Ecologie globali (già pubblicato lo 02/12/09 su cusa.splinder.com)

 

SABATO 5

DICEMBRE

Libreria Rinascita Ostiense,

via Prospero Alpino, 48

Roma

(Metro B Garbatella

bus 670, 673, 715, 716)

ECOLOGIE

GLOBALI

da COPENHAGEN al MONDO

 

da BHOPAL alla

CRISI CLIMATICA

 

letture-laboratorio

documentario-presentazioni

infopoint

 

      dalle h.16

  • spazio di cultura ecosociale

      consigli di lettura,

      per ritrovare il giusto clima

  • infopoint

Bhopal: 25 anni dal piu' grande

disastro industriale della storia;

attivita' per

l'anno antiaccademico 2009-10;

Vetrina dell'editoria

anarchica e libertaria;

mappa dell'ecologismo italiano.

 

      h.17

      apertura dell'anno

      antiaccademico 2009-10

  • saluto dell'Immaginifica Rettrice:

      Cambiamento climatico e crisi idrica

  • documentarioSeminando alternative”

     a cura di

      Donne per la solidarieta' onlus

      h.18

  • laboratorio:

      RETI E MOVIMENTI VERSO COP15

 

Cosa succedera' a COPENHAGEN

e nel MONDO dal 7 al 19 dicembre,

durante il vertice dei potenti

della Terra sul cambiamento climatico?

 

Cosa succedera' DOPO?

 

Cosa fanno le RETI e i MOVIMENTI

che lottano per

CAMBIARE SISTEMA, NON CLIMA?

 

Cosa possiamo fare NOI?

 

Ne parliamo con:

CUSA - UmanesimoAnarchico,

Collettivomensa (Firenze),

Donne per la solidarieta’,

Libero Ateneo della Decrescita

e delle culture del nuovo secolo

(Roma).

 

h.19.30-21

  • BAT (Bottega delle arti della Terra):

    ARTI E QUESTIONE ECOLOGICA

     

  • APERITIVO di presentazione di

COLLETTIVOMENSA,

rivista autoprodotta di

letteratura e fumetti,

     live painting di Antonio Sileo.

 

anno antiaccademico libertario 2009-10

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Muri e utopie (già pubblicato lo 01/11/09 su cusa.splinder.com)

  In occasione del 20° anniversario della caduta del Muro di Berlino

CUSA – UmanesimoAnarchico ed il gruppo Collettivo Mensa, in contemporanea col Libero Ateneo della Decrescita di Roma e con la partecipazione del Collettivo Libertario Fiorentino, presentano

MURI E UTOPIE
Muro Berlino
Incontro conclusivo dell’Anno Antiaccademico 2008/09, ma anche primo di quello 2009/10

CADUTA DEL MURO / FINE DEI MODELLI DEL ‘900 / STRADE DI OGGI

Ci porremo alcune domande, raccontando, leggendo, citando e discutendo. Proveremo a fare delle proposte concrete per il futuro prossimo. Metteremo in comunicazione punti di vista diversi, coerentemente con la nostra preferenza per le PORTE rispetto ai MURI:

  1. Come è stato possibile che il socialismo, sogno di emancipazione degli oppressi, si sia trasformato nell’incubo del totalitarismo?

  2. Quali altre voci e quali sue diverse versioni, opponendosi, lo avevano ampiamente previsto?

  3. Nel bel mezzo della crisi dell’altro modello della modernità occidentale, quello capitalista, è possibile trovare una via alternativa che non sia né il terzomondismo, né lo statalismo, né l’integralismo religioso?

Bibliografia e discografia:

  • GEORGE ORWELL, Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali, 1984

  • CAMILLO BERNERI, Umanesimo ed Anarchismo

  • ANDREA PAPI, Per un nuovo umanesimo anarchico

  • GUY DEBORD, La società dello spettacolo

  • LEV TOLSTOJ, Guerra e pace

  • M. K. GANDHI, Teoria e pratica della Nonviolenza

  • FABRIZIO DE ANDRE’, Storia di un impiegato

  • FRANCESCO GUCCINI, La primavera di Praga

FIRENZE, LUNEDI’ 9 NOVEMBRE ALLE ORE 17:00 PRESSO LA TINAIA DI S.LORENZO, ALL’ANGOLO FRA VIA PANICALE E VIA CHIARA, ACCANTO ALLA PIAZZA DEL MERCATO CENTRALE.

(ci riscalderemo dal freddo autunnale con le energie e un po’ di vino).

Nell’ambito del comune progetto di Anno Antiaccademico Libertario

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La tragedia dell’alluvione in Burkina Faso, la terra degli uomini…diversi dai politici (già pubblicato il 13/09/09 su cusa.splinder.com)

Due giorni prima della partenza mando un SMS a Riccardo per ricordargli che – come d’accordo –  lo avrei chiamato il giorno dopo per salutarlo, e fargli sapere l’orario preciso del mio arrivo all’aeroporto di Ouaga. La risposta mi arriva solo dopo la mezzanotte: “Oh Edo, oggi ci è successa una cosa incredibile, ma te la dirò solo quando arrivi, non prima.” Rispondo senza molta convinzione: “Ok, spero solo che sia una cosa buona…”

Rimaniamo d’accordo che per spendere meno, sarà lui a chiamarmi il giorno dopo, ma non sentendolo fino al tardo pomeriggio mi preoccupo un po’, e afferro il cellulare per ripetere la020 strategia dell’SMS. Stavolta la risposta arriva immediata: “Edo, oggi ha piovuto in maniera esagerata. I barrage hanno straripato e la città è allagata.” Affogo in un pensiero ribelle le mie paure di ragazzo occidentale che non è mai stato in Africa, e comincio a capire che le cose incredibili sono all’ordine del giorno, in Burkina Faso.

Ci sono apparentemente ben poche ragioni, per scegliere di organizzare le proprie sole due settimane di ferie dopo un mese e mezzo di straordinari, acquistando un biglietto Firenze-Parigi/Parigi-Ouagadougou. Se non quella di avere un amico che è presidente fiorentino dell’associazione internazionale “Ingegneri Senza Frontiere”, e si trova giù da oltre un mese insieme ad altri attivisti, per lavorare ad un progetto sulla qualità dell’acqua in un villaggio situato in una delle regioni più povere del Paese, in piena savana. Ma più nel profondo, c’è la voglia di scoprire come vive e come pensa un popolo che le statistiche ONU considerano fra i 5 più poveri del Mondo. Chiedendosi come si chiedeva Gerardina Trovato in uno dei suoi dischi: “Chissà se si muore davvero”.

