Verso la 5^a vetrina dell’editoria anarchica e libertaria: incontro/dibattito sulla Decrescita (già pubblicato il 22/01/11 su cusa.splinder.com)

Alla 5^a vetrina dell’editoria anarchica e libertaria, che si terrà a Firenze in date ancora da definire fra settembre ed ottobre prossimi, uno dei due incontri/dibattiti principali sarà dedicato al tema della Decrescita e dell’ecologismo rivoluzionario/libertario. Saranno presenti sia alcuni esponenti dell’universo anarchico e libertario, sia più in generale delle lotte comunitarie e di base per la difesa del territorio che in questi ultimi anni sono cresciute attraversando trasversalmente tutto il territorio italiano.

L’organizzazione dell’evento, aperta a tutte le realtà dell’universo anarchico e libertario interessate, vede attualmente impegnati soprattutto compagni dei gruppi CUSA/UmanesimoAnarchico e del Libero Ateneo della Decrescita di Roma, in maniera coordinata col Collettivo Libertario Fiorentino che della Vetrina stessa autogestisce l’organizzazione più complessiva. E per il dibattito in questione, ancora in via di definizione, sono state per adesso ipotizzate quattro fasi:

1) Una prima fase introduttiva sull’argomento Decrescita, a partire dal senso/significato stesso di questa parola, spesso ancora troppo sconosciuta e offuscata anche all’interno dello stesso movimento anarchico/libertario che negli ultimi decenni si è tuttavia decisamente aperto all’importanza della questione ecologica nell’epoca post-moderna.

2) Una seconda fase dedicata ad una cernita delle pratiche concrete e quotidiane che in questa direzione si possono già iniziare ad attuare a partire dal contesto domestico fino ad arrivare a quello regionale, passando per quello urbano. E che di fatto, sono già praticate e sviluppate da diverse realtà e individui che operano nelle lotte sul territorio.

3) Una terza fase avrebbe l’obbiettivo di mettere in luce la “non neutralità” della Decrescita, cercando di restituire altresì quello che può essere il senso profondo, teorico e pratico, di questo paradigma economico. Ovvero quello di mettere radicalmente in discussione, e in crisi, i sistemi di potere vigenti e le loro strutture, facenti capo appunto tanto agli Stati ed al loro PIL, quanto al capitalismo globale portatore del mito deleterio e ogni giorno più decadente della crescita economica all’infinito.

Questo punto in particolare servirebbe a restituire bene anche il perché si è scelto di fare un incontro/dibattito così importante sulla Decrescita proprio alla vetrina dell’editoria anarchica e libertaria, sottolineando i possibili punti di incontro fra questa teoria/prassi e l’anarchismo o il post-anarchismo che si è affacciato sul terzo millennio seguendo la rotta di un importante vento di cambiamento.

4) Infine un quarto ed ultimo momento potrebbe concentrarsi sull’individuazione di un attuale contesto di lotta possibile da cui prendere spunto per andare in una direzione che unisca tutti i punti e gli aspetti toccati durante l’incontro. Questo potrebbe essere l’esperienza delle lotte comunitarie e territoriali contro l’alta velocità, ed in particolare quella della Val di Susa, sulla quale vorremmo incentrare la conclusione del dibattito stesso.

I contenuti dell’incontro sono sempre aperti a proposte e modifiche. Attualmente siamo alla ricerca sia di relatori, sia di individui e realtà interessati a partecipare al dibattito, arricchendolo, qualora questi/e lo ritenessero opportuno, anche di materiale cartaceo.

 

CUSA

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Movimentismo studentesco e Gelmini. Chi l’avrà vinta alla fin fine? Da Pisa, cronache di sana protesta (già pubblicato il 13/01/11 su cusa.splinder.com)

EVVVAAAI! No, non ho vinto a qualche lotteria. Parlo delle mobilitazioni studentesche delle ultime settimane. Si, la riforma Gelmini è passata. Si, il governo ha comprato qualche parlamentare e lo scenario appare nero. E si, siamo al solito teatrino della politica all’italiana.

Ma aspetta, c’è qualcosa di strano, di diverso, di nuovo. Di emozionante. E’ il (ri)neonato movimento studentesco. Ennesimo parto di politiche cieche e incapaci. Da quanto tempo non mi capitava di vedere tanta gente! Curiosa, interessata e interessante. Che si chiede cosa ne sarà del proprio presente e futuro e decide di agire.

E allora via, tutti in piazza, per le strade, sui binari, nei rettorati, e ovunque a occupare pressoché tutto ciò che c’era da occupare. Dal Cern alla Mole Antonelliana, passando per i porti di Palermo e la Torre di Pisa. Con proteste pure in altri paesi europei, portate avanti dagli studenti italiani in erasmus. Mancavano le fogne e la luna, ma non è detto che non si arriverà neppure lì. EVVAAAI!

Parlo di Pisa, perché ci vivo. E perché ho vissuto la mobilitazione sulla mia pelle. E anche nei timpani: mi sono svegliato più volte con la voce gracchiante del megafono che annunciava uno o più cortei..
Pisa città di universitari. E si è visto. Otto facoltà occupate, così come il rettorato che più volte è stato invaso pacificamente dagli studenti. Flashmob, sit-in e cortei spontanei. Quasi ogni giorno. Organizzati senza una gerarchia centrale che imponesse il da farsi. Più che altro, molti momenti assembleari in cui coordinare la moltitudine dei soggetti mobilitati. Dagli studenti, ai ricercatori, ai prof, passando per i centri sociali, gli anziani, i lavoratori, cani,gatti e piccioni..non mancava nessuno. Si respirava voglia di capire, e non partecipare “perché è divertente”. Come spesso è accaduto in passato.

