REFERENDUM SI’? REFERENDUM NO? Ne parliamo sabato 16 aprile dalle 18:30, presso l’Ateneo Libertario di Firenze

referendum

 

per mettere a confronto punti di vista critici, sia sulla consultazione del 17 aprile, sia sulla strumento referendario in generale.

a seguire cena conviviale

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17 APRILE, ANCORA UNA VOLTA: DICIAMO “Sì” ALLA CHIUSURA DEI GIACIMENTI, MA SOPRATTUTTO DEGLI STRUMENTI DI DELEGA!

Quello referendario, è senza dubbio uno dei luoghi comuni più diffusi, circa gli spazi di partecipazione e autodeterminazione popolare, che i sistemi democratici e repubblicani metterebbero a disposizione dei propri cittadini, e della sovranità popolare.

Innanzitutto perché in Italia – ma non solo – i referendum nazionali sono esclusivamente abrogativi, confermativi o consultivi (non propositivi). E soprattutto perché sono degli irriducibili canalizzatori e filtratori delle mobilitazioni popolari, e delle tensioni più radicalmente rivoluzionarie che caratterizzano alcune di esse. Soprattutto quelle che si sviluppano su basi comunitarie, come talvolta accade in modo peculiare, proprio per le mobilitazioni a carattere ambientale.notriv

Questo è stato ancora una volta messo in luce, da tutte quelle istanze di ispirazione anarchica e libertaria, che hanno sottolineato come anche il referendum del 17 aprile contro le trivellazioni petrolifere in mare entro le 12 miglia dalla costa – oltre ad essere in sé per sé limitato per quanto riguarda gli effettivi risultati che esso otterrebbe nel conflitto specifico, in caso di raggiungimento del quorum e vittoria del “Sì” – rischia di essere non meno limitante, anche relativamente alle possibilità di lotta che a partire da esso si aprirebbero, o meglio si chiuderebbero, all’orizzonte delle prospettive autogestionarie più radicali.

Da un lato infatti, la chiusura dei suddetti giacimenti alla scadenza delle concessioni, piuttosto che all’esaurimento delle risorse, non garantirebbe la prevenzione, né rispetto alla futura apertura di nuove strutture oltre le 12 miglia, né rispetto all’intensificazione dello sfruttamento di quelle presenti sul territorio emerso, in Italia come all’estero. Con conseguenti “missioni di pace” od “interventi umanitari”, e/o, relative mutilazioni, rispetto al raggiungimento di un pieno risultato concreto.

Dall’altro lato, la vittoria tramite lo strumento referendario, non garantisce affatto la prosecuzione della mobilitazione ambientalista su basi rivoluzionarie, ed anzi rischia di fatto di sublimarne gli orizzonti, in una finta autodeterminazione popolare, tipica delle dinamiche e della retoriche della democrazia.

Sono tutti aspetti e problematiche da tenere presenti – questi/e – nel momento in cui si va a proporre di partecipare al voto, e di votare “Sì” – per bloccare lo sfruttamento dei giacimenti al termine delle concessioni – per il quesito referendario del prossimo 17 aprile.

Si tratta anche questa volta di fare la più malatestiana delle distinzioni, e delle commistioni, fra anarchia ed anarchismo. Fra l’orizzonte ideale da difendere e perseguire, e le battaglie contingenti che questo orizzonte può e deve saper affrontare e superare, per il proprio avvicinamento.

Si tratta di ribaltare dialetticamente, la concezione per cui il conflitto specifico, giocato fuori casa sul terreno del proprio avversario, porta inevitabilmente alla sconfitta dei propri schemi e dei propri obbiettivi di gioco.

Si tratta di trasformare l’appuntamento democratico, in un’ occasione di rilancio delle lotte e delle mobilitazioni più strettamente comunitarie.

Nella consapevolezza delle insidie e delle difficoltà di gestione che questo strumento comporta. Ma che al tempo stesso il conflitto specifico che esso risolve, per quanto limitato, è contingentemente troppo importante per essere ignorato.

Anche alla luce dei tentativi di boicottaggio governativi, fatti recentemente nei suoi confronti, quindi dell’effetto che la sua vittoria potrebbe avere, sulla stabilità futura dell’attuale governo, e sulla fiducia dei cittadini nei suoi confronti. Ma anche alla luce del significato simbolico che una vittoria del “Sì” acquisirebbe, in chiave di un rilancio delle istanze ecologiste in materia di energia e non solo.

IL 17 APRILE VOTIAMO SI’. Per iniziare a fermare le trivellazioni, ma soprattutto per rilanciare ovunque LA COSCIENZA E LA MOBILITAZIONE AMBIENTALISTA, AUTOGESTIONARIA, RIVOLUZIONARIA.

 

 

CUSA

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Gli spazi sociali di Roma: una riflessione necessaria (e sufficiente?)

Roma, anni ’90: la città si riempie di spazi sociali, luoghi più spesso di appartenenza del Comune, ma anche privati o statali che, dopo essere stati lasciati in abbandono, vengono occupati da gruppi di persone che li riportano in vita, facendone attività sociale e politica, nel tentativo di restituirli alla comunità.

Le scelte politiche saranno poi molto diverse per ognuno di essi, e anche le nomenclature varieranno, a seconda del tipo di gestione.