Visto anche che ne so davvero poco di ingegneria, sono già  d’accordo da mesi con Riccardo che arriverò solo il 2 Settembre, quando cioè il periodo di lavoro al progetto sarà terminato, e andremo a farci un giro insieme per il Paese. Ed al mio arrivo tutto sembrerebbe tranquillo. Capisco però fin dalla prima sera che non sarà un viaggio come tutti gli altri. Siamo a cena fuori io, lui e Lara, l’unica ancora rimasta dell’equipe di ISF che sarà con noi per tutta la prima parte del viaggio. La cronaca che mi restituiscono è drammatica:

Quest’anno la stagione delle piogge è arrivata in ritardo, e la scarsa acqua caduta fra Luglio ed Agosto – solitamente i mesi centrali – faceva già presagire un’annata difficile soprattutto nelle 021campagne, dove in assenza di corsi d’acqua i pochi mesi di pioggia sono fondamentali ad un’agricoltura molto spesso di sussistenza. Poi improvvisamente il 1° Settembre ha diluviato ininterrottamente dalle 04:30/05:00 del mattino fino alle 03:00 del pomeriggio, rovesciando al suolo su più o meno tutto il territorio circa 300 mm d’acqua, ovvero circa un terzo in un sol giorno dell’intera media annuale delle precipitazioni nel Burkina. Anche nei vicini Senegal e Mali, sembra che si siano verificate precipitazioni di proporzioni simili.

Ad Ouagadougou – la capitale, nella quale ci troviamo – come già mi anticipava Ricca i barrage, ovvero gli sbarramenti-diga dei corsi d’acqua che ne forniscono alla città, hanno straripato allagandola e riempiendosi a loro volta di cadaveri. All’ospedale cittadino hanno praticamente dovuto allestire un reparto di rianimazione in strada, tante erano le persone che avevano bisogno di una maschera ad ossigeno. Le stime attendibili parlano di almeno 30 morti e di 150.000 sfollati la cui abitazione è andata distrutta. Tutto questo soprattutto nelle periferie, ed in particolare nelle così dette “zone non lottizzate”, dove cioè le capanne di fango non sono neanche riconosciute dall’amministrazione municipale e considerate “sicure”.

Stime che Riccardo ha potuto avere solo grazie ad un suo amico della società statale di potabilizzazione e diffusione delle acque. Perché il governo ha dichiarato solo 8 morti in tutto il Burkina – nonostante abbia ufficialmente chiesto lo stato di calamità naturale – mentre rifiuta gli aiuti volontari offerti da cittadini occidentali per evitare che la verità travalichi i confini del Paese. Ma queste stesse stime sono da considerarsi al ribasso, poiché nessun ente governativo è in grado di sapere cosa sia successo veramente nelle zone non lottizzate – dove verosimilmente vive quasi la metà della popolazione reale della capitale – in quanto per lo Stato la gente che abita lì semplicemente non esiste. Dunque è probabile che il vero numero attendibile di vittime possa superare il centinaio.

Davanti a un piatto di Brochette de Capitaine (spiedone di pesce tipico locale), Ricca e Lara mi fanno sapere che hanno già parlato con la nostra guida del posto per andare il giorno dopo a visitare alcune delle zone della cittàIl quartiere di Sondgo distrutto dall devastate dall’alluvione. Ci sentiamo subito in dovere di rompere il muro di silenzio e menzogne innalzato dal regime, per far giungere la verità e l’informazione anche in Italia. E’ così che il 3 Settembre verso ora di pranzo ci troviamo nel quartiere di Bonam dentro uno dei tanti Kabare, ovvero le capanne dove la gente si ritrova fra amici e familiari per discutere bevendo Dolo, una specie di birra di miglio, ideale per far venire la prima diarrea africana a qualsiasi occidentale. L’argomento del giorno è pressoché scontato. Qualcuno prende la parola ed esclama: <<E’ stato capace di trovare solo 25.000 posti in totale con più di 150.000 sfollati nella sola Ouaga. A lui fa comodo smaltire un po’ della popolazione di troppo nelle periferie non lottizzate. Lui vi regala le magliette in campagna elettorale e voi lo andate a votare. Ora che non avete più la casa…tenetevi pure le magliette!>>.

Il “lui” in questione è Blaise Compaoré, il presidente\dittatore che dal 1987 ormai è alla guida del Burkina Faso grazie all’ultimo di una serie di golpe militari iniziati dal 1966 – appena 6 anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia – al quale dal 1991 ha provato a dare una parvenza di democraticità, vincendo ripetutamente le elezioni. Peccato che – mi spiega Riccardo – chi si oppone veramente alle politiche ed alla corruzione del presidente venga con una certa facilità fatto fuori di nascosto. E pensare che stando a quanto riportato da un canale radiofonico che fa opposizione al regime,  Blaise sarebbe stato persino candidato a vincere il Premio Nobel per la pace grazie al sostegno della massoneria francese. Sembra, anche in virtù della sua “mediazione” nel conflitto in Costa d’Avorio, dove sotto la copertura dell’intervento diplomatico manderebbe segretamente delle truppe burkinabé, per far riempire di diamanti i cadaveri dei soldati che devono rientrare in patria. Facendo poi confluire una buona parte del bottino verso le multinazionali europee, cosa che diventa magicamente legale essendo il Burkina un paese formalmente non coinvolto in quello e in nessun altro conflitto. Prodigi del diritto internazionale.

Dopo pranzo ci spostiamo fra gli acquitrini verso il quartiere di Sondgo, poco distante dalle zone non lottizzate. Qui la furia delle acque sembra aver danneggiato o raso al suolo quasi tutto. Abbiamo modo di parlare col responsabile di quartiere, il quale ci dice: <<E meno male che la pioggia è iniziata di primissimo mattino, quando un po’ di gente era già in piedi per iniziare a lavorare. Se il diluvio fosse arrivato in piena notte molti sarebbero rimasti schiacciati sotto il peso delle proprie case e capanne crollate, e saremmo ancora qui a contare i cadaveri. Gli sfollati sono rifugiati provvisoriamente dentro la scuola, ma dal 1° Ottobre ricominceranno le lezioni e dovranno andarsene. Lo Stato non sborserà un franco per la ricostruzione, gli aiuti umanitari che fa arrivare non bastano neanche a far mangiare una volta al giorno la gente qui nella scuola. Chi non potrà pagare per rifarsi la casa tornerà verso i villaggi nelle campagne, dove sicuramente farà la fame non avendo potuto coltivare niente durante la stagione delle piogge>>.