Certo. Alcune sere, le discussioni si protraevano a lungo perché qualche sofista voleva avere i suoi 5 minuti di gloria. O perché certa gente proprio non sa quel che dice, ma lo vuole dire a tutti i costi. Però mi è sembrato di vedere un salto di maturità nel modo di intendere e affrontare una lotta. Anche se ci sono sempre le solite eccezioni riguardanti l’occupazione delle aule. Un tasto dolente questo. E’ sempre giusto, utile, intelligente occupare? A Pisa la notizia che ci fossero sospensioni didattiche a macchia di leopardo, conseguenti alle occupazioni, ha fatto si che molti pendolari e fuori sede non scendessero in un primo momento. Risultato: meno partecipanti ai cortei e alle discussioni. Insomma, occupare si, ma con criterio ed intelligenza, perché non sempre è uno strumento efficace per portare avanti una lotta studentesca. O meglio, non soffermiamoci solo su di esso. Altrimenti siamo spacciati. Discutiamone e vediamo come l’idea di “occupazione” può evolversi.(es. occupare solo la notte e fare lezione di giorno? La butto lì solo per provocare una discussione..) Essa non può divenire una scusa per una festa notturna a ritmo di drum’n’bass.

L’atto della rivolta, e con esso le occupazioni, non è un atto di moda. Sia ben chiaro. Quindi se le occupazioni sono moda (a.k.a conformismo o ancor peggio tradizione post-sessantottina) non sono rivolta. E rivolta la intendo nel senso camusiano del termine.

Cortei dicevo, pieni di colore e sereni. Sereni si fa per dire. Un plauso a gli studenti e alle categorie sociali tutte, per non aver ancora dato segni di escandescenza! I patetici siparietti provenienti dal mondo politico, che ci tocca guardare e sorbire ogni giorno, hanno fatto crescere inquietudine e rabbia. Un mix potenzialmente esplosivo (a Londra è andata diversamente. Tant’è che tra un po’ anche i reali ci stavano per rimettere, dopo la sede di Cameron & Co). Al di là di qualche tafferuglio il 14 dicembre a Roma, mi sembra non sia successo nulla di che. Altra cosa è l’enfasi da parodia con cui i mass-media hanno  criminalizzato gli “scontri”. Con la seguente litania dei politici che “prendono le distanze dalla violenza”. Ma non divaghiamo. Torniamo a ciò che c’è di positivo.

La rabbia. Si, c’è poco da dire. Siamo incazzati, ma incazzati neri. Stufi di essere presi in giro. Di sentire promesse non mantenute. Di grandi giri di parole che si traducono in una riduzione dei fondi. E si, la rabbia intesa come esplosione dei sensi, è positiva.  Personalmente non vedevo l’ora che la gente di incazzasse. E’ il primo atto per una rinascita emotiva, è l’elettroshock che salva dall’apatia. Umana prima, sociale poi. Un altro plauso agli studenti dunque, che pieni di rabbia come sono, hanno saputo incanalarla in creatività, in forme di protesta diverse (ricordo un risciò con le bandiere della nonviolenza scorrazzare per i lungarni pisani..), in capacità di organizzarsi. E non ultima, nell’occasione di (ri)creare? un movimento come si deve. Un sindacalismo studentesco.

In quei giorni ho visto la rabbia danzare con la calma e vi assicuro che è stato stupendo. Mi sono stupito. Nessuno si è lasciato trasportare in atti irresponsabili e insensati. E ciò ha dato certamente credibilità al movimento. Certo, se a Pisa avessimo fatto saltare in aria la Torre, la visibilità sarebbe stata maggiore. Ma avrebbe ciò giovato alla fiducia della gente nei confronti del movimento? No, ovviamente.  E invece noi siamo qui anche per gettare dei ponti tra le categorie sociali, per far capire che la battaglia di uno è la battaglia di tutti.
E dove c’ha portato questa rabbia? A bloccare la città più volte, con migliaia di studenti a protestare. Sui ponti che solcano l’Arno, in tangenziale, in aeroporto, sui binari, sulla torre.. Traffico in tilt. Qualche bestemmia rivolta dagli automobilisti imbottigliati ai presunti“fannulloni”, ma prevalentemente messaggi di solidarietà e condivisione. Del resto, non smetterò mai di ripetermelo, gli studenti non sono stati altro che il megafono di una società in ginocchio, che ansima, che fatica, senza prospettive. A cui mancano le idee. I ragazzi e le ragazze scesi in strada a Pisa non hanno difeso solamente i loro interessi particolari. No. Difendevano il diritto di avere un paese in cui la cultura abbia valore, senso, dignità. Diritto di non dover emigrare per riuscire a crearsi una vita. Diritto a cambiare. Vogliosi di riverniciare lo spirito scialbo di questo maltrattato Belpaese.

Ma al di là delle emozioni, quello che conta è il percorso intrapreso. E personalmente mi sembra che il messaggio emerso sia chiaro: gli studenti ci sono, non ci stanno e si organizzano. Da qui le speranze che ciò che abbiamo visto per tanti giorni nei Tg, sui giornali o ascoltato nelle strade, non scemi e continui. Una lotta che deve ora cambiare la sua strategia. Non più nel quotidiano, nell’attimo particolare, ma che deve ampliarsi in vista di una futura radicale messa in discussione del sistema universitario e scolastico. Trovare nuovi modi, soggetti e canali per esprimersi e operare pressione.