Alcuni posti risultano tuttora occupati, altri sono stati assegnati tramite contratti d’affitto, in seguito ad una delibera comunale, che riconosceva un valore legale agli spazi. E sono gestiti da associazioni che però, nella maggior parte dei casi, hanno un valore soltanto formale, e servono più che altro ad interagire con l’istituzione, senza inficiare il carattere indipendente di questi posti. Ciò che infatti dovrebbe accomunare tutti gli spazi, è che questi dovrebbero essere gestiti autonomamente da tutti/e coloro che vi entrano. E le decisioni, prese collettivamente in assemblee accessibili a tutti/e.

Negli anni gli spazi sociali hanno appoggiato lotte sul territorio – sia nazionale che locale – si sono fatti promotori di un certo tipo di cultura indipendente e tenuta solitamente ai margini, hanno proposto nuovi stili di vita, in contrasto col sistema capitalista imperante.

 

Dentro gli spazi nascono infatti le ciclofficine, o i gruppi d’acquisto solidali, si propongono musicisti o artisti che non sono citati nelle prime pagine dei quotidiani, si fanno laboratori di musica, teatro, sport, a prezzi popolari per tutti/e, si
tengono corsi di lingua per stranieri.spazi roma

Nonostante ciò, oggi i centri sociali romani attraversano una fase di profonda crisi, e rischiano seriamente di chiudere.

Il comune di Roma, rimasto al verde, ha deciso di riprendersi tutti i posti che in passato aveva assegnato rimettendoli a bando, ed escludendo le varie associazioni nate nel tempo dalla possibilità di partecipare alla gara. Col risultato che, luoghi che servivano a promuovere iniziative sociali, andranno a finire nelle mani di aziende che li utilizzeranno a scopi privati o, in uno scenario ancora peggiore, resteranno abbandonati, e il comune dovrà spendere ulteriori soldi per tenerli in piedi.

Per di più tutto ciò avviene in una città commissariata, dove non ci sono più rappresentanti locali che riconoscono l’importanza sociale di spazi come questi, e dove invece, chi amministra temporaneamente la città per conto dello Stato, ha avviato una vera e propria repressione, scoraggiando qualsiasi tentativo di difesa o di riappropriazione degli spazi, con minacce di sgombero e operazioni di polizia.

Ma c’e` probabilmente anche un altro motivo per cui oggi gli spazi sociali si trovano in estrema difficoltà.

Col tempo infatti, le varie assemblee che li gestivano, si sono molto chiuse in sé stesse, interagendo e comunicando poco con l’esterno. Di modo che questi spazi, sono diventati sempre meno punti di riferimento per i quartieri in cui si trovano, a volte diventando anzi corpi estranei rispetto ad essi.

Non c’è stato così un vero e proprio ricambio generazionale, e anche tra chi è rimasto all’interno, è venuto meno l’entusiasmo di una volta.

Chiediamo pertanto a chi dall’esterno guarda questi posti con occhio critico e curiosità – ma anche a chi li vive dall’interno – di fare una seria riflessione, su quello che è il senso ed il significato di questi spazi oggi.

Allo stesso tempo chiediamo a chi sta dentro, di portare fuori quello che di più positivo e interessante, è stato prodotto in tutti questi anni dentro gli spazi sociali.

Nella convinzione che realtà come queste, hanno avuto in ogni caso una grande importanza nella storia recente di Roma, e che solo attraverso una sincera e profonda riflessione critica – sia da parte di chi ne sta dentro, che da parte di chi ne sta fuori – potranno rinnovare e potenziare il loro impatto e la loro influenza reale, sulle dinamiche storiche, sociali e culturali di questa città.

CUSA

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ANARCHIA E ANARCHISMO: un approccio fenomenologico?

husserl

La fenomenologia trascendentale, è la scienza che si occupa di studiare e comprendere i fenomeni – ovvero ciò che accade fenomenicamente – in quanto tali, a partire da quello che il suo iniziatore Edmund Husserl, definiva un “Epoché trascendentale”, ovvero un “ribaltamento epocale” della coscienza, tramite un’ auto-soggettivazione trascendentale, relativamente allo stesso mondo fenomenico, al contesto storico e sociale.

Che permette dunque di comprenderlo e spiegarlo nella sua pienezza, essendo appunto trascendentale rispetto ai fenomeni compresi. Ma al tempo stesso non richiede di essere esso stesso spiegato, essendo la sua acquisizione necessaria e sufficiente a renderlo evidente di per sé stesso, in quanto presupposto ontologico della facoltà e della capacità medesime, di comprendere e di spiegare.

E’ infatti trascendentale, per la fenomenologia, tutto ciò che tende ad infinito. Là dove ciò che tende ad infinito, non può essere ascritto a un campo di trascendenza (non è e non implica cioè l’infinito stesso), giacché si può dire qualcosa di empirico su di esso; ma non può essere ricondotto neanche ad un campo di materialità, non essendo appunto misurabile di grandezze finite.

Per ciò di cui si ha una conoscenza di tipo empirico, la quale non è riducibile ad un esperienza di tipo strettamente materiale, va dunque introdotta un’ ulteriore categoria, e cioè appunto quella di trascendentale.

Dicesi trascendentale, in fenomenologia, tutto ciò che si sperimenta empiricamente poter tendere, o voler tendere, ad infinito.