Mentre cerco confuso di prendere appunti, in poco tempo molta della gente presente davanti dalla scuola –  decine fra uomini, donne, bambini e bambine – si è accalcata intorno a noi, pensando forse che un gruppo di occidentali potesse essere lì per risolvere la situazione. Un 027amico della nostra guida ci dice: <<Ho 46 anni. Mai vista una pioggia del genere. L’acqua arrivava fino alla vita. Anche i vecchi dicono che era da più di cinquant’anni che non pioveva in questo modo>>. Impossibile allora non chiedersi quanto tutto ciò possa avere a che fare con i cambiamenti climatici che sempre più repentinamente si stanno verificando sulla Terra negli ultimi decenni, e dei quali i primi a fare le spese sono proprio coloro che non ne sono responsabili. Quando torniamo verso la macchina Riccardo sembra pensieroso. Poi a un certo punto indica con la testa la scuola ormai alle nostre spalle e mi fa: <<Non voglio fare il pessimista, ma secondo me la metà di questa gente al prossimo anno non ci arriva…>>. Lui la vita qua e le sue aspettative le conosce bene. Ed allora ci sentiamo inermi al pensiero che quello di Sondgo è comunque solo uno dei tanti quartieri di periferia che versano sicuramente in condizioni simili, al confine con zone non lottizzate e andate probabilmente distrutte. Senza contare quel che può essere successo nelle altre città e nei villaggi.

Ma quello che ci lascia veramente inermi – noi che veniamo da una parte del Mondo dove ci si azzuffa per un divieto di sosta – sono la forza e la vitalità con le quali i burkinabé reagiscono ad una catastrofe di queste proporzioni. Non si sente mai un bimbo o una bimba che pianga, mai una scena di disperazione.

E apparentemente non potrebbe essere diversamente: siamo in “Burkina Faso”, alla lettera, la “terra degli incorruttibili” o “degli uomini onesti”. Come volle ribattezzarla dal vecchio nome coloniale di Alto Volta, Thomas Sankara – il “Che Guevara africano” – all’indomani della rivoluzione e del colpo di Stato che fra il 1983 e il 1984 avrebbero dato tante speranze ed illusioni al popolo. Prima che il suo vecchio amico e compagno Blaise gli mandasse tanto di commando militare dietro mandato della Francia e della Costa d’Avorio – ma stando a quanto emerso più recentemente, anche della CIA e di Gheddafi – per farlo assassinare e poi denigrare durante tutti questi anni di potere incontrastato. Una terra degli uomini forse molto diversi dai propri governanti. Pure questo ho iniziato a intuirlo fin dalla prima sera a cena, quando Riccardo e Lara hanno anche deciso di svelarmi cosa fosse quella cosa incredibile che era accaduta loro il giorno prima dell’alluvione:

<<Verso il tardo pomeriggio siamo andati con un nostro amico e suo cugino a farci un giro in motorino per Ouaga 2000, il nuovissimo quartiere ricco della città. Siamo passati davanti al palazzo presidenziale che è più grande della Casa Bianca – giusto per vederlo da fuori – dove abita e governa Compaoré. Giravano alcune auto ed alcuni motorini tutti in borghese, apparentemente tutti passanti come noi. Fin quando un’auto di queste ci ha sorpassati e bloccato la strada. Sono arrivati anche altri in motorino e gente sbucata dalle siepi, tutti coi mitra puntati. Dall’auto è sceso un uomo che ci ha ritirato a tutti i documenti, ci ha fatto perquisire zaini e macchine fotografiche e poi ha fatto una parte assurda ai nostri due amici. Dicendo loro che dovevano sapere che quell’area era interdetta al traffico la sera e la notte, quando in realtà nessun cartello sulla strada segnalava niente del genere>>.

Nessuno degli uomini che li ha fermati e perquisiti si è mai minimamente qualificato. Ma hanno saputo da una loro amica della missione della Diocesi di Lucca, che si trattava della polizia personale del presidente, con tanto di capo sceso dalla macchina. Sembra che abbiano avuto paura della presenza di due occidentali e che probabilmente li abbiano tenuti lì ore in stato di fermo in un punto preciso e separato perché pieno di microfoni nascosti, aspettando che si dicessero qualcosa che potesse incastrarli. Sembra possibile che qualcuno di loro quattro abbia avuto il telefono sotto controllo, e che se non si fossero fermati gli avrebbero anche potuto sparare. Il giorno dopo Ricca e Lara vanno a riprendere i documenti, ma la telefonata del capo ad uno dei loro amici non si fa attendere: <<Ho tenuto una copia dei vostri documenti, ora siete sulla banca dati della polizia>>. E’ un messaggio in codice per far capire che i due occidentali hanno mancato di una “cortesia”. Il giorno dopo questo va e paga la consueta tangente.

Pare anche che il regime userà le finte promesse di ricostruzione per la campagna elettorale in vista delle elezioni che si terranno nel 2010. Il popolo burkinabé non merita tutto questo – come non lo merita nessuno – e non merita il silenzio029 sotto il quale la verità è stata censurata. Un popolo a cui è impossibile non voler bene e che ameremo ancora di più il giorno in cui sapremo che un tiranno in meno calpesta – almeno come tale – il suolo di questa Terra. Mentre rientriamo a casa in taxi dal nostro giro per le periferie, passiamo vicino ad un cantiere nei pressi di un altro quartiere distrutto. Il tassista si rivolge ironico alla nostra guida: <<Hai visto? Fra poco qui avremo un bel sovrappasso ipermoderno al posto dell’incrocio…>> e poi facendosi serio <<dovrebbero preoccuparsi di costruire un bel sistema di drenaggio della città fatto come si deve, è di questo che abbiamo veramente bisogno!..>>. Allora questa lo apostrofa sibillino: <<Sai com’è, col 60% di analfabeti…ogni paese ha quello che si merita>>.