Infatti, tra le pieghe della manifestazione, io ci vedo anche la voglia di riappropriarsi dell’ Università. Del vero concetto di università. Un luogo libero, di dialogo, dibattito, orizzontale, egualitario. Che non sia insomma una torre d’avorio dell’accademismo dogmatico e baronale. Una sfida è stata posta, e non è abbattere la riforma Gelmini. E’ ben di più: far rinascere le università intese come libere accademie popolari. Cosa voglia dire tutto ciò? Di preciso non lo so. Ma di sicuro vuol dire abbatterne le gerarchie interne, staccarsi dai metodi convenzionali di insegnamento, interpretare diversamente l’utilizzo degli spazi universitari, tornare a divertirsi e incuriosirsi a lezione, ristabilire contatti umani ed empatici con i professori..insomma, non vedere nell’Università una misera e paludosa istituzione che ci fornisce un pezzo di carta, ma qualcosa di più. Ben di più. Uno dei luoghi più importanti per la crescita individuale e sociale.

Siamo studenti. Non sappiamo cosa faremo, ma di sicuro non staremo fermi a guardare ministri incompetenti e politici incapaci distruggere il futuro nostro e degli italiani.
 

Groucho Vanzetti

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Manifesto dei giovani di Gaza (già pubblicato lo 06/01/11 su cusa.splinder.com)

Una firma collettiva, un’identità comune e soffocata, lancia un grido di dolore nello spazio libero del web

“Vaffanculo Hamas. Vaffanculo Israele. Vaffanculo Fatah. Vaffanculo Onu. Vaffanculo Unrwa. Vaffanculo Usa! Noi, i giovani di Gaza, siamo stufi di Israele, di Hamas, dell’occupazione, delle violazioni dei diritti umani e dell’indifferenza della comunità internazionale!

Vogliamo urlare per rompere il muro di silenzio, ingiustizia e indifferenza, come gli F16 israeliani rompono il muro del suono; vogliamo urlare con tutta la forza delle nostre anime per sfogare l’immensa frustrazioneche ci consuma per la situazione del cazzo in cui viviamo; siamo come pidocchi stretti tra due unghie, viviamo un incubo dentro un incubo, dove non c’è spazio né per la speranza né per la libertà. Ci siamo rotti i coglioni di rimanere imbrigliati in questa guerra politica; ci siamo rotti i coglioni delle notti nere come il carbone con gli aerei che sorvolano le nostre case; siamo stomacati dall’uccisione di contadini innocenti nella buffer zone, colpevoli solo di stare lavorando le loro terre; ci siamo rotti i coglioni degli uomini barbuti che se ne vanno in giro con le loro armi abusando del loro potere, picchiando o incarcerando i giovani colpevoli solo di manifestare per ciò in cui credono; ci siamo rotti i coglioni del muro della vergogna che ci separa dal resto del nostro Paese tenendoci ingabbiati in un pezzo di terra grande quanto un francobollo; e ci siamo rotti i coglioni di chi ci dipinge come terroristi, fanatici fatti in casa con le bombe in tasca e il maligno negli occhi; abbiamo le palle piene dell’indifferenza da parte della comunità internazionale, i cosiddetti esperti in esprimere sconcerto e stilare risoluzioni, ma codardi nel mettere in pratica qualsiasi cosa su cui si trovino d’accordo; ci siamo rotti i coglioni di vivere una vita di merda, imprigionati dagli israeliani, picchiati da Hamas e completamente ignorati dal resto del mondo.

C’è una rivoluzione che cresce dentro di noi, un’immensa insoddisfazione e frustrazione che ci distruggerà a meno che non troviamo un modo per canalizzare questa energia in qualcosa che possa sfidare lo status quo e ridarci la speranza. La goccia che ha fatto traboccare il vaso facendo tremare i nostri cuori per la frustrazione e la disperazione è stata quando il 30 Novembre gli uomini di Hamas sono intervenuti allo Sharek Youth Forum, un’organizzazione di giovani molto seguita con fucili, menzogne e violenza, buttando tutti i volontari fuori  incarcerandoni alcuni, e proibendo allo Sharek di continuare a lavorare.

Alcuni giorni dopo, alcuni dimostranti davanti alla sede dello Sharek sono stati picchiati, altri incarcerati. Stiamo davvero vivendo un incubo dentro un incubo. E’ difficile trovare le parole per descrivere le pressioni a cui siamo sottoposti. Siamo sopravvissuti a malapena all’Operazione Piombo Fuso, in cui Israele ci ha bombardati di brutto con molta efficacia,distruggendo migliaia di case e ancora più persone e sogni.

Non si sono sbarazzati di Hamas, come speravano, ma ci hanno spaventati a morte per sempre, facendoci tutti ammalare di sindromi post-traumatiche visto che non avevamo nessuno posto dove rifugiarci. Siamo giovani dai cuori pesanti. Ci portiamo dentro una pesantezza così immensa che rende difficile anche solo godersi un tramonto. Come possiamo godere di un tramonto quando le nuvole dipingono l’orizzonte di nero e orribili ricordi del passato riaffiorano alla mente ogni volta che chiudiamo gli occhi? Sorridiamo per nascondere il dolore. Ridiamo per dimenticare la guerra. Teniamo alta la speranza per evitare di suicidarci qui e adesso. Durante la guerra abbiamo avuto la netta sensazione cheIsraele voglia cancellarci dalla faccia della Terra.