E’ trascendentale – ad esempio – il campo dei numeri, su cui si basa la scienza matematica. Ma lo è anche quello del linguaggio, almeno umano, là dove le possibili associazioni fra significanti e significai risultano essere, appunto, infinite.

Il teatro, è acquisizione di potenzialmente infinite, diverse identità. E la memoria storica di ogni soggetto storico – almeno da un punto di vista umano – è essa stessa, potenzialmente, infinita.

Dunque il trascendentale, sembrerebbe essere il minimo comun denominatore dei diversi campi di conoscenza umana, e non a caso Husserl sottotitola la sua opera fondamentale “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale”, con Per un sapere umanistico; ovvero per un sapere che sappia trovare appunto, un minimo comun denominatore fra le varie scienze e conoscenze umane.

Esso potrebbe esserlo dunque, anche relativamente ad un possibile approccio anarchico alla conoscenza, ad esempio per quanto riguarda la fondamentale divisione malatestiana, fra anarchia ed anarchismo.

Sappiamo infatti che uno dei contributi più importanti dati da Errico Malatesta alla teoria ed all’azione anarchica, è stato quello di fare una distinzione ontologica e metodologica, fra l’anarchia e l’anarchismo.

La prima è l’orizzonte verso cui, in divenire, costantemente si tende, senza che lo si possa e lo si debba mai definitivamente raggiungere. Malatesta arriva a definire tale orizzonte in costante divenire, come “metastorico”, in quanto non riconducibile ad alcun reale contesto storico. Proprio per evitare, sia che un contesto di tipo anarchico possa in qualche modo proclamare una “fine della storia”, sia che possa ridursi o snaturarsi in compromessi più o meno inevitabili.

Il secondo, è invece la traduzione dell’orizzonte in divenire dell’anarchia, relativamente al contesto storico specifico in cui esso si trova ad agire. E col quale eventualmente deve, volente o nolente, saper scendere a compromessi.

Solo questa importante distinzione dunque, permette all’anarchismo di potersi relazionare al proprio contesto storico, senza rimanervi in qualche modo impigliato, e potendo sempre potenzialmente superare gli eventuali compromessi necessari, nell’orizzonte metastorico, in costante divenire, dell’anarchia.

malatestaParafrasando la fenomenologia di Husserl, si potrebbe dunque sostenere che l’anarchismo tende all’orizzonte, in questo caso trascendentale, dell’anarchia, così come “l’essere-nel-mondo”, tende all’orizzonte trascendentale, del proprio essere-soggetto.

Dunque la scienza fenomenologica, ci appare come l’approccio di ricerca più adatto, al fine di dare una migliore e più piena veste scientifica, alla soluzione proposta a suo tempo da Errico Malatesta, all’annoso problema della necessità di conciliare l’azione nel presente storico, con il mantenimento dell’indipendenza e della pienezza dei propri orizzonti.

Il “metastorico” attribuito dal grande rivoluzionario all’anarchia, diventa così in questa prospettiva, un più rigoroso “trascendentale”, che libera dunque l’abbozzo teorico malatestiano dalle categorie metafisiche.

Anarchia, è dunque l’orizzonte di superamento (o traslitterazione) delle categorie di potere, e delle rispettive produzioni e dinamiche storiche, in un intorno potenzialmente infinito di vissuti e di sensi/significati.

Anarchismo, è invece la lotta per approssimare quanto più possibile la realtà al divenire costante e irriducibile di questo orizzonte, facendo i conti con quelle stesse dinamiche e categorie di potere, che determinano la realtà medesima, nel contesto storico di riferimento.

 

 

Edoardo

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CONTRO LA PIU’ GRANDE ORGANIZZAZIONE TERRORISTICA DEL MONDO: Firenze non sarà la capitale di un nuovo imperialismo!


no nato  La NATO dal 1949, è l’alleanza militare dell’imperialismo capitalista a guida USA, “vincitore” della Seconda Guerra Mondiale prima, e della Guerra Fredda poi.

Nei decenni, si è resa responsabile dei più efferati crimini di guerra e delle più palesi violazioni dei diritti umani.

Dalla complicità con le peggiori dittature militari del XX secolo, al supporto della strategia della tensione in Italia e della struttura GLADIO, fino alle “guerre umanitarie” fatte di “bombe intelligenti”.

Che hanno alimentato i più biechi nazionalismi e fondamentalismi, dall’intervento nella ex-Jugoslavia del 1999, fino agli ultimi “effetti collaterarli” negli ospedali umanitari in Afghanistan.

La città di Firenze, è stata per tutto il primo dopoguerra e fino a pochi anni or sono, una delle capitali internazionali delle sinistre, all’interno di quella sfera di influenza di cui la NATO è espressione militare, ma anche politica ed economica.

E’ dunque un colpo da novanta per gli strateghi del libero mercato, e del nuovo liberismo economico, essere riusciti a sbarcare in un contesto storico-culturale come quello del capoluogo toscano. Per un vertice “caldo” dedicato a Mediterraneo e Medio Oriente, proprio in una fase storica così delicata per le vicende che hanno attraversato queste aree del Mondo.

L’amministrazione Renzi-Nardella, filo-americanista fin dalla sua origine, dimostra ancora una volta la volontà di chiudere i conti definitivamente col passato. Facendo di Firenze un punto di riferimento ed un porto sicuro, di tutti i potentati italiani e globali.