EDOARDO

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3 punti per aprire una discussione nella FICEDL (già pubblicato lo 01/09/09 su cusa.splinder.com)

Abbiamo aderito alla XIV Conferenza della Federazione Internazionale dei Centri di Documentazione Libertari, che si terrà a Pisa presso la biblioteca “Franco Serantini” dal 4 al 6 Settembre.

Questi sono i punti sui quali proporremo di aprire una discussione a tutti/e i compagni e le compagne durante il lavoro per i seminari:

1. UMANESIMO E NON ANTROPOCENTRISMO:

E’ possibile un umanesimo che non sia antropocentrico e specista? Le caratteristiche della specie umana sono genuinamente evolutive, e non la pongono perciò in una posizione di superiorità rispetto alle altre specie.

2. ANARCHISMO ED INTERIORITA’:

Siamo degli automi oppure abbiamo facoltà di scegliere? L’interiorità e la soggettività come dimensioni esistenziali.

3. ANARCHISMO E VIOLENZA:

Se mezzi e fini sono la stessa cosa, la violenza è un aspetto centrale della rivoluzione libertaria? Oppure la violenza è il mezzo di conservazione e concentrazione del potere?



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Fra crisi economica, equilibri mondiali e nuove prospettive di liberazione (già pubblicato il 10/05/09 su cusa.splinder.com)

E così arrivò anche la tanto agognata crisi economica. Una di quelle crisi – ci dicono – che sono inevitabili nel sistema capitalista e che noi comuni mortali dobbiamo accettare perché <<è così, non ci si può fare nulla…>> (il prof. di Storia Economica), o perché <<eh oh, d’altra parte siamo arrivati a questo punto…>> (il direttore della filiale del Monte dei Paschi).

Crisi economica

Ancora una volta i potenti di turno, di fronte ad una situazione che loro stessi hanno creato, ma che sfugge loro di mano e che incasinerà ulteriormente la vita dei popoli sui quali essi dominano, non trovano altro modo per sfuggire alle loro enormi responsabilità, che non sia quello di presentare questo sistema sociale e le sue malefatte come fossero il naturale ordine delle cose.

Col piccolo particolare che, tenendo bene a mente la lezione impartita dalla grande crisi del 1929, molti di loro gran parte dei capitali se li sono salvati per tempo dentro i paradisi fiscali e le banche estere. Diversamente da quel che è toccato in sorte a molti lavoratori salariati e dipendenti, che si sono visti tagliare stipendi e orari, quando non hanno addirittura perso il posto di lavoro. In praticamente tutti i settori le assunzioni sono bloccate, fatta eccezioni per contratti precari, a condizioni lavorative reali fuori dal minimo del diritto sindacale, e rigorosamente a tempo determinato.

E d’altro canto non c’è neanche tanto da meravigliarsi, visto lo stato di complementarità al sistema nel quale vigono tutti i principali sindacati, i quali nel migliore dei casi difendono comunque a spada tratta i settori del pubblico impiego statalizzato e burocratico.

Ma in realtà, per chi ha già smesso di credere da tempo alla “ovvietà” di questo sistema, questa crisi economica non è affatto una sorpresa, bensì solo l’ultimo atto di una crisi complessiva del sistema stesso che prosegue ininterrottamente a fasi alterne perlomeno dagli anni ‘70.

E’ infatti dai tempi della prima crisi energetica del 1973 e dalla successiva riorganizzazione del capitalismo post-industriale, che viviamo un processo di reazione generalizzato e di peggioramento della vita su praticamente tutti i campi dell’esistenza. Espressione perversa di un Villaggio Globale che incubava i germi della sua decadenza già dal momento in cui andava terminando la sua definizione. E che secondo i più pessimisti potrebbe terminare con un disastro ambientale ed energetico, il che potrebbe significare il genocidio di milioni, forse miliardi di esseri umani.

1968E’ utile dunque ricordare ad esempio che è da dopo il ‘68 ed i suoi strascichi che i conflitti sociali sono stati mano mano normalizzati. Nella complessiva accettazione dello Stato di diritto, o dello Stato sociale, o dell’Organizzazione delle Nazioni Unite come massime frontiere della liberazione umana nell’epoca della modernità.

Oppure che – sempre da quel fatidico 1973 – sono stati irreversibili i processi di privatizzazione dei settori economici, di precarizzazione del lavoro e di peggioramento delle condizioni lavorative, in praticamente tutti i paesi, ove più ove meno. Giustificati con l’urgenza di “flessibilizzazione” della produzione da parte delle grandi imprese, ai fini di mantenere il sacro principio dell’economia di scala, altrimenti in pericolo per la crisi delle risorse.

Della serie: <<Noi dobbiamo tagliare da qualche parte, perciò non possiamo più permetterci tutti i vostri dirittucoli sindacali. O abbandonate le pretese sul posto fisso, sulle 8 ore, sulle ferie garantite, sulla sicurezza sul posto di lavoro, sulla tutela dell’ambiente, ecc., oppure tutto il sistema non è in grado di reggersi in piedi. E siccome il sistema lo comandiamo noi, e siccome lo Stato che legifera sui vostri diritti ha un sacco di debiti con noi, e siccome i vostri sindacati accettano la contrattazione coi governi, e siccome voi non vi ribellate più a questo… ciò che è detto è fatto>>. Peccato che – come da miglior tradizione capitalista – ogni crisi tamponata è un’ altra crisi che ha da venire, e così eccoci qua.

E di pari passo è aumentato il potere delle istituzioni finanziarie internazionali – WTO, Banca Mondiale, ecc – che ogni giorno di più esautorano il potere reale degli Stati nazionali, contribuendo a determinarne la crisi. Una crisi che nell’epFoto Cile II 061oca della standardizzazione globale, significa una profonda perdita di punti di riferimento nella formazione dell’identità dei popoli e delle persone. In risposta alla quale proliferano nel mondo i conflitti etnici, religiosi e culturali. Oppure, crescono il razzismo, l’intolleranza e la xenofobia nei paesi occidentali, ogni giorno più “invasi” dalla marea di persone che sono costrette a lasciare la propria terra di origine per cercare fortuna nella testa del Mostro.

Come dimenticare il capolavoro della moneta unica europea, accolta con simpatia e curiosità da praticamente tutta l’opinione pubblica (compresa quella di “sinistra”), e che com’era prevedibile ha significato in molti pesi l’aumento fino al 100% dei prezzi di tutti i beni, a condizioni salariali rimaste immutate quando non addirittura peggiorate (ma secondo voi, i capitalisti e i finanzieri europei, fanno una moneta unica perché hanno a cuore che non perdiamo tempo a cambiare i soldi quando andiamo a fare i viaggi all’estero, oppure perché così risparmiano un botto di quattrini in tassi di cambio quando muovono i loro capitali su e giù per il Vecchio Continente?).