Negli ultimi anni Hamas ha fatto di tutto per controllare i nostri pensieri, comportamenti e aspirazioni. Siamo una generazione di giovani abituati ad affrontare i missili, a portare a termine la missione impossibile di vivere una vita normale e sana, a malapena tollerata da una enorme organizzazione che ha diffuso nella nostra società un cancro maligno, causando la distruzione e la morte di ogni cellula vivente, di ogni pensiero e sogno che si trovasse sulla sua strada, oltre che la paralisi della gente a causa del suo regime di terrore. Per non parlare della prigione in cui viviamo, una prigione giustificata e sostenuta da un paese cosiddetto democratico.

La storia si ripete nel modo più crudele e non frega niente a nessuno. Abbiamo paura. Qui a Gaza abbiamo paura di essere incarcerati, picchiati, torturati, bombardati, uccisi.Abbiamo paura di vivere, perché dobbiamo soppesare con cautela ogni piccolo passo che facciamo, viviamo tra proibizioni di ogni tipo, non possiamo muoverci come vogliamo, né dire ciò che vogliamo, né fare ciò che vogliamo, a volte non possiamo neanche pensare ciò che vogliamo perché l’occupazione ci ha occupato il cervello e il cuore in modo così orribile che fa male e ci fa venire voglia di piangere lacrime infinite di frustrazione e rabbia!

Non vogliamo odiare, non vogliamo sentire questi sentimenti, non vogliamo più essere vittime. BASTABasta dolore, basta lacrime, basta sofferenza, basta controllo, proibizioni, giustificazioni ingiuste, terrore, torture, scuse, bombardamenti, notti insonni, civili morti, ricordi neri, futuro orribile, presente che ti spezza il cuore, politica perversa, politici fanatici, stronzate religiose, basta incarcerazioni! DICIAMO BASTA! 
Questo non è il futuro che vogliamo!
Vogliamo tre cose. Vogliamo essere liberi. Vogliamo poter vivere una vita normale. Vogliamo la pace. E’ chiedere troppo? Siamo un movimento per la pace fatto dai giovani di Gaza e da chiunque altro li voglia sostenere e non si darà pace finché la verità su Gaza non venga fuori e tutti ne siano a conoscenza, in modo tale che il silenzio-assenso e l’indifferenza urlata non siano più accettabili.

Questo è il manifesto dei giovani di Gaza per il cambiamento! 
Inizieremo con la distruzione dell’occupazione che ci circonda, ci libereremo da questocarcere mentale per riguadagnarci la nostra dignità e il rispetto di noi stessi. Andremo avanti a testa alta anche quando ci opporranno resistenza. Lavoreremo giorno e notte per cambiare le miserabili condizioni di vita in cui viviamo. 
Costruiremo sogni dove incontreremo muri.

Speriamo solo che tu – sì, proprio tu che adesso stai leggendo questo manifesto!- ci supporterai. Per sapere come, per favore lasciate un messaggio o contattaci direttamente a: freegazayouth@hotmail.com 

Vogliamo essere liberi, vogliamo vivere, vogliamo la pace.
LIBERTA’ PER I GIOVANI DI GAZA!

Pubblicato in amici | Commenti disabilitati su Manifesto dei giovani di Gaza (già pubblicato lo 06/01/11 su cusa.splinder.com)

A tutte le realtà e individualità anarchiche e libertarie (già pubblicato lo 03/01/11 su cusa.splinder.com)

Cari/e compagni/e,

questa volta, la FAInformale è riuscita a lasciare un segno al di là
dell’universo mediatico.

Il segno che lasciano gli ultimi pacchi bomba, chiunque ne sia il reale
responsabile, rimarrà nei luoghi nel nostro impegno.

Rimarrà nel corpo di Cesar, che per uno degli scoppi ha perso due dita,
e nella vita futura non solo sua, ma di chiunque condivide con lui le
stesse strade e gli stessi sogni.

E’ ininfluente per la gravità di quanto successo, ma è per noi
comunque un fatto da rivendicare, che Cesar sia un compagno di quanti
lottano contro un modello sociale basato sul dominio, sullo sfruttamento
e sull’autodistruzione ecologica.

Come libertari (impegnati, come siamo, ‘sul confine’ fra movimento
anarchico e ‘mondo esterno’) ci sentiamo attaccati due volte:

prima di tutto, nel nostro rifiuto di ogni violazione dell’integrità
della vita, sia essa dovuta a fanatismi di qualsiasi colore, e/o al
cinismo delle strategie del potere.

Ma ci sentiamo attaccati anche nella dignità pubblica del movimento
anarchico e libertario, il cui nome viene legato, per tutti quelli che
non leggono la nostra stampa o i nostri siti web, ad azioni che
consideriamo odiose e folli, e che hanno oggi raggiunto una gravità
inedita.

Per questo, vi chiediamo di unirci in una risposta che cerchi di essere
piu’ forte possibile: che riaffermi la dignità dei nostri principi e
dei nostri percorsi, contro l’immagine falsa che dell’anarchismo viene
data dalle logiche mediatico-poliziesco-terroristiche.

La risposta, questa volta, non dovrebbe limitarsi a un (pur
indispensabile) comunicato di condanna da pubblicare sulla nostra
stampa: dovremmo cercare di far sentire la nostra voce anche a persone
che, anche quando sono dei compagni, frequentano i centri sociali,
leggono Indymedia, vanno ai cortei, sentono le radio…, sentono parlare
più facilmente della FAInformale che di noi.