Dalle cene Ferrari in Ponte Vecchio blindato, alle visite di Papa Francesco ed importanti leader europei come Angela Merkel. Da questa Assemblea Parlamentare in Palazzo Vecchio, fino al ventilato meeting del G8 nel 2017; Firenze diventa fiore all’occhiello e laboratorio di una rottamazione indiscriminata del dissenso e dell’antagonismo sociale, politico, culturale.

Il fallimento endemico delle sinistre istituzionali, risulta anche stavolta evidente, con la Presidente della Camera Laura Boldrini, esponente di spicco di Sinistra Ecologia e Libertà, a presenziare attivamente i lavori dell’assemblea.

Ci ribelliamo alla crescente militarizzazione di questa città, cui questo ennesimo convitto di potenti ha fornito un ulteriore pretesto, con tanto di tiratori scelti appostati sopra le nostre teste.

Fatta di continui sgomberi nelle scuole e negli spazi sociali e autogestiti, attacco sistematico alla libertà del lavoro, recinzione ed emarginazione di ogni spazio reale di conflitto.

Rilanciamo con forza la coscienza pacifista, antimilitarista e libertaria, nella convinzione che solo in queste prospettive, contro l’ipocrisia della retorica istituzionale, si possa trovare una concreta soluzione alle tragiche vicende internazionali, alternativa alle logiche speculari della guerra imperialista, e del terrorismo fondamentalista che ne scaturisce.

 

 

CUSA

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13 NOVEMBRE, NEI RECINTI NON CI STIAMO: OPPOSIZIONE AL GOVERNO RENZI SU TUTTA LA LINEA!

norenziIl “rottamatore” Renzi, “uomo nuovo” di una presunta “unica sinistra possibile”, è riuscito in meno di due anni, a smantellare tutto ciò che di significativo, le sinistre in Italia erano riuscite a conquistare, a suon di lotte e mobilitazioni, nei decenni passati. Osando spingersi persino là dove i suoi predecessori di segno politico “opposto”, non avevano ancora osato arrivare

– Riduzione all’osso dei diritti e degli spazi sindacali, con misure restrittive alle mobilitazioni ed agli scioperi, da far luccicare gli occhi a tutti i crociati del Mai più Italia ostaggio dei sindacati!, fra i quali si sono distinti molti cavalieri della destra e del centrodestra, ed accodati diversi dei peggiori mercenari della sinistra e del centrosinistra.

– Accentramento di poteri nell’iter giuridico delle istituzioni parlamentari e democratiche, spacciato per finta funzionalità, e volontà di riduzione dei costi della politica.

– “Presidi-sceriffi”, a immagine e somiglianza di un comparto scuola e di una gioventù, che si vogliono sempre più passivi e indottrinati.

Compiacenti manichini di una “ripresa economica”, fatta di riduzione di diritti e sicurezza sul e del lavoro, abbassamento dei salari reali e relative elemosine di ottanta euro in busta paga.

Siamo in presenza di un disegno politico molto preciso, quello di chiudere i conti con tutto ciò che cerca di mettere in discussione lo stato di cose attuale, e le istituzioni che lo rendono tale. Relegando ai margini della Storia, ogni prospettiva di cambiamento radicale dell’esistente.

La lapidazione mediatica del dissenso – persino quando, oltre che giusto, è persino “autorizzato” – è quotidianamente sotto gli occhi di tutti, come avvenuto ad esempio nella vicenda dei lavoratori del Colosseo, che si sono visti piombare addosso da un giorno all’altro un Decreto Legge totalmente arbitrario, oltre alla pubblica criminalizzazione di una normalissima astensione dal lavoro.

Nonostante il rinnovo generazionale della classe dirigente, incarnato dal capo-scout rignanese, un’intera generazione è rimasta pressoché ancora totalmente tagliata fuori, e cerca faticosamente di trovare un’identità, o una poetica, che storicamente la caratterizzi.

Occorre rilanciare fin da subito, la coscienza anticapitalista e libertaria, basata sulla lotta per l’autogestione del lavoro, sulla rottura ed il superamento delle gerarchie, sulla centralità del movimento e della cooperazione. Nella consapevolezza di un’epoca che si è ormai definitivamente conclusa, e di un orizzonte in cui probabilmente niente di ciò che è stato, potrà più essere dato per scontato.

CUSA

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CAOS a Roma, ovvero la ciclofficina per le strade

 

70.Quell’idea aveva preso forma tanti anni prima, ad una di quelle cene in cui si beve abbondante vino rosso, ma non ci si ubriaca mai abbastanza da scordarsi le cose il giorno dopo. Era un periodo in cui le idee, anche quelle più strambe, appena espresse a voce alta, prendevano forma e poi diventavano realtà.

Vuoi per le difficoltà della vita, vuoi per la sempre crescente repressione di ogni forma di creatività individuale, molte idee non vennero mai realizzate, ma restarono in qualche anfratto della mente per anni. Una di quelle venne fuori molto tempo dopo, quando qualcuno tra quelli che l’avevano pensata, andò ad aprire un vecchio cassetto nascosto in qualche oscuro angolo della memoria.

Fu così che un po’ per gioco, un po’ per voglia di creare nuove forme di proteste metropolitane, in una notte di prima estate, ai giardinetti, tra una birra e l’altra, quell’idea prese forma, consistenza e poi si realizzò.