Ma il vero emblema di questi trent’anni e passa di declino sistemico, sono state senza dubbio le guerre statunitensi, scatenate in gran parte dalla destra neo-conservatrice, eccezion fatta per quella nei Balcani. In particolare la regione mediorientale – caso strano, quella con le maggiori risorse petrolifere – è stata oggetto delle mire espansionistiche dell’imperialismo occidentale, intensificatosi maggiormente dopo il fatidico 11 Settembre 2001.

Guerra

Ma l’ultima guerra in Iraq ha ingarbugliato il bandalo della matassa. La così detta “guerra al terrorismo” si è rivelata per la marionetta George W. Bush e per i suoi burattinai, molto più complessa di quelle che erano state le loro rozze previsioni.

Perché i popoli del Mondo hanno cominciato a ribellarsi maggiormente all’arroganza degli Stati Uniti e dei loro alleati. Di fronte all’evidenza, non solo delle balle colossali sulle quali era stato giustificato l’intervento, ma anche del fatto che l’aggressione statunitense alimentava e non arrestava affatto la crescita del terrorismo e del fondamentalismo religioso. Dall’indocile America Latina all’ondata pacifista in Europa, dai popoli dei paesi arabi medesimi allo stesso universo del pacifismo americano, un po’ ovunque l’indice di popolarità e di salute del dominio a stelle e strisce faceva registrare dei segnali di calo che quanto meno non si potevano sottovalutare.

E’ in questo contesto che – in piena logica dell’alternanza democratica – si inserisce la storica elezione alla Casa Bianca di Barack Obama, il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. E a dire la verità, c’era davvero da chiedersi se il popolo americano (o almeno, quella metà che va a votare) avrebbe dato una risposta di “cambiamento” più moderata, eleggendo l’altra candidata democratica, la Clinton. O se addirittura la reazione sistemica avrebbe dato un ulteriore colpo di mano, qualora putacaso avesse dovuto spuntarla il nuovo candidato repubblicano, McCain.

Niente di tutto ciò. A spuntarla è stato invece un uomo che rappresenta un passaggio cardinale per la storia del potere. Un uomo che incarna in maniera emblematica il principio secondo il quale, il sistema di potere più duraturo è quello che più riesce ad assimilare i fenomeni che nascono come suoi corpi estranei, o addirittura come suoi opposti.

Così la democratica nazione americana – campionessa da sempre di imperialismo e di capitalismo – fondatasi sullo schiavismo e lacerata nei secoli dalle lotte di liberazione della loro vastissima popolazione nera, ha ritenuto che fosse giunto il momento opportuno per sancirne la definitiva integrazione politica. Cosa che d’altra parte avevano già fatto pienamente – ad esempio – Mtv e il mondo dei mass-media e dell’intrattenimento in generale, per quanto riguarda l’integrazione culturale (ma avete idea di quanto questo voglia già dire, nell’epoca della “società dello spettacolo?”). E la cui incubazione è da ricercarsi anche nelle contraddizioni espresse a suo tempo dalle stesse avanguardie del movimento degli afroamericani.

Ma se si potevano avere dubbi sul fatto che il VillaggioObama Globale fosse pronto a ciò, e che Obama sarebbe riuscito nell’impresa, il senso della sua vittoria si chiarisce invece, proprio col dispiegarsi di questa crisi economica, acutizzarsi della più generale crisi sistemica della quale si è detto prima.

Gli “States” hanno urgentemente bisogno di recuperare consensi fra gli oppressi e fra la gente comune, sia all’interno che all’esterno del loro territorio. E quale ricetta migliore allora, per riavvicinare gli oppressi alle istituzioni che li opprimono, di quella del primo presidente di colore, che si presenta come l’ultima frontiera dell’intramontabile “American Dream”, e dichiara di voler chiudere Guantanamo e di volersene andare dall’Iraq. Il quale guarda caso, nel parlare di pace nel Mondo, diritti civili e diritti umani, sembra proprio riportare alla memoria di tutti il Martin Luther King di “I have a dream”.

Ma non solo: c’è anche da fronteggiare la recessione economica, e nessuno meglio di Obama è in grado di assumersi la responsabilità di garantire il sostegno dello Stato alle imprese ed alla domanda. In un’America che davvero ha voluto e saputo imparare la sonora lezione del 1929 per impartirla al treno dei paesi “sviluppati”.

Per non parlare dell’immagine internazionale degli USA. La vociferata chiusura di Guantanamo e la volontà di ritiro dall’Iraq (fiori all’occhiello della campagna elettorale di un presidente che si è presentato dicendo <<La mia elezione dimostra che in America davvero tutto è possibile>>) faranno verosimilmente risollevare – almeno agli occhi dei meno lungimiranti – la reputazione degli Stati Uniti. Peccato che il presidente abbia già fatto sapere che molte delle truppe sottratte al pantano iracheno, che sembra in via di stabilizzazione, saranno semplicemente destinate al rinato pantano afgano, dove non è mai stata completamente piegata la resistenza talebana e dove è ancora vivo lo spauracchio di Al Qaeda. Senza parlare del fatto che l’amministrazione Bush e le sue guerre spericolate, hanno lasciato un debito pubblico preoccupante se non affrontato per tempo.

<<Ma come?! E l’aumento della pressione fiscale sulla élite più ricca del paese? Il sostegno ai salari e la redistribuzione del reddito? La lotta alla disoccupazione e ai licenziamenti, l’estensione dell’assicurazione sanitaria a fasce di popolazione meno abbienti? E il pacifismo di un presidente che si rifà alle lotte lotte per i “civil rights” degli afroamericani, e dichiara di voler aprire il dialogo coi paesi dell’”asse del male” di Bush? Tutte menzogne strumentali? Tutti proclami in malafede?>>

Certo, non si può dire questo, almeno non con rigore. Probabilmente bisogna imparare a distinguere – su un piano dell’analisi – fra piano umano e piano sistemico, fra microfisica e macrofisica del potere: Può anche darsi che Obama sia in buona fede nei suoi intenti di politiche sociali e di lotta allo strapotere delle lobby. E può anche darsi che egli non condivida affatto le guerre preventive o di aggressione, come è stata quella in Iraq (ma di qui a dire che sia un pacifista…).

Tuttavia – se anche fosse – egli agisce comunque dentro i circuiti e le logiche dello stesso sistema che causa i problemi che egli vorrebbe risolvere. Di conseguenza – sul lungo periodo (magari in attesa che la crisi passi, l’immagine internazionale degli USA si risollevi, e possa tornare a insediarsi un capo di Stato più degnamente crociato dell’”American Manifest Destiny”) — le sue politiche saranno di fatto funzionali al mantenimento ed al rafforzamento di quello stesso sistema (nel suo farsi storicamente – appunto – in maniera sistematica, cioè spersonalizzata), in una fase di sua recessione.

Quindi sarà interessante vedere quanto la “svolta-Obama” aggiungerà al dominio statunitense, in termini di longevità, in un momento in cui da più parti ne è stata Cinapreannunciato il declino, a favore di altre potenze emergenti sullo scenario mondiale, come l’Iran, la Russia o l’India, ma soprattutto la Cina.

Perché sarà anche vero che Cina e India stanno crescendo a vista d’occhio, forti da sole di un terzo e forse più della popolazione del pianeta, e che a quanto pare il debito pubblico americano è in mano agli stessi cinesi. Che l’impero russo si sta risollevando dalla fine del comunismo in continuità col non volersi far dettare legge dagli Stati Uniti, e che l’Iran della repubblica islamica e della bomba atomica potrebbe essere un buon canalizzatore delle tensioni di rivalsa espresse quotidianamente dal mondo arabo così detto “non moderato”.

Ma fino a prova contraria gli “states” mantengono ancora ben salde le leadership tecnologiche e militari, le quali fino a questo momento si sono rivelate essere quelle decisive per avere la leadership complessiva in un sistema capitalista. Insomma: chi vivrà vedrà.

Certo, a margine di tutto ciò irrompono fenomeni di ribellione importanti e significativi. Dalla rivolta nelle banlieue e al movimento degli studenti francesi del 2006 contro la precarizzazione del primo contratto di lavoro, a quello dei “pinguini” (studenti medi) cileni sotto il governo della “femminista socialista democratica” Bachelet, passando per la rivolta dei giovani in Grecia dello scorso anno. Dalle lotte degli immigrati in un Italia sempre più porto di un’Europa “assediata” dalla disperazione, a quelle dei contadini e degli operai e minatori cinesi contro il peggior apparato burocratico del Mondo. Dall’Intifada mai doma del popolo palestinese, rinchiuso da sessant’anni nel campo di concentramento a cielo aperto della democrazia, al <<Que se vayan todos>> dell’Argentina della bancarotta di Stato, insorgenza di un Sudamerica complessivamente troppo “perso di vista” dai fratelli maggiori del Nord.

Ma più di tutti, è stata forse la fiammata pacifista mondiale (sulla scia della linea Pacifismoabbozzata dal genuino movimento no-global degli esordi) in risposta all’intervento militare in Iraq da parte degli Stati Uniti, ad indicarci la via del cambiamento che dovranno intraprendere d’ora in avanti le mobilitazioni e le lotte che vogliano aprire una prospettiva di liberazione rivoluzionaria da questo sistema. Un sistema ormai irrevocabilmente globale; e quel movimento che per primo – forse in tutta la storia – ha saputo, seppur in maniera ancora solo embrionale, coordinarsi a livello planetario, ci ha detto – che ne sia stato consapevole o meno – che deve e può essere solo ed esclusivamente globale, la prospettiva nella quale deve sapersi costruire oggi un qualsiasi fenomeno sociale e di pensiero che punti ad una trasformazione rivoluzionaria della vita e della società. Benvenuti nell’era dell’ottimismo.

Edoardo

Pubblicato in attualità | Commenti disabilitati su Fra crisi economica, equilibri mondiali e nuove prospettive di liberazione (già pubblicato il 10/05/09 su cusa.splinder.com)

Camillo Berneri: un’anarchia critica (già pubblicato il 19/06/09 su cusa.splinder.com)

Berneri Camillo Berneri è una figura di pensatore libero da ogni laccio dogmatico. Non voglio soffermarmi sulla sua vita privata, ma sul suo pensiero che più passa il tempo e più mantiene la sua freschezza di giudizio e di analisi. Noi consideriamo Berneri una personaggio molto importante perché, pure non parlandone in maniera esplicita, ha affrontato l’anarchia anche dal punto di vista umanista. Ve ne cito un esempio Un poliziotto è socialmente un cane da guardia, ma può essere un uomo più buono di un autista magari sindacato”. È nel suo non assolutizzare la classe, saper andare anche oltre questo concetto, che noi intravediamo un più illuminato umanesimo. La sua freschezza è data da una continua riflessione sui suoi studi, un continuo movimento che potrebbe essere scambiato anche per contraddizione. Voleva rendere azione la sua teoria e questo lo portò anche ad incontrarsi con gruppi non libertari ma uniti sotto la minaccia fascista. Il suo animo era ispirato dal desiderio di libertà di parola.

Riguardo alla sua concezione di anarchia critica vediamo direttamente dalle sue parole: Io intendo per anarchismo critico un anarchismo che, senza essere scettico, non s’accontenta delle verità acquisite, delle formule specistiche, un anarchismo idealista ed insieme realista, un anarchismo, insomma, che innesta verità nuove al tronco delle sue verità fondamentali, sapendo potare i suoi vecchi rami. Non opera di facile demolizione, di nullismo ipercritico, ma rinnovamento che arricchisce il patrimonio originale e gli aggiunge forze e bellezze nuove. E’ quest’opera la dobbiamo fare ora, poiché domani dovremo riprendere la lotta, che mal si concilia col pensiero, specie per noi che non possiamo mai ritirarci sotto la tenda quando infuria la battaglia”. Il nullismo ipercritico è un grande limite nell’azione e nel pensiero anarchico. Si porta dietro il pessimismo che da l’impressione di aver le mani legate nell’azione concreta, nel coltivare un punto di vista e di analisi critico e acuto.Chi ha un grano di intelligenza e di buona volonta sforzi il proprio pensiero, cerchi di leggere nella realtà qualche cosa di più di quel che si legge nei libri e nei giornali. Studiare i problemi odierni vuol dire sradicare le idee non pensate, vuol dire allargare la sfera del proprio influsso di propagandista, vuol dire fare un passo avanti, anzi un bel salto in lunghezza, al nostro movimento”.

Il suo umanesimo è la fiducia nelle persone comuni, lo stimolo perenne di ragionamento e la costante riflessione.

FRANCESCO ALBINO

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Umanesimo e non antropocentrismo (già pubblicato il 17/06/09 su cusa.splinder.com)

DALL’ INCONTRO CON I FRATELLI ANARCO-ECOLOGISTI DI ECOCULTURE ABBIAMO SENTITO L’ESIGENZA DI APPROFONDIRE UN TEMA NUOVO ALL’ INTERNO DELL IO UMANO: IL SUO RAPPORTO CON L’AMBIENTE E LA NATURA. L’UMANESIMO ANARCHICO E’ UN SOLE E VUOLE  ANALIZZARE E GODERE DEL CALORE DEI SUOI RAGGI E QUESTI RAGGI SONO I TEMI DELLA NATURA E DELL’AMBIENTE. UMANA ANARCHIA ALTRO NON E’ CHE UN RINNOVATO RISPETTO E UNA FRESCA VISIONE. IL NOSTRO INTENTO E’ UNIRE NON DIVIDERE.

ANTROPOCENTRISMO PORTATORE DI SPECISMO

La concezione antropocentrica mette l’essere umano in una posizione superiore rispetto a gli altri esseri viventi e all’ambiente, ciò comporta il radicarsi di un fenomeno detto specismo che è molto simile al razzismo e che permette diAnimal liberation vedere le altre forme di vita come mezzo per arrivare al fine dell’agio consumistico. Lo specismo è svuotare le altre forme di vita del loro valore misurandole inferiori secondo la logica umana di evoluzione. Lo specismo giustifica la violenza alzando la bandiera dell’inferiorità. Vi faccio un esempio cari lettori: ci dicono che gli animali non sentono sofferenza e sotto questa superficiale menzogna commettono le più feroci violenze giustificandole con lo stupido pretesto che il consumismo deve avere questi ritmi per ampliare il benessere giornaliero. Noi non vogliamo il benessere sporco di sangue e colmo di lacrime, ribadiamo con tutta la nostra forza e con tutta la nostra solidarietà il miglioramento dei rapporti uomo-natura-animali, ribadiamo un rinnovato rispetto che già esisteva nelle popolazioni considerate “primitive” dai colonizzatori, 

Come affermavo nella teoria dell’io trascendentale, l’uomo ricerca da sempre un armonia interiore con l’universo, e questa armonia si crea allargando il raggio di solidarietà e rispetto. Per noi non esistono popolazioni “primitive” e popoli “civilizzati”, non esistono specie “superiori” o specie “inferiori”, siamo tutti dentro un contesto che l’arroganza capitalistica sta distruggendo per fini di sopravvivenza. Non lasciamoci irretire dalle multinazionali che ci promettono benessere illimitato. Diventiamo consapevoli del fatto che questo “benessere” è il frutto di sangue e sofferenza.

Vorrei concludere con una citazione di Tolstoj: finché esisteranno macelli ci saranno campi di battaglia.

Grazie di cuore

Francesco Albino

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Il razzismo è l’antropologia del potere (già pubblicato il 15/06/09 su cusa.splinder.com)

 

Il razzismo come teoria “scientifica”, nasce nell’Occidente contemporaneo come deriva della cultura positivista a pannaggio degli Stati e dell’imperialismo borghese. Ma in realtà il razzismo come pratica antropologica, esisteva da ben prima che fosse formalizzato in tal senso. E’ esistito come conseguenza dell’antropologia negativa sulla quale si sono fondate e sviluppate le civiltà, a partire da forme di organizzazione elementari del dominio fino ad arrivare agli Stati, alle grandi religioni e capitali.

Difatti il dominio per giustificarsi ha bisogno di radicare l’idea che senza il suo potere l’uomo vivrebbe in una condizione di sopraffazione reciproca, educando a un sistema di valori e credenze che alimenta la paura o la diffidenza verso lo straniero e verso le classi subalterne, con particolare attenzione – in entrambi i casi – nei confronti del soggetto “criminale” o “deviato”.

Questo perché in quanto forma di affermazione invertita, tende a trasferire sui popoli dominati o su quelli posti sotto altri domìni, quella che in realtà è la vera natura nascosta e perversa del suo stesso potere, e cioè la barbarie.

Logico perciò che in una fase storica di reazione generalizzata e di crisi sistemica come quella che stiamo attraversando, il razzismo cresca tanto nelle classi dirigenti quanto nella società civile.

In età contemporanea l’imperialismo capitalista prima ed il nazifascismo poi (ma anche lo stalinismo), hanno razionalizzato scientificamente il loro potere e con esso la sua antropologia razziale. Ma la loro barbarie inaudita sembra non essere bastata a cancellare dal vocabolario e dalle coscienze degli uomini di oggi, il linguaggio e le credenze propri di una in-cultura razzista.

Lo dimostra la crescita negli ultimi anni delle destre dichiaratamente xenofobe, in paesi occidentali dove gli equilibri tradizionali vengono rapidamente messi in crisi dai sommovimenti incontrollabili di un tessuto sociale, nel quale in pochi anni si sono riversati milioni di immigrati ed immigrate provenienti da ogni parte del Mondo.

Ma indirettamente lo dimostra anche la crescita di valori come la patria, la bandiera e la nazione, nelle teste degli esponenti e dei votanti di tutte le sinistre istituzionali, siano esse “moderate” o “radicali”.

Per combattere il razzismo alla radice occorre invece riaffermare con forza e con contenuti e prospettive rinnovati/e, la coscienza internazionalista, antimilitarista e libertaria. In termini di un più compiuto umanesimo, che sappia parlare ancora il linguaggio della multiculturalità e multiespressività di una vita umana basata sulla libertà.

 

EDOARDO

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Contributo al convegno Stop Razzismo (già pubblicato il 15/06/09 su cusa.splinder.com)

ABBIAMO PARTECIPATO AL CONVEGNO DI STOP RAZZISMO CHE SI E’ TENUTO A ROMA IL 13 E 14 GIUGNO. QUESTO E’ IL NOSTRO CONTRIBUTO AL WORKSHOP N° 2. No alle misure razziste, per una scuola aperta a tutti: la differenza come ricchezza.

La scuola è un’istituzione dello Stato, una delle istituzioni fondamentali di qualsiasi Stato moderno, il quale vi forma le nuove generazioni secondo la sua cultura ed i suoi valori fondanti. Perciò in sé non c’è da stupirsi se la scuola può fare pratica di razzismo: ciò rientra nella sua stessa natura essenziale, che è la stessa natura degli Stati. E cioè quella di controllare la popolazione di un dato territorio, entro il quale definire coloro i quali sono i suoi cittadini – secondo determinati canoni di civiltà – e coloro i quali invece sono gli stranieri (fuori dai confini), oppure i clandestini o gli illegali (entro i propri confini).

Ci sembra tristemente logico dunque, che nel bel mezzo di un generale imbarbarimento razzista della società da parte dei governi di turno, anche l’istituzione scolastica sia coinvolta in questo processo.

In appena un paio di decenni, milioni di immigrati ed immigrate hanno lasciato la propria terra natia alla ricerca di condizioni di vita più dignitose, approdando in quello che potrebbe essere definito il “porto sul Mediterraneo di un’Europa assediata dalla disperazione”, e cioè l’Italia. E questo flusso incontrollabile ha messo repentinamente in crisi le istituzioni dello Stato con i loro parametri di civiltà, nonché le tradizioni della gente.

Il dominio di per sé tende sempre alla conservazione, e la sua risposta immediata di fronte a sommovimenti del tessuto sociale che non è in grado di controllare, tende sempre ad essere reazionaria e conservatrice. Ecco spiegata l’escalation di provvedimenti razzisti che dalla metà degli anni ’90 si sono susseguiti in Italia, e che hanno portato allo sviluppo dei C.P.T./C.I.E., fino ad arrivare ai “pacchetti sicurezza” varati dagli ultimi governi di Centrodestra e Centrosinistra.

Certo, all’interno della legalità possono trovare espressione anche degli intenti che cercano di andare in una direzione opposta. Così il diritto legato ad esempio alla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, o lo stesso articolo 34 della Costituzione Italiana “La scuola è aperta a tutti”, possono contribuire a limitare lo strapotere xenofobo del sistema. Ma questi intenti risulteranno alla lunga impotenti e finiranno col diventare funzionali al sistema stesso, se non si tradurranno nella ricerca di un’autentica trasformazione libertaria della società e della vita (trasformazione che per noi fa ancora rima con rivoluzione).

Convegno Stop Razzismo

Rifiutiamo l’idea che nell’umanità possano esistere discriminanti legate a fattori naturali, culturali o religiosi. Ed anzi riteniamo che quel che più originariamente caratterizza ciò che è umano possa arrivare ad abbracciare tutta la nostra specie. Crediamo perciò che la lotta contro gli aberranti provvedimenti razzisti che il governo sta cercando di far approvare nella scuola, per affermarsi debba svilupparsi in termini di umanesimo e parlare la lingua cosmopolita del dialogo fra esseri umani.

Ma poiché ci ricerchiamo anche in termini genuinamente libertari, sappiamo bene che la scuola attuale è ben lontana dall’essere quel luogo aperto, accogliente e socializzato che questo workshop e questo convegno vorrebbero che fosse. Perché non potrà mai esserlo fino a quando resterà un’istituzione dello Stato.

Pensiamo quindi che per combattere il razzismo nelle scuole sia fondamentale che siano i giovani in prima persona ad aggregarsi in ambiti autonomi e autogestiti, i quali ponendo l’attenzione sulla dimensione umana complessiva, possano fornire un antidoto sociale e culturale contro la xenofobia. Nell’azione diretta e nello smascheramento delle menzogne antropologiche e religiose, in base alle quali il sistema attuale sta chiamando allo scontro di civiltà, e sulle quali altresì il razzismo stesso come fenomeno storico è stato costruito dal potere, in ogni tempo e in ogni luogo.

 CUSA

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L’io trascendentale (già pubblicato il 10/05/09 su cusa.splinder.com)

ll limite dello studio scientifico è di non analizzare la componente trascendentale che ha portato l’uomo a differenziarsi dalle altre specie.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Dea madre

Abbiamo provato ad analizzare questo fenomeno:
l’io umano è  l’inconscio sono due parti di un unica medaglia , l’inconscio si manifesta in maniera simbolica. Quindi la trascendentalità è inconscio senza censura, un desiderio di far fuoriuscire questa parte, che si manifesta liberamente . Il bisogno della trascendentalità è dato dal desiderio di mettersi in armonia con l’energia cosmica universale. Quindi cos’è l’inconscio? Una manifestazione interiore dell’universo, attraverso la spiritualità cerchiamo di metterci in armonia non con un ente superiore a noi, ma con noi stessi dentro un entità che si chiama universo. Quindi il dio di cui bramiamo l’esistenza siamo noi, che con la storia abbiamo esternato per darci una spiegazione degli eventi naturali. L’universo è infinito, a questo ci sono arrivati eminenti scienziati come Albert Einstein. Il nostro inconscio è infinito perché è strettamente legato a pulsioni  dell’universo.
  

Le prime manifestazioni di spiritualità sono state dettate sin dai primordi dal nostro inconscio. Nello studio sull’inconscio dobbiamo essere grati ai lavori di Freud e Jung. Quindi potremo affermare che esiste un “inconscio trascendentale ” un desiderio che va oltre il normale vivere quotidiano. L’uomo aveva desiderio di elevarsi e attraverso questo sentimento ha creato i totem, ha dipinto immagini pre-sacre,  raffiguranti la vita quotidiana. Il rapporto con la morte è un argomento molto interessante da affrontare e nella sua complessità rientra nel concetto di inconscio spirituale. E’ erroneo affermare che l’uomo ha cercato la spiegazione divina ai normali eventi naturali perchè non ne conosceva ai primordi della storia, scientifica e razionale spiegazione . La morte è si il distacco dalle persone care ma è un processo temporaneo di ricongiunzione con l’energia universale tanto cercata. La morte è un sonno transitorio, gli antichi l’avevano ben compreso mettendo addirittura nelle tombe beni di prima necessità che potevano avere un utilità nel percorso di rinascita, rinascita sotto un’altra forma o in un’altra dimensione. La morte ha rappresentato un momento rituale di un notevole impatto spirituale.

FRANCESCO ALBINO

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