi, e che, se la canapa venisse legalizzata, ci sarebbe pur sempre una pena da scontare.
Pensate alle droghe che sono diventate legali: le sigarette, l’alcool e, quella che droga non si considera, ma di fatto lo è: il gioco d’azzardo. Tutte monopolio di stato sulle quali lo stato si fa un sacco di soldi. Non solo. Tutti mezzi con cui lo stato tiene sott’occhio le persone. Le sigarette tengono chi ne diventa dipendente in stato di ansia perenne che viene appagato soltanto con altre sigarette. Il superenalotto è giocato ogni giorno da migliaia di persone che tentano la fortuna, e vivono facendo statistiche sui numeri che potrebbero uscire, senza rendersi conto che ad ogni estrazione, la probabilità che esca un numero è sempre la stessa rispetto all’estrazione precedente, perché ogni volta la quantità di numeri da estrarre è la stessa. Il win for life regala ogni giorno a qualcuno piccole somme di denaro, con le quali, chi le vince, può farsi un po’ di spesa per la settimana o pagarsi i biglietti degli autobus. Ma l’illusione di aver vinto qualcosa non tiene conto delle spese fatte per vincere questo qualcosa. Le scommesse sul calcio tengono occupata un sacco di gente, che così può sfogare tutte le preoccupazioni sull’”arbitro venduto” che, non sapendo bene dirigere la partita, ha ingiustamente favorito una squadra anziché un’altra, oppure sull’allenatore incapace che non sa fare le formazioni delle squadre.
Così la gente viene appagata in qualche modo dalle frustrazioni della propria vita quotidiana, e può ignorare i suoi problemi reali, non interrogandosi nemmeno sul perché debba essere costretta a vivere in un certo modo e non facendo nulla per cambiare lo stato di cose attuali.
Alla luce di ciò, (non mi dilungherò oltre sull’argomento, perché sono certa che chi leggerà questo articolo sa benissimo tutte queste cose e le saprebbe spiegare anche meglio di come faccio io) mi chiedo ancora:
in uno stato del genere, una cosa come la canapa, che dovrebbe essere simbolo di una libertà conquistata, non rischia paradossalmente di diventare uno strumento di oppressione e limitazione della libertà individuale?
Kukumi 88
*La foto è stata presa da: http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/10/09/14/superenalotto-intervista-romito.html