Ecco, è pressapoco in questo modo che siamo finiti qua a San Lorenzo, in una settimana di fine giugno, con una bicicletta da carico, una specie di robot trasportatore con addosso gli attrezzi più svariati che poi diventa all’occorrenza un’officina per biciclette completa da piazzare in qualsiasi luogo possa servire. In sostanza, è pressapoco così che è nato il CAOS, alias, Ciclofficina aperta ovunque serva.

Il CAOS non fa riferimento a nessuna struttura organizzativa stabilita, è un insieme di persone singole che hanno deciso di portare la ciclofficina in piazza e nelle strade, allo scopo non soltanto di sensibilizzare la gente all’uso della bicicletta, ma anche rivendicare un diverso tipo di mobilità urbana e un modo più sostenibile di vivere la città in cui anche i più piccoli spazi sono ormai completamente invasi dalle automobili.

È così che in questi tre giorni ci siamo appoggiati alla festa del Grande Cocomero, l’associazione con sede a San Lorenzo, che si occupa insieme all’istituto di neuropsichiatria infantile di ragazzi e ragazze con problemi mentali, e che a questo proposito ha organizzato in piazza una festa all’insegna di musica, teatro e poesia realizzati anche insieme ai giovani sopracitati. Un modo non solo di tenersi attivamente impegnati in qualcosa di socialmente utile, ma anche di far rivivere una piazza in cui la fanno sempre più da padroni spacciatori di droga che si accoltellano tra loro, gente che si ubriaca fino a finire stesa per terra senza vita, gruppetti politici che si scannano ogni volta che poco poco gli equilibri di potere nel quartiere rischiano di perdersi.

Ci è sembrato il posto ideale dove iniziare con la ciclofficina itinerante. Se siete passati da lì avrete sicuramente visto il nostro robot da carico, i tavolini con gli attrezzi e con i borsellini e gli orecchini costruiti con camere d’aria e pezzi di bicicletta, che servono a finanziare il nostro progetto. Avrete visto sicuramente anche il salottino confortevole in cui si è svolta la nostra riunione. Qualcuno vi racconterà che quel salottino era soltanto disegnato sul pavimento coi gessetti. Non lo ascoltate. Se vi ha detto così era per invidia. Lui non ci sarebbe mai riuscito a farlo diventare reale.

Il Caos

 

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BALCONI OBLIQUI OLTRE CANCELLI NEL NULLA

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ispirato a un viaggio vero

 di:  DAFNE ROSSI

 foto di: SEGRETO DI PULCINELLA

Marzo 2014

Prendendo la bicicletta e imboccando la via Prenestina in direzione opposta rispetto al centro della città di Roma, una volta oltrepassato il grande raccordo anulare, la strada si circonda di verdi prati, boschetti e campi incolti.12032014547

Ogni tanto una villetta deturpa il paesaggio, la cui presenza è annunciata da un monumentale cancello che si erge solitario nel nulla, non affiancato nemmeno da un muro di cinta o da una di quelle orribili reti metalliche che sempre più spesso caratterizzano i confini delle proprietà private. Se qualcuno varcasse la soglia del cancello, si ritroverebbe su un vialetto che porta alla suddetta villa e che spunta quasi magicamente tra i prati.

Ma torniamo alla via Prenestina e proseguiamo il nostro viaggio in bicicletta. Dicevamo che il percorso diventa quasi piacevole. Alberi e cespugli si avvicinano sempre più alla strada, gli uccelli cinguettano e svolazzano qua e là alla ricerca di qualcosa da beccare, si possono persino vedere greggi di pecore libere di pascolare. Unica nota dolente: può capitare di trovare corpi di animali spiaccicati sull’asfalto perché travolti dalle auto; in genere si tratta di ricci.

Si ha l’impressione che questa infinita città che allarga a dismisura i suoi confini, sia finalmente finita e che si sia giunti in aperta campagna. Con questa bella sensazione e col cuore colmo della speranza che presto anche il traffico diminuirà, si arriva nei pressi di un bivio: dalla Prenestina partono due strade laterali, larghe ed asfaltate, che però promettono ad un primo sguardo, distese di prati dove poter sedersi per un pic nic e pini ombrosi sotto cui riposare in una bella giornata di sole come guardacaso lo è quella che si è scelta per la passeggiata. Si può quindi decidere, senza un motivo preciso, di imboccare la via a sinistra.

Dopo le prime pedalate, però, si comincia ad avvertire qualcosa di pesante nello stomaco. Mentre ci si chiede cosa mai possa essere successo così di colpo, si alza di nuovo lo sguardo verso il paesaggio intorno. C’è qualcosa che stona. Da lontano sono comparsi improvvisamente degli enormi palazzoni grigi. Via via che ci si avvicina si fanno sempre più fitti e minacciosi, finché non ci si accorge di esserci finiti esattamente in mezzo. Si è arrivati in un centro abitato dove regna decisamente il cemento. Non c’è nessun cartello di benvenuto o un’indicazione, né una rotonda di quelle che si trovano all’ingresso dei paesi.

12032014550Si arriva direttamente su un lungo stradone, ai cui lati scorrono ininterrotte due file di palazzi. Da un lato hanno balconi in cemento con i tubi di scarico dell’acqua pendenti e ben visibili sulla facciata. Danno l’impressione di essere cantieri da finire. Eppure sono completi, funzionanti e abitati.