Questa volta, un comunicato (da condividere possibilmente in tanti)
potrebbe almeno circolare via web e e-mail, anche fra i non militanti.

In un mondo ideale, la risposta a un fatto del genere dovrebbe vedere il
movimento anarchico mobilitarsi in una vera ‘contro-campagna’, fatta
anche di manifesti, incontri pubblici, di manifestazioni, di azioni che
riaffermino quello che facciamo e pensiamo veramente…
in questa direzione, muoviamoci almeno per fare quanto e’ oggi
realisticamente alla nostra portata

CUSA – UmanesimoAnarchico / Libero Ateneo della Decrescita di Roma

 

Pubblicato anche su A-rivista anarchica

Pubblicato in posizioni | Commenti disabilitati su A tutte le realtà e individualità anarchiche e libertarie (già pubblicato lo 03/01/11 su cusa.splinder.com)

La guerra non è genetica. La dichiarazione di Siviglia sulla violenza (già pubblicato lo 05/10/10 su cusa.splinder.com)

Talvolta in rete, può capitare di imbattersi in documenti interessanti.

Uno di questi mi sembra essere la “Dichiarazione di Siviglia” del 1991 (un po’ datato in effetti..). Un testo in cui una serie di scienziati afferenti a diverse discipline, tra cui sociologia, psicologia, eologia,etc, smentisce la scientificità del rapporto tra biologia e guerra. O meglio cerca di fare chiarezza.

Nell’immaginario collettivo, spesso frutto di ignoranza e stereotipi bislacchi, si crede tra l’altro che la guerra e la violenza siano componenti naturali dell’ agire umano, in quanto derivano dalla genetica. Niente di più falso affermano questi scienziati. Che articolano la loro risposta, suffragata da esperimenti (condotti anche tramite la vivisezione o la stimolazione elettrica….e qui ci sarebbero diverse parentesi da aprire in merito all’etica e la validità di questa scelta. Qui trovate ad esempio un’opinione condivisibile o meno, di uno psichiatra probabilmente anti-vivisezione: http://www.novivisezione.org/info/siviglia_vivisezione.htm ) di varia natura.

Nel primo punto, gli scienziati sostengono che la guerra sia una peculiarità dell’uomo e non degli animali. Sebbene essi si scontrino in determinati casi infatti, non portano mai il conflitto ad un carattere istituzionale, non utilizzano armi e non lo programmano. Cosa che invece l’uomo ha iniziato a fare. Da ciò si desume, che la guerra la si può fare. Non, si deve fare.

 Guerra

Nel secondo punto, viene contestata l’idea per cui i nostri geni determinano in maniera totale il nostro agire, ingabbiandoci di fatto in schemi comportamentali che sfuggono al nostro controllo in quanto iscritti nella genetica. Gli esperti affermano invece, che per quanto sia vero che la genetica determina i nostri comportamenti, c’è da considerare il ruolo fondamentale dell’ambiente sociale ed ecologico (e perché non culturale economico, mi permetto di aggiungere) in cui vive un uomo.

Il che francamente mi pare anche comprensibile senza chissà quali esperimenti…un cane che viene continuamente bastonato e a cui viene impedito di mangiare, tenderà a divenire più aggressivo di un cane curato amorevolmente dal proprio padrone. Non è forse lo stesso per l’uomo?

Al terzo punto, a finire sul banco degli imputati è l’antica credenza della sfida-concorrenza. Gli scienziati sostengono a tal proposito, che sia sempre stata data troppa importanza al concetto di sfida rispetto al concetto di cooperazione. Aggressività e cooperazione hanno (avuto) cioè, entrambe un ruolo importante nella vita dell’evoluzione che lega l’animale all’uomo.

Il quarto punto riguarda lo studio sul cervello, e comportamenti e schemi cognitivi annessi.

Secondo gli esperimenti, “è scientificamente scorretto dire che gli esseri umani hanno un cervello violento. Mache il nostro modo di agire dipende dal modo in cui siamo stati condizionati e socializzati”.

Il quinto punto invece sancisce la distanza e differenza tra l’istinto e i fattori cognitivi. Iscrivendo ai primi una maggiore capacità di stimolare l’aggressività umana e ai secondi, la capacità di annullarla. E dunque qui ritorna prepotentemente la distinzione animale-uomo. In quanto, come si può ben vedere dalle guerre moderne, solo l’uomo utilizza la sua razionalità (manipolazione politica e mediatica, organizzazione logistica, formazione del personale militare,etc.) per fare guerra.

L’animale non pensa ad una guerra (lungo termine), l’uomo si. Quindi non si può trattare di aggressività. Perlomeno, non solo, anzi.

Certo. Il documento è molto vecchio, e in questi vent’anni molte cose sono cambiate. Quindi sono informazioni da prendere con le pinze, perché c’è il rischio che non siano più valide. Però, la commistione scienziati e militanti pacifisti (per dire una categoria, ma si potrebbe far riferimento a qualsiasi attore sociale) è un dato estremamente interessante. In quanto da delle basi scientifiche (?) a quelle che altrimenti sembrano le solite idee romantiche e utopistiche di gruppo di sfaccendati perditempo. Insomma, se la scienza incontra la politica (di un certo tipo), credo che si potrebbero trarre enormi benefici. Non credete pure voi?

condividete il vostro pensiero se vi va. Che più si discute, più si capisce..forse 🙂

 Max Ward

 

link: http://www.istc.cnr.it/seville/dichsev.htm

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Casa della metamorfosi (già pubblicato lo 05/08/10 su cusa.splinder.com)

Casa della Metamorofosi
Ciascuno di noi ha, alle spalle, un sentiero ricolmo di idee, pensieri, sguardi, fantasie, sogni, progetti..
Un filo conduttore di energia ci lega, storie di vita diverse, una sorgente di ricchezza innocente da condividere, sullo stesso prato verde, bagnato di speranza.
Siamo la generazione X, la molla per invertire il corso degli eventi suscitando un movimento di coscienze, innescando stati emotivi, istinti creativi e risvegli mentali; ricercando una nuova soggettività, una soggettività nel divenire della vita.
Abbiamo le stesse radici e la stessa voce per gridare, all’unisono, la nostra volontà di trasformazione, di dipingere un mondo in cui terra e cielo possano trovarsi in una stagione d’equilibrio.
Siamo il campanello del via, abbiamo sufficiente forza, come un sassolino gettato nell’oceano, una piccola fonte di dinamismo, per esprimere la nostra indignazione, proponendo un nuovo tipo di evoluzione interiore, il superamento di questa inerzia e di questo silenzio, di questa immobilità e di questa rassegnazione.
Possiamo essere una piccola spinta per produrre un grande movimento.
Possiamo essere una catena splendente di espressività, di azione e non di semplice lamentela gettata al vento.
Possiamo diventare energia collettiva, rifiutando di essere anestetizzati manichini compiacenti.
Possiamo esser figli del nostro domani, esprimendo, tramite un condensato di arte libera, tramite il potere della parola, i nostri desideri, in musei socializzati e a cielo aperto di idee comuni.
Possiamo ribellarci, lottare con il coraggio destabilizzante della poesia, con articoli su temi di carattere sociale, con tracce lasciate su carta, con ricerche filosofiche, con teatralità, con i colori dei murales che baciano la realtà di luoghi in oblio, con il suono accattivante di strumenti scordati..
Il nostro obiettivo è creare qualcosa che sia “lama di ghisa su carne viva” (cit. Artaud Antonin). Che possa veicolare, con le ali della fantasia, una voglia di trasformazione e di ribellione a tutti i poteri dominanti ed ai loro amici, che ci permetta di riprendere in mano le nostre vite e le nostre scelte, senza render conto a qualsivoglia autoritarismo e a qualunque tipo di delega.
Arrampichiamoci tra le nuvole e richiamiamo su di noi l’attenzione, apriamo un varco nello spazio pubblico, alziamo la mano in segno di resistenza, e corriamo verso il nostro domani! Là fuori nessuno sta aspettando noi, lo sappiamo bene, ma i nostri polmoni hanno bisogno di aria nuova. Ribaltare la situazione è possibile, coltivando le nostre idee, sorridendo, costruendo i nostri giorni, vivendo il nostro tempo, costruendo un’alba speciale, dando vita alle nostre inclinazioni, alle nostre aspirazioni.
Lasciare un messaggio, anche se al di là di noi ci fosse solo una segreteria, è un nostro diritto e un nostro dovere.
Abbiamo le chiavi per aprire nuove porte di nuove dimensioni. Tutto può cambiare e se anche tu hai un senso di inquietudine, di insoddisfazione, la percezione che tutto sia stagnante, aiutaci a costruire questo viaggio, per distruggere l’apatia generale, la superficialità, l’indifferenza, l’immobilità, la banalità, per ridare vitalità alla cultura e cultura alla vita, per non far andare alla deriva talenti e sensibilità, perché a partire dall’incontro, dal dialogo, dal confronto, dalla condivisione e dall’espressione può nascere il seme di una pianta che diverrà fiore.
Ricordiamo che la soluzione è sempre nascosta in un tentativo.

PERCHE’ NON PROVARCI, ALLORA?!

http://casametamorfosi.wordpress.com/

cadme.info@autistici.org

https://www.facebook.com/pages/Casa-della-Metamorofosi/123469614427814

 

 

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Sulla via di Capitan Pomodoro, appunti per una terapia ecologica (già pubblicato il 20/07/10 su cusa.splinder.com)

Sia lodata la terra! Da tempo mi ronzava in mente l’idea di provare a giocare al “contadino” e finalmente sono riuscito nel mio intento. Da qualche mese faccio parte di un gruppo di persone che gestisce un orto. Orto sociale lo chiamiamo, poiché le scelte di gestione, la redistribuzione dei beni (e che buoni questi beni) e l’organizzazione in senso lato, riguardano tutti. Funziona così: siamo in 13 circa, e ognuno dedica 2 ore del proprio tempo ogni settimana (o se vuole di più) per lavorare di zappa, irrigare le verdure, seminare, etc. Dopodiché si prevedono degli incontri saltuari in cui fare il punto della situazione e pensare agli sviluppi futuri del progetto. Si crea così un bel gruppo, che lavora sulla fiducia, coopera e interagisce. E alla fine ad ognuno spetta la medesima parte di raccolto. 

E al di là dell’estrema importanza che avrebbe il ritorno della gente ad uno stile di vita conviviale-vernacolare, che a mio avviso passa necessariamente per un nuovo paradigma ecologico (es. ecologia sociale per citare Bookchin M.), ciò che mi preme esprimere, è l’enorme impatto psicologico. Che emozione starsene in santa pace, in silenzio. In una dimensione sospesa. Altro che psicanalisi! La miglior cura del sé, parte dal ritornare alla terra. Questo è stata una delle percezioni-emozioni che ho vissuto pensando all’ avventura che sto vivendo. Allora forse è vero che la rivoluzione mentale, non in senso ideologico, ma emotivo, comincia quando siamo distesi su un campo d’erba a guardare il cielo. Allontanarsi da tutto e da tutti per un paio d’ore la settimana è…strabiliante.  Una dimensione catartica che permette di rilassarci e riflettere. Fermare il tempo, la nostra schizofrenica attitudine all’ipervelocismo moderno e ascoltare, ascoltarci seriamente. Porci domande. Forse perché in quei luoghi c’è spazio per il pensiero, per il nostro pensiero. Negli orti non c’è pubblicità, non ci sono dogmi, non si erigono barriere. Gli input della società rimangono sulla strada. Non siamo soffocati dai suoi messaggi. Siamo soli. Noi e la natura. E io ne sono ben contento. Perché nel rapporto con la natura, soprattutto quando siamo soli, l’individualismo torna a bussare. E chissà che esso non ci porti buoni consigli. A me è successo.

L’orto come spazio effettivamente libertario. Liberazione di e da. Ecco come posso descrivere questi brevi scampoli di esperienza nell’agricoltura. Un consiglio: se potete, prendete la zappa in mano e datevi all’agricoltura. Pancia e mente vi ringrazieranno.

Perché come dice un proverbio “Gli uomini più felici sono quelli che tornano a casa con il sudore sulla fronte e i calli sulle mani” (molto romantico forse, ma fa sorridere).

p.s. A breve anche le foto del raccolto. Buona vita!

 

Miles Adorno

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Pomigliano-Tychy: ovvero l’infinito ricatto del capitale (già pubblicato il 24/06/10 su cusa.splinder.com)

In questi giorni allo stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco si è consumato l’ennesimo ricatto del capitale sulla vita, la libertà e la dignità di chi lavora. Martedì gli operai e le operaie sono stati/e infatti costretti/e a decidere tramite un referendum se perdere il proprio posto tramite la chiusura delle attività produttive, oppure mantenerlo al solo costo di accettare delle condizioni lavorative contrarie a tutte le lotte del movimento operaio ed ai diritti con esse conquistate durante gli ultimi decenni.Indipendentemente dal risultato di questo referendum – che ha visto la vittoria del sì alla produzione della nuova Panda in Campania a discapito di Tychy in Polonia, dove essa era stata delocalizzata – a perdere è stato l’intero mondo del lavoro e le sue nuove generazioni. Le quali si vedono adesso caricare sulle spalle un ulteriore precedente che rischia di diventare sempre più norma per il futuro.L’introduzione del turno di notte, la riduzione dei tempi di riposo ed il ritorno a dei ritmi lavorativi da sistema fordista mettono gravemente a rischio la salute delle operaie e degli operai di Pomigliano, tanto quella fisica quanto quella mentale.Cariche a PomiglianoIl dominio antropocentrico e tecnicista che da sempre caratterizza il potere della borghesia si manifesta palesemente in questo ricatto, dove si cerca di ridurre i propri sottoposti a delle mere macchine produttive. Consci del fatto che in Italia o in Polonia che sia, ci sono almeno altrettanti disperati pronti ad accettare le condizioni imposte dall’azienda al posto dei refrattari. E sì che nei giorni precedenti le votazioni, i colleghi polacchi avevano solidarizzato con quelli italiani tramite una lettera in cui riconoscevano la propria comune condizione di sfruttamento e vedevano nell’unione internazionale delle loro lotte, l’unica via d’uscita possibile (se la produzione della Panda viene ritrasferita a Pomigliano, sono ovviamente quelli di Tychy a finire disoccupati).

Ma mi si dirà che queste sono discorsi utopici o idealisti tanto belli quanto ingenui, e che ci sono delle condizioni storiche oggettive che impongono certi sacrifici per evitare mali ben peggiori, come hanno in un modo o nell’altro dato a intendere tutte le principali sigle sindacali, con l’importante eccezione della FIOM, che hanno sostenuto e difeso a spada tratta l’accordo proposto da Marchionne.

Avevo appena 18 anni quando al Social Forum di Firenze, non senza una certa ingenuità idealista ed utopista, andai entusiasta ad un incontro dove interveniva – ospite d’onore – Bové, un contadino francese noto allora per dare l’assalto ai McDonald. Dopo di lui prese la parola un certo “compagno Guglielmo Epifani”, presentato con toni che lasciavano intuire cose molto interessanti. Ed in effetti, il compagno Epifani si beccò gli applausi scroscianti della sala a conclusione di un intervento al cui apice sostenne che “…ci dicono che dobbiamo controllare la globalizzazione. Noi rispondiamo che la globalizzazione è come il capitalismo: non si fa controllare da nessuno!”.

Oggi quel “compagno Guglielmo Epifani” è segretario nazionale uscente della CGIL, il principale sindacato riformista del Paese, tra i più convinti sostenitori di un accordo che sancisce un ulteriore importante passo in avanti nei rapporti di forza a favore del capitale rispetto alle più elementari norme del diritto al lavoro e alla salute. Insomma, non si può neanche dire che non sia stato coerente (sic!).

Ma allora, di fronte alla viscidità di questa “coerenza” riformista, io mi tengo ben stretta la mia ingenuità “idealista” ed “utopista”. E tutta la vicenda di Pomigliano e di Tychy mi fa capire quanto sia importante che vi siano ancora delle voci e dei corpi che indisciplinatamente continuano a ricercare delle prospettive di lotta radicali, anche al di là dei compromessi di cui la traduzione storica di queste lotte può avere bisogno come sue fasi di passaggio.

Solidarietà attiva e anarchica agli operai ed alle operaie di Pomigliano e Tychy.

 

EdoArdO



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Israele colpisce ancora! E in noi cresce la sete di antimilitarismo (già pubblicato lo 02/06/10 su cusa.splinder.com)

“E le rane partirono… Partirono verso il regno della suprema viltà umana. Partirono verso il fango di tutte le trincee. Partirono…. E la morte venne! Venne ebbra di sangue e danzò macabramente sul mondo. Danzò con piedi di folgore… Danzò e rise… Rise e danzò… Per cinque lunghi anni. Ah, Come è volgare la morte che danza senza avere sul dorso le ali di un’idea… Che cosa idiota morire senza sapere il perché…”. 
 
Queste parole di Renzo Novatore mi sono venute in mente all’indomani dell’attacco israeliano alla flotta umanitaria diretta verso Gaza. Sono tante le questioni che si aprono quando un evento di simile portata accade. Le ideologie tornano ad oliare le ambasciate, i politici a cercare consensi dividendo le popolazioni, e l’odio ad avere la meglio sulla ragione e solidarietà. Nessuno di quei soldati si è immaginato come sarebbe andata a finire? Ritengo di si, ma sapevano che attaccavano dei pacifisti e proprio per questo sono scesi sulle loro navi. Non per altro. Palestina
La vergogna del sionismo israeliano non ha parole. Truce e meschino, ha deciso di estendere la sua sordida violenza anche agli attivisti internazionali che tentano di portare sollievo alla martoriata popolazione palestinese.
 
E che tristezza tutto ciò. Al di là degli aspetti tecnici, per cui il blitz è avvenuto in acque internazionali ed è quindi totalmente illegale e illegittimo, sorprende ancora una volta la violenza degli stati. Che si credono effettivamente padroni del mondo e della vita delle genti. Personalmente voglio che gli stati chiedano non solo spiegazioni, ma inchieste e punizioni perché….ah no scusate, mi ero scordato che sto parlando di stati, entità che disperdono le colpe tra le maglie della diplomazia, che insabbiano e lasciano passare il tempo necessario per far dimenticare il fattaccio. Certo, ci saranno inchieste e indagini. Ma ho il tremendo sospetto che nessuno pagherà. Del resto Israele è amico di paesi forti nello scenario geopolitico internazionale. Quindi subirà una bella ramanzina e poi tutto a posto come prima, a parte i pacifisti morti e i palestinesi affamati.
 
Non voglio dire nulla più, 
accettate questo che è semplicemente uno sfogo,
 
solidarietà al popolo palestinese e agli attivisti.
Erich Cacucci 

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25 aprile: che fascismo (e che antifascismo) quello attuale? (già pubblicato il 25/04/10 su cusa.splinder.com)

<<Il fascismo>> si sente speso dire, <<non è mai finito>>.
Forse perché nazismo e fascismo sono stati, con lo stalinismo, le prime grandi espressioni di Stato e di potere totalitario (più o meno riuscite) della Storia, ed hanno come tali influenzato anche i sistemi di potere a loro successivi, compresi quelli democratici che durante la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda li hanno combattuti, o hanno preteso di farlo.
Lo dimostra l’Italia ma non solo, fin dagli albori della così detta “Prima Repubblica”, quando diversi quadri ed esponenti fascisti andarono a ingrossare le fila del Governo Badoglio, fino ad arrivare in tempi più recenti alla strage di Bologna passando per quella di Piazza Fontana e gli anni della strategia della tensione.
Difatti, da allora fino ad oggi, lo Stato e la polizia italiana hanno sempre chiuso o strizzato un occhio a picchiatori e Antifascismoterroristi fascisti – quando anche non li hanno debitamente utilizzati a loro favore – quando si sono trovati di fronte a forze potenzialmente “pericolose”.
Ne stiamo avendo una prova anche oggi nella complicità delle forze dell’ordine coi gruppi neofascisti come Azione Giovani, Forza Nuova o Casa Pound, nella repressione delle azioni antifasciste e nello spazio politico che purtroppo questi stanno sempre più trovando.

Dunque che fascismo è quello attuale? Un fascismo, almeno in Italia, radicato alle istituzioni dello Stato democratico, così come lo è la criminalità organizzata. Questo anche grazie alla rivalutazione storica e cenestetica fatta da Berlusconi delle figura di Mussolini, un nuovo machismo che si alimenta anche di molti modelli culturali provenienti dagli Stati Uniti.

E dunque, è un neofascismo che come quello delle origini, si alimenta di una profonda crisi di valori.

E che antifascismo può essere allora quello attuale? Non un antifascismo vendicativo, ma che reclama i mezzi della propria autodifesa, anche con l’uso della forza fisica, difronte alla brutalità di chi si eccita della violenza più gratuita e non lascia altra scelta. Ma deve essere prima di tutto un antifascismo di contenuto, che punti allo scardinamento dei modelli mentali, culturali ed educativi, che lo stesso modello sociale, politico ed economico attuale e le sue crisi diffuse, sotto il tetto di una crisi più generale, producono.

Ad esempio, deve essere un antifascismo rivoluzionario o comunque radicale, e non che punti alla difesa dell’ordine costituito. Altrimenti sarà lo stesso Stato democratico a servirsi di questo antifascismo, per le sue operazioni di polizia.

CUSA


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