Dall’altro lato gli edifici formano una linea a zigzag e anche i balconi seguono lo stesso andamento, poiché sono più stretti a un’estremità e si allargano all’altra. Questi balconi hanno la ringhiera, ma solo ai lati, mentre la parte centrale è costituita da una balaustra di cemento che ha tutta l’aria di essere stata attaccata alla bell’e meglio con la colla al resto del balcone.12032014552

Proseguendo sullo stradone si arriva su una via laterale, che porta ad un antico casolare, ormai in rovina, ma l’unico edificio con un certo fascino in tutta l’area. Qui c’è ancora il verde e il cemento non ha preso piede.

12032014556In fondo allo stradone, isolato rispetto a questa specie di quartiere da un enorme prato che odora di camomilla e da una via che immette sull’autostrada Roma- L’Aquila, si estende un centro commerciale. Un edificio immenso, intorno a cui ruota tutta la vita degli abitanti del quartiere.

Circumnavigando il prato e lasciandosi il centro commerciale sulla destra, se anziché andare sull’autostrada si svolta a sinistra, si arriva nella seconda via grossa del quartiere. Poco prima di imboccarla, mentre si gira ancora intorno al prato, si vede un grosso cartellone pubblicitario dell’Easy jet che recita: “Oltre il … “. Viene in mente una vecchia canzone che dice: “A vent’anni la vita è oltre il ponte”. Nel 2014, invece, a vent’anni la vita è oltre il …, se voli con Easy jet. Si può sentire un vago senso di impotenza, al pensiero che qualsiasi aspetto della nostra vita sia stato assorbito e stravolto dalla pubblicità. Così, con il cuore pesante, si arriva in via Francesco Caltagirone “ingegnere e imprenditore, 1900- 1947”. Questa è la via piena di negozi, bar e ristoranti. A questo punto, bisognerebbe parcheggiare la bicicletta, sedersi in un angolo, e riflettere sulla storia di questo luogo.12032014564

Il Francesco Caltagirone della targa è probabilmente il nonno, o comunque un avo, dell’omonimo ingegnere e imprenditore a capo della Caltagirone s.p.a, quello che ha fatto costruire buona parte degli edifici di questo quartiere che porta il nome di Ponte di Nona, e il grosso centro commerciale che va sotto il nome di Roma est. Fa parte di una grande famiglia di ingegneri e architetti che ha fatto grossi affari nel mondo del cemento. Il fratello Leonardo è a capo del gruppo Caltagirone, che ha costruito sul lato esattamente opposto di Roma, il centro commerciale Parco Leonardo, nonché gli edifici anonimi che vi gravitano attorno, i cui inquilini possono godere della sua vista da un lato e della Portuense dall’altro, mentre poco più in là sorgono una zona militare e un Cie, e dietro la superstrada il Tevere porta con sé montagne di plastica. In sostanza, i due fratelli si sono spartiti la periferia di Roma, facendo sorgere in pochissimi anni interi complessi di palazzi dal nulla. Ponte di Nona è infatti nato proprio così, in seguito a un accordo fatto nel 1995 tra istituzioni pubbliche e società private, per cui gruppi di costruttori hanno comprato l’intera area e se la sono divisa: poi ognuno ha costruito sul proprio territorio a piacimento, senza nessuna regola edilizia e nessun rispetto per il paesaggio. Nel 2002 sono iniziati i cantieri e nel 2007 è stato inaugurato il centro commerciale Roma est.

12032014561Un edificio mostruoso che si estende al centro di un enorme prato per 136000 mq. È dotato di 220 negozi e un cinema multisala, comprende tutto ciò di cui gli abitanti di Ponte di Nona possano avere bisogno, dalla spesa allo svago. L’intera vita di chi abita qui ruota attorno al centro commerciale, per alcuni è persino fonte di lavoro, specialmente per chi non abita sulla via Francesco Caltagirone e non ha a disposizione un bar o un alimentari. Chi non vi abita, infatti, non ha facile accesso a questa via e del resto anche il centro commerciale non è raggiungibile a piedi. Ponte di Nona è un luogo dove gli spostamenti possono avvenire solo in macchina. Quelli a piedi non sono previsti. A meno che non siate un amante della bici e non vi fate scoraggiare da frasi del tipo: “Ma chi te la fa fare a pedalare fin qua.”

L’autobus c’è ma è una presenza rara, passa solo da via Francesco Caltagirone e a volte la fermata non è segnalata. Bisogna mettere in moto la fantasia per scoprire che l’autobus si ferma nei pressi di un paletto semiinvisibile nascosto dai cassonetti della raccolta differenziata: sembra invece che si fermi in corrispondenza di un ben più visibile palo sormontato da un cartellone pubblicitario.

L’impressione generale è che Ponte di Nona sia un posto dove le case sono pensate come dei “contenitori” dove “infilare” un maggior numero di persone possibile, solo persone che pagano ovviamente, senza però preoccuparsi di garantire che gli edifici siano solidi e sicuri, che vi siano tutti i servizi essenziali, e soprattutto che vi possano essere ambienti vivibili, al di fuori degli esercizi commerciali, come le piazze o le isole pedonali, dove si creino forme di socialità. I soli luoghi di incontro sono appunto quelli di natura commerciale, dove bisogna solo comprare e consumare, e dove il mondo esterno svanisce e perde d’importanza, così come l’intera vita quotidiana fatta solo di problemi. Dove si può non pensare alle proprie case che cadono a pezzi, ai parchigioco per bambini che mancano, alla carenza di autobus, alle strade non asfaltate e allo squallore generale del quartiere.

In realtà i cittadini non sono del tutto indifferenti ai problemi che li affliggono, e si danno parecchio da fare per portare avanti battaglie, in particolare (ma non solo) contro le tre principali realtà con cui sono costretti a convivere:

  • un pastore che porta le sue greggi a pascolare nell’unica via rimasta ancora “vergine”, quella che i cittadini hanno chiamato via “Mejo de gnente” perché non vi si è mai costruito: gli animali porterebbero malattie e sarebbero la causa della comparsa di topi nelle due scuole materne; inoltre il pastore occuperebbe “abusivamente” un vecchio casolare, considerato luogo di interesse storico e quindi patrimonio culturale;

  • il campo rom in via del Salone, i cui abitanti accendono roghi di immondizia rendendo l’aria irrespirabile e malsana: secondo i Rom sarebbe l’unica soluzione al fatto che la spazzatura non sempre viene ritirata e si accumula in grossi ammassi;

  • un’occupazione abitativa in via Cerruti, mal tollerata perché “abusiva” e che pertanto è stata sgomberata nell’autunno scorso.

I cittadini hanno formato due associazioni, indipendente l’una dall’altra e di carattere diverso, ma entrambe “apolitiche” e “apartitiche” che dialogano con tutte le forze politiche, al fine di risolvere i problemi del quartiere.

12032014558Il Cdq, comitato di quartiere, si occupa soprattutto di problemi legati ai servizi igienico- sanitari o di altro tipo e si scaglia soprattutto contro le tre realtà sopracitate e agisce nel nome della legalità. Il Caop, coordinamento azioni operative Ponte di Nona, si occupa di sicurezza e costituisce ronde notturne e diurne che vigilano sul quartiere.

Da un lato è sicuramente un bene che i cittadini pratichino l’autogestione per risolvere i problemi: considerato che l’istituzione pubblica spesso e volentieri manca e considerato pure che tale istituzione non può nemmeno intervenire troppo in un quartiere totalmente in mano ai privati, dove anche l’acqua è gestita dall’Acea.

D’altra parte è pure vero che le responsabilità non vengono scaricate su chi sta in alto, ma spesso si trovano capri espiatori, come gli zingari o gli occupanti abusivi che non permetterebbero la vivibilità di un quartiere costruito in partenza per non essere vivibile.

Si innesca l’ennesima guerra tra poveri, poveri distinti tra chi “fa sacrifici per aprire un mutuo” e chi non si può nemmeno permettere di fare tali sacrifici o chi, anche se potesse, preferirebbe comunque vivere senza fissa dimora ma dignitosamente.

Non si sta dunque contro le istituzioni, ma spesso al loro fianco, per combattere insieme l’illegalità e l’ingiustizia.

Intanto i problemi restano, i servizi continuano a non essere garantiti, con ottimi guadagni dei signori del cemento, delle società private e delle banche: l’”emergenza abitativa” non viene risolta e chi era già povero in partenza continua a indebitarsi per avere una casa squallida in un quartiere squallido e sempre più periferico.

Fonti:

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www.wikipedia.org/wiki/PontediNona
www.nuovapontedinona.org
www.caltagirone.com
www.romaest.cc/ilcentro.html
www.wikipedia.org/wiki/Francesco_Gaetano_Caltagirone
www.impresacaltagirone.com
www.aceaato2.it
www.colledegliabeti.com
http://www.colledegliabeti.com/wordpress/pecoraro-si-muove-anche-il-cdq-nuova-ponte-di-nona/
http://www.06blog.it/post/7695/via-mejo-de-niente-lironia-toponomastica-romana-a-colle-degli-abeti
http://torri.romatoday.it/ponte-di-nona/nuovo-caop-pirina.html (anche per la foto del simbolo del caop)
http://torri.romatoday.it/ponte-di-nona/acqua-scorie-sull-area-archeologica-foto.html
http://torri.romatoday.it/ponte-di-nona/ater-ponte-di-nona-nuove-infiltrazioni-acqua.html
http://torri.romatoday.it/ponte-di-nona/case-ater-a-pezzi-infiltrazione-pampanini.html
http://torri.romatoday.it/ponte-di-nona/ponte-di-nona-residenti-in-strada-contro-roghi-dolosi-e-occupazione-abusiva.html
http://torri.romatoday.it/ponte-di-nona/reportage-campo-rom-via-di-salone-roghi.html
http://vocialvento.altervista.org/blog/solo-a-roma/ (per la foto di via Mejo de gnente)

 

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15 marzo: superiamo la legalità?

FotoIl fatto che vi siano delle leggi che regolano la nostra vita, ci porta a non giudicare più con la nostra testa ciò che è “giusto” e ciò che è “sbagliato” (premesso sempre che tali concetti vanno sempre relativizzati e mai assolutizzati).

Non siamo più in grado di capire le conseguenze reali di un’azione o di un comportamento, al di là del fatto se tale azione o comportamento siano ritenuti scorretti o meno di fronte alla legge.

Per fare un esempio, se passare col rosso è illegale, chiunque lo faccia sarà visto come un criminale, anche nel caso che si fermi parecchi minuti ad aspettare il verde su una strada completamente deserta.

Viceversa, se un autista investe un pedone che attraversa la strada dove non ci sono strisce pedonali, la responsabilità sarà del pedone, anche se l’autista correva a 100 all’ora come se fosse stato su un’autostrada e anche se nel raggio di diversi metri non c’era l’ombra di una striscia pedonale.

Non solo.

A lungo andare ci siamo convinti che è dal non rispettare le leggi più semplici che nasce la cosiddetta criminalità. Ci sentiamo spesso dire: “Si comincia col non pagare il biglietto dell’autobus e si finisce con l’evadere il fisco per migliaia di euro”.

E allora sotto con le morali cristiane, il rispetto delle istituzioni, i valori, la famiglia, etc…

Di conseguenza diventa giusto anche venire costantemente controllati, poiché, secondo questo ragionamento, in ognuno di noi si nasconde un potenziale criminale. Tanto se non abbiamo fatto nulla, non avremo niente da nascondere e la giustizia ce lo riconoscerà.

Ciò che non abbiamo capito è che il controllo continuo al quale siamo sottoposti non ha lo scopo di prevenire eventuali atti criminosi, semmai di assicurare che ai piani alti della politica i veri “criminali” agiscano indisturbati e alla luce del sole.

Trovare un capro espiatorio su cui scaricare le colpe della “decadenza della civiltà”, dello “sgretolamento dei costumi”, della “crisi”, serve a far passare inosservato ciò che avviene regolarmente ai vertici del potere e che ricade poi sulle nostre teste.

Così, i grossi interessi economici che girano intorno a un’opera inutile e dannosa per l’ambiente e per le persone, vengono mascherati dal fatto che alcuni “teppisti” boicottino continuamente i cantieri per la realizzazione di quest’opera costituendo un ostacolo al progredire dell’economia e all’unità tra i paesi europei.

Allo stesso modo, se un nutrito gruppo di attivisti sfonda le reti di una base americana, chiedendo la liberazione del proprio territorio da quella che è una vera e propria invasione, ecco che molto banalmente queste persone vengono accusate di “violazione di domicilio”.

Se una persona si rifiuta di pagare il biglietto sull’autobus per non finanziare di tasca propria un servizio che, oltre ad essere sempre meno pubblico, diventa sempre più scadente poiché i soldi a disposizione sono dirottati in investimenti inutili e costosi, costui diventa di colpo un truffatore nei confronti dello stato, nonché nei confronti degli altri “onesti cittadini” che acquistano regolarmente il biglietto.

E così via, di esempi se ne potrebbero citare a volontà.

Perciò ci limitiamo a concludere dicendo ancora una volta:

 

Superiamo la legalità?

Rifiutiamo il controllo sociale.

 

 

CUSA

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Basta violenze basta massacri: la popolazione siriana prima di tutto!

La stagione più tragica di quelle che sono state definite le “Primavere Arabe”, è stata probabilmente rappresentata dalla Siria. Tre anni di guerra civile contro uno dei regimi e dei tiranni più spietati e sanguinari, bombardamenti e massacri di civili, spettro di armi chimiche e interventi militari; ben 9 milioni di persone in fuga.

Come spesso accade purtroppo in questi casi, sulle tensioni ribelli dei siriani e delle siriane, sulla loro voglia di libertà, hanno mangiato i più biechi interessi geopolitici e fondamentalismi terroristici, portando il Paese sull’orlo della catastrofe umanitaria.

Ci schieriamo prima di tutto dalla parte della massima incolumità fisica e psicologica della popolazione. Della sua Primavera infranta, contro qualsivoglia potere che sia in grado di negarne il pieno sviluppo e la piena autonomia.

Chiediamo un’azione immediata da parte di tutte le forze politiche e sociali, delle personalità del mondo della cultura, dell’associazionismo e del volontariato che si riconoscano in queste rivendicazioni essenziali. Affinché arrivi alle popolazioni colpite, e alle forze che si oppongono tanto al regime di Assad quanto ad ogni altro tipo di autoritarismo, la più attiva solidarietà, sia mediatica che materiale.

Chiediamo uno sforzo comune al fine di aiutare a rovesciare – se necessario anche con l’uso della forza – il potere criminale del dittatore siriano. Sforzo che però potrà realizzarsi davvero, solo se sarà volto a sostenere attivamente e senza altre logiche di potere o compromessi, l’azione diretta e in piena autonomia delle istanze dei rivoluzionari che in quel Paese lottano per l’autodeterminazione.

Le Primavere Arabe hanno dimostrato come vastissimi insiemi di persone, possono improvvisamente trovare un filo di energia comune che, senza omologare, dia loro il senso dirompente di un’esistenza imprevedibile e difficile da controllare.

Di fronte al dispiegarsi di nuove forze reazionarie, che purtroppo sono fin ora riuscite a domare quelle energie e quelle rivoluzioni – senza farci facili illusioni sui loro limiti e sui loro stessi errori – vorremmo poter continuare a prendere spunto dal meglio di quelle esperienze di lotta e di vita comunitaria, fuori e contro tutti i poteri oppressivi.

CUSA